la presentazione
Nasce il Conte Marx: all'Auditorium con Bettini va in scena un miraggio della sinistra
Il suo golfino da esistenzialista francese non è la divisa di un cavaliere, ma una lucida armatura vuota. L'abbaglio del leader dei 5 Stelle come colui che riporterà il socialismo rivoluzionario potrebbe non convincere nemmeno lui
Giuseppe Conte arriva all’Auditorium, nella roccaforte romana del veltronismo e dei friccichi de luna, e lo fa “pervestito” da esistenzialista francese, come avrebbe detto Camilla Cederna. Niente camicia, niente cravatta, niente pochette a quattro punte. Abbandonati i simboli della borghesia, il capo del governo che approvò i decreti sicurezza di Matteo Salvini indossa uno di quei golfini scuri a collo alto che sarebbero piaciuti a Jean-Paul Sartre. In un lampo si capisce che in questa serata, per lui, tutto deve corrispondere proprio alla singolare idea che il fu avvocato del popolo ha dell’essere di sinistra.
“È lì che batte il mio cuore”, assicura. Sotto un golfino di sinistra. D’altra parte è proprio d’un libro di Goffredo Bettini che s’intitola A sinistra. Da capo, che l’avvocato di Volturara Appula deve parlare con l’autore e con Andrea Orlando, in una serata (frase totemica contiana: “Lo si voglia o no, nel campo del centrosinistra c’è anche il M5s”) che per Bettini corrisponde al sogno d’una seconda giovinezza da educatore di leader e per Conte, invece, è pressappoco una presentazione in società, un passaggio di quella che lui crede possa essere la sua ascesa alla guida della sinistra. In sala c’è Loredana De Petris seduta accanto a Paola Taverna, non lontano da Francesco Boccia, Enrico Gasbarra, Brando Benifei... Mancano i pezzi grossi della sinistra italiana.
Non c’è nemmeno Massimo D’Alema, che di Conte, assieme a Bettini, è il secondo pigmalione. Così persino questa platea, pur ben disposta, è timida di fronte al vecchio golfino del professor Sartre, e sembra quasi provare il disagio che sempre suscita il falso, la patacca, il surrogato, l’orzo che non è caffè, la similpelle o il vero finto cachemire cinese. “Vengo dalla militanza nel Pci e questo ci vuole dire che lui ha una tradizione? Vuole venire qui a fare l’opa sulla nostra storia”, gli grida un tizio seduto in sala. Ma l’aria non è ostile. “Con il M5s almeno dialogare è giusto”, dice Orlando, però col volto chiuso come un guscio di mandorla, prima di aggiungere che “c’è chi fa quello di sinistra, pur non essendolo.
E anche Boccia sembra difendersi: “Siamo sempre impegnati ad unire”. Eppure anche loro sono assai ben disposti, come la gran parte dei presenti, perché è come se i convenuti volessero intestardirsi nella finzione pur sapendo che di finzione si tratta. Dunque applausi. Incerti, ma applausi. Quasi gli stessi delle sit-com di una volta però, quando anche le risate erano registrate, e servivano a caricare la comicità lì dove la comicità non c’era. Persino Conte ogni tanto appare imbambolato, mentre ascolta la direttrice del manifesto Norma Rangeri che parla di “voglia di uscire dal partito”, forse perché in cuor suo anche lui sa di essere un miraggio, l’effetto della confusione del Pd senza nocchiero.
Come l’Agilulfo di Calvino, sa di non essere un cavaliere ma una lucida armatura vuota. Per questo stasera all’Auditorium s’è messo il golfino di Sartre e critica “il vetero capitalismo”, “il turbo capitalismo”, “la logica consumistica” e “la corsa al riarmo”. Un falso autentico che per Bettini tuttavia stimola tali e tanti cambiamenti da poter modificare per sempre – ohibò – la sinistra italiana. E il socialismo rivoluzionario, sul non più giovane Bettini, che fu il teorico della vocazione maggioritaria di Walter Veltroni e vide in Matteo Renzi l’eredità di quel riformismo democratico, ha le stesse conseguenze grottesche di chi prende gli orecchioni a sessant’anni. Pensava fosse il Conte Marx, e invece era un calesse.