(foto Ansa)

Perché il mosaico fiscale meloniano è una fuga dalla realtà

Claudio Cerasa

Le sfacciate coordinate della “tregua esattoriale”, il nuovo tetto del contante, la  sanatoria per i commercianti sprovvisti di Pos, l’allargamento della flat tax: così il governo darà una mano a piccoli e grandi evasori

Si scrive pace fiscale, si legge evasione dalla realtà. Le prime notizie relative alle coordinate individuate dal governo per mettere a punto la così detta “tregua esattoriale” indicano una direzione della maggioranza tanto chiara quanto sfacciata. La sintesi è presto detta: tutti gli avvisi ricevuti dal 2000 a oggi dall’Agenzia delle entrate possono essere pagati senza dover versare né interessi né sanzioni (una sanzione ci sarà, ma solo simbolica). Tutte le cartelle esattoriali inferiori ai mille euro relative al periodo che va dal 2000 al 2016 verranno azzerate. Tutte le cartelle ricevute tra il 2000 e il 2022 inferiori ai 3.000 euro, tranne quelle inferiori ai 1.000 euro relative come detto al periodo che va dal 2000 al 2016, potranno essere pagate senza sanzioni e interessi e con uno sconto che potrebbe andare da un minimo del 50 per cento della cifra dovuta a un massimo dell’80 per cento. Tutte le cartelle dal valore superiore ai 3.000 euro saranno pagabili con una rottamazione a lungo termine senza interessi e senza sanzioni.

In tutto, gli italiani che potrebbero essere interessati dalla così detta pace fiscale si aggirano tra un minimo di 20 milioni e un massimo di 25 milioni. L’operazione è chiara, indica una direzione precisa e una volontà evidente da parte del governo: mostrare una certa indulgenza verso una fetta di popolazione il cui perimetro supera decisamente lo spicchio d’Italia fiaccato dalla povertà. Le coordinate della tregua esattoriale, però, non bastano a indicare l’orizzonte pensato dal governo sul terreno fiscale. E per capire qual è la direzione, e la narrazione, occorre mettere insieme qualche altro tassello. Un primo tassello coincide con la scelta di aumentare il tetto del contante, portandolo da 3.000 a 5.000 euro, scelta che, come già segnalato nel 2015 da Bankitalia, rischia di alimentare economia sommersa, nero ed evasione fiscale.

 

Un secondo tassello, non meno importante, riguarda una dichiarazione  fatta qualche giorno fa dal deus ex machina del fisco meloniano, Maurizio Leo, viceministro all’Economia, che ha annunciato di essere pronto a presentare una norma per eliminare ogni sanzione per i commercianti che non hanno il Pos. Allo stato attuale, come è noto, per i negozianti è prevista l’applicazione di sanzioni in caso di mancato adeguamento alla normativa e chi non permette il pagamento elettronico rischia di ricevere una sanzione amministrativa di 30 euro, aumentata del 4 per cento del valore della transazione per la quale sia stata rifiutata l’accettazione. Un terzo tassello del mosaico fiscale meloniano è costituito dalla così detta flat tax. Il governo, per le partite Iva, ha intenzione di alzare il super minimo, sotto il quale si paga il 15 per cento di contributi, dagli attuali 65 mila euro ai futuri 80-90 mila euro. Il problema legato a una mossa del genere è stato ben descritto nell’ultima relazione sull’evasione fiscale e contributiva allegata alla Nadef, pubblicata il 5 novembre proprio dal ministero dell’Economia, e quella relazione ha segnalato alcuni temi interessanti.

Da un lato si evidenzia come il sistema di lotta all’evasione fiscale basato sulla progressiva digitalizzazione dei pagamenti messo in campo negli ultimi anni in Italia, un sistema che l’attuale governo più che incoraggiare sembra voler scoraggiare, abbia prodotto risultati importanti: la propensione all’evasione è scesa a 99,2 miliardi nel 2019 dai 102,9 dell’anno prima. Dall’altro lato si evidenzia come l’aumento delle soglie utili a sfruttare la superagevolazione rappresentata dalla tassa piatta al 15 per cento abbia creato un meccanismo pericoloso conosciuto sotto la categoria dei falsi minimi. In altre parole, “un effetto di autoselezione dei contribuenti con ricavi e compensi al di sotto della soglia massima di 65 mila euro al fine di usufruire dell’imposta sostitutiva”.

 

Il Sole 24 Ore, la scorsa settimana, ha ricordato un’analisi prodotta due anni fa dall’Ufficio parlamentare di bilancio, che ha stimato in oltre 5 mila euro la caduta di reddito disponibile per chi dichiarasse un euro in più della soglia, e la questione è evidente: più alzi la soglia sotto la quale puoi avere benefici e più chi supera di poco quella soglia sarà spinto a incassare in nero tutto ciò che guadagnerà sopra quella soglia. I falsi minimi, appunto. Il paradosso di questa politica di evasione dalla realtà non è solo quello di indicare una precisa direzione di marcia, fatta di ammiccamenti agli evasori, ma è anche quello di agire contro lo stesso interesse dello stato. E per quanti possano essere i miliardi che lo stato potrebbe incassare una tantum grazie alla così detta pace fiscale non ci vuole molto a capire che nessuna tregua esattoriale potrebbe portare all’Italia gli stessi benefici prodotti dalla riduzione dell’evasione registrata dal 2015 a oggi. Un tesoretto che in otto anni ammonta a circa 30 miliardi e il caso vuole che nel 2022 il governo nazionalista, in fuga dalla realtà, riuscirà probabilmente a intervenire sui super minimi delle partite Iva grazie a una somma ricavata dal recupero strutturale del gettito fiscale.

In sostanza, se non fosse chiaro, l’allargamento della flat tax costerà circa 1,3 miliardi e quegli 1,3 miliardi verranno verosimilmente coperti con quei miliardi di evasione in meno recuperati dallo stato  nel 2022  (il recupero strutturale di gettito vale 3,119 miliardi, nel 2022, ma 1,725 miliardi sono già stati utilizzati per gli aiuti contro il caro bollette e, come ricordato ancora dal Sole 24 Ore,  a disposizione dei conti 2023 restano quindi 1,393 miliardi e qualcosa). In sostanza la questione è semplice. Meloni ha deciso di ripagare la fiducia degli italiani dando la possibilità ai piccoli e grandi evasori di non pagare alcun pegno. Ha fatto questa scelta conoscendo perfettamente le conseguenze di una mossa del genere, che scoraggerà nel futuro anche molti non evasori a pagare regolarmente le tasse. E nel fare tutto questo ha scelto di non investire con forza sulla digitalizzazione dei pagamenti, ha scelto di iniziare un’opera di smantellamento di un sistema che negli ultimi anni ha dato i suoi frutti e ha scelto di portare nella prossima legge di Bilancio una norma pagata con il recupero di gettito fiscale che contribuirà a far diminuire il gettito fiscale del futuro. Si scrive pace fiscale, si legge evasione dalla realtà. In bocca al lupo, contanti saluti.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.