Sono Letizia Moratti e risolvo problemi
Dopo essere stata sindaco, ministro, presidente della Rai, spesso prima donna a ricoprire questi ruoli, l'ex vicepresidente regionale lombarda si è messa in testa un’idea meravigliosa: spaccare il centrodestra, solleticando pure un po’ il Pd, e prendersi la Lombardia. Una chiacchierata
Letizia Moratti è nel suo fortino milanese di San Babila. Sotto, gorilla in quantità. Sopra, il celebre orto biologico pensile. In mezzo, lei, 72 anni, alla sua nuova, ennesima reincarnazione politica. Uffici stampa, aiutanti, gran fermento per questa nuova avventura, da quando si è dimessa da vicepresidente e assessore al Welfare della Regione Lombardia e lancia la sua nuova sfida, conquistare la Lombardia. Una regione tutta per sé. Primo sindaco donna di Milano, primo presidente Rai donna, e poi ministro, responsabile dell’Expo, e tanto altro. Riserva doc della Repubblica, ultima esponente di una uber-borghesia lombarda delle grandi famiglie. Simmetrico antropologico della, anzi del presidente del consiglio underdog, cavalcate nel deserto, Garbatella, romanesco. Qui invece siamo nel forziere d’Italia, tra Apple Store e Montenapoleone. Petrolio e calvinismo, beneficenza e potere. Coeur in man e portafoglio nel centrodestra. Almeno finora.
Arriva, Moratti, unica donna in un mondo di uomini, uomini le guardie, uomini i portavoce, tutti uomini. Tailleur chiaro, gioielli, il nuovo taglio di capelli. Come la dobbiamo chiamare, intanto? Il tema è dirimente. “Dottoressa. Un titolo che mi sono guadagnata sul campo, giovanissima, a ventun anni”, risponde lei, energetica e carica per questa nuova avventura. “Laureata in Diritto delle Comunità europee”, butta lì, come se quel riferimento all’Europa fosse la rivendicazione di una differenza. “Col professor Fausto Pocar. Un esperto che si sta occupando molto di diritti”, seconda differenza. Già perché Letizia Moratti alla sua ennesima incarnazione dovrebbe essere adesso incarnazione del centrosinistra, ha una sua lista civica, che correrà col Terzo polo in Lombardia, e vuole vedere chi ci sta. Ha appena detto che nel centrodestra si è sentita sempre più isolata negli ultimi mesi, ha detto “incontriamoci”. Ha sentito di D’Amato nella regione Lazio, lì il Pd converge sul Terzo polo. “Conosco benissimo e stimo l’assessore D’Amato, ci siamo confrontati tante volte sulla gestione della pandemia”. La gestione della pandemia è l’ennesima, macroscopica differenza, che Moratti sottolinea. “Di certo ad accelerare, anzi a far precipitare la mia decisione di dimettermi è stato il reintegro dei medici No vax, senza convocare una commissione scientifica. E’ un chiaro messaggio, un brutto messaggio: una politica che non si fida della scienza. Una politica che mortifica i cittadini che hanno scelto chi ha rispettato le regole. Un’altra cosa che colpisce è nel Documento di programmazione economica del governo: gli investimenti nella sanità pubblica erano cresciuti negli ultimi anni e adesso diminuiscono”.
Insomma la rottura è netta, la critica feroce. Il suo isolamento nel centrodestra può insospettire i più malpensanti, è stato davvero veloce, ma lei dice: “Il centrodestra si è trasformato rapidamente in destra. Io non rinnego la mia appartenenza a un mondo legato ai valori liberali; se posso dare una precisazione, ai valori della dottrina sociale della Chiesa, ma non è questa destra. Io non mi sento incoerente”. Insomma è il centrodestra che si è spostato, lei è rimasta dov’era. “Esatto”, dice Moratti. Forse questo centrodestra anzi destra-destra è anche un po’ in ritardo, essere trumpiani mentre Trump non si porta più tanto. “Non solo. Ma anche in altre parti del mondo le cose stanno cambiando molto velocemente. Guardi il Brasile. Guardi la Svezia. C’è un mondo in rapida evoluzione, e la domanda di una politica che dia risposte rapide”. “In Italia c’è un mondo interessante, quello delle liste civiche. Io nasco con una lista civica. A Como ha vinto una lista civica. Si può parlare a un elettorato che non trova sempre le risposte dai partiti”.
Uno che non crede nel riposizionamento morattiano è il suo antico rivale, Giuliano Pisapia, colui che nel 2011 la batté alle amministrative milanesi. Undici anni fa, durante un dibattito televisivo, Moratti lo accusò di aver rubato in gioventù un veicolo per compierci un sequestro e un pestaggio, sottolineando come il reato venne poi amnistiato. Indignato, Pisapia parlò di calunnie. Ora le restituisce il favore. L’accusa di cinismo, ha detto che il tempismo del suo ravvedimento è sospetto. Come se Moratti, non avendo ottenuto dal centrodestra la candidatura a guidare la regione, adesso facesse saltare il tavolo.
Moratti dice che non vuole rispondergli, a Pisapia, “io cerco di costruire ponti”, dice, ma “la mia lista civica è nata a febbraio, da quasi un anno, da quando cioè è sfumata l’ipotesi Quirinale”. A proposito, ci aveva creduto? Ci racconta com’è andata? Il suo nome comparve in una terna, insieme a Marcello Pera e Carlo Nordio, lanciata da Giorgia Meloni che sottolineò come Moratti era stata ministro dell’Istruzione come Sergio Mattarella. Si disse che lei si ritirò con la promessa da parte di Berlusconi di candidarla a presidente della Lombardia. Poi non se ne fece nulla. E’ stato un tradimento? Si ritrae un po’, diplomatica. “Io semplicemente mi sono messa a disposizione, ma poi sono stata felice che la riconferma sia andata a un grande presidente come Mattarella”. Però tornando alle liste civiche, le faccio notare che in un certo senso ha fatto la stessa operazione di Pisapia, che nacque con una lista civica nel 2016 e scompaginò il centrosinistra. “Ma io feci una lista civica anche da sindaco. Credo fortemente nel civismo”.
Che ci crede si vede. Fa dichiarazioni, va a presentazioni di libri, adesso appena finita l’intervista partirà a tutta birra per Cremona. Parla molto di orgoglio lombardo. “La Lombardia è indietro, non è più il motore d’Italia. La provincia di Lodi e Pavia, ma lo sa che sono sotto la media del pil italiano? Noi ci confrontiamo sempre di più con macroregioni italiane e la Lombardia è scesa al 97esimo posto su 240, non è che possiamo essere soddisfatti”.
Farà una campagna? “Secondo lei?”, mi guarda strabuzzando gli occhi. “Di solito se si vuole vincere una campagna si fa. E io corro per vincere”. Eccola qua la signora di ferro, la cui esperienza da assessore alla Sanità lombarda, dice, è stata la più significativa ma anche la più dura della sua vita. “Non dormivo la notte. Ero tenuta a fare delle scelte che letteralmente significavano la vita o la morte per le persone”. Che fine ha fatto Giulio Gallera, l’assessore suo predecessore, quello delle incredibili gaffe: la prima risale a fine maggio ‘21. Durante una diretta sulla pagina Facebook “Lombardia Notizie” annuncia che l’indice di contagio era sceso a 0,51. E per rendere il concetto più intellegibile aveva spiegato: “Per infettare me, bisogna trovare due persone nello stesso momento infette perché è a 0,50 no?”. E ancora: “Questo vuol dire che non è così semplice trovare due persone infette nello stesso momento per infettare me”. E questo, aveva concluso “è l’efficacia dell’azione e ciò che ci fa stare più tranquilli e confidenti. Quando è a 1” aveva poi ribadito “vuol dire che basta che io incontro una persona infetta che mi infetto anche io”. Non contento, aveva lodato la sanità privata lombarda: “Gli ospedali privati vanno ringraziati perché hanno aperto le loro terapie intensive e le loro stanze lussuose ai pazienti ordinari”. “Non so”, dice gelida la dottoressa. “credo sia ancora consigliere regionale”.
Ma parteciperebbe alle primarie del Pd? “Io ho fatto piuttosto una proposta di incontrarci su dei temi”. Ecco, i temi, parola chiave che ripeterà infinite volte. Ma lei che è stata per decenni simbolo del centrodestra, come si pone a un eventuale elettorato di centrosinistra? Dice che bisogna uscire da questi schemi, da queste etichette. “In un momento di cambiamenti così forti, bisogna lavorare sulle convergenze, per connettere, a livello politico, territoriale, di mondi diversi”. E qui fa tutta una tirata su sanità e agricoltura, “per esempio nella sanità, siamo di fronte a diversi spillover, dal Covid al vaiolo delle scimmie, ed è evidente che non ci si può occupare di sanità senza occuparsi di ambiente e di agricoltura, insomma non si possono utilizzare i vecchi schemi”, già, ma mentre parla di spillover, sembra che il salto di specie l’abbia fatto lei, Letizia, simbolo per anni del centrodestra, adesso in procinto di lanciarsi come paladina del centro o centrosinistra in Lombardia. Altro tema. “C’è molto lavoro da fare sulla parità salariale”. Oh, finalmente, una cosa di sinistra. “Ma perché, non è mica di sinistra la parità salariale. Bisogna uscire da queste etichette, da questi schemi. Per esempio “conciliare il tema della crescita, dello sviluppo, dell’innovazione, temi considerati di centrodestra, ma con un programma attento ai temi ambientali, della legalità, della cultura, della sanità pubblica”. “Io su alcuni temi già allora ero controcorrente. L’ambiente per esempio. Ma lo sa che sono stata io da sindaco a introdurre, allora si chiamava così, l’ecopass, per le auto inquinanti? Allora non era molto popolare. Mi sono sempre ritenuta una persona libera e indipendente”.
“E’ il centrodestra che si è spostato, io sono rimasta ferma”, dice Moratti, ultima esponente della grande borghesia lombarda. Padre partigiano (fischiato al 25 aprile) e suocero petroliere. L’orto in terrazza e l’impegno per San Patrignano (ha detestato la serie). E’ stata anche banchiera, e ha portato “Un posto al sole” a Napoli
Altri temi più spinosi? L’immigrazione: il governo sta facendo dei pasticci? “Sì. Non si possono risolvere dei problemi che sono internazionali senza una relazione. E queste relazioni vanno costruite con solide basi diplomatiche, non vanno improvvisate”. Ci sono persone di sinistra che l’hanno colpita nella sua vita? “Certo”. Me ne dica una. Ci pensa un po’. “Ecco. Jacques Attali, con il quale abbiamo lavorato sul tema della sostenibilità”. Va bene, poi? “Kerry Kennedy, che ho visto ieri, stiamo lavorando su un progetto su arte e diritti umani che nasce dalla mia associazione Genesi”. Vabbè, ma italiani? Ci pensa di nuovo. Alla fine: “Walter Veltroni per i molteplici impegni di sindaco, ministro, nella cultura e per l'attenzione all'Africa. Alessia Mosca per la politica sulle donne e la legge che prende il suo nome”.
Senta, a proposito di temi di sinistra, Milano in questi anni si è fatta anche epicentro di un’Italia più moderna ed europea, e adesso si rischia che la frattura con un’Italia a trazione sovranista sia ancora più macroscopica. Per esempio sui diritti Lgbt, su cui il governo nazionale è di sicuro più oscurantista almeno sulla carta. “Ah, ma io con la mia fondazione aiuto l’arte e i diritti umani in Africa”. E mi regala il librone della associazione Genesi. Ma al di là dell’arte e dell’Africa, per esempio sul ddl Zan come si pone? “Guardi, non me ne sono occupata, rischierei di dirle delle cose superficiali”.
Sempre a proposito di Milano, Moratti è anche alla base dell’evento che ha trasformato la città grigia e irrilevante degli anni Dieci nella nuova Milano scintillante degli anni Venti: l’Expo, su cui all’inizio nessuno avrebbe scommesso. E’ la sua specialità, prendere in mano dossier complicati e cimentarsi. E spesso riuscire dove altri falliscono. Intanto è saltato fuori il nome di Beppe Sala, manager Telecom. “Aveva delle belle esperienze alle spalle, mi venne segnalato il suo nome in una rosa di candidati”. Ma è vero che quando lo chiamò era in barca a vela, e rispose “torno tra una settimana, dipende dal vento”? Moratti ride, dice “questo non me lo ricordo”, poi precisa: “ma Beppe aveva un curriculum ottimo”, sì, non intendevo che vivesse in barca, ma era estate, almeno così raccontano. E’ vero invece che spese molto del capitale di credibilità e non solo della sua famiglia? Mi hanno raccontato che col suo aereo privato andava da ogni parte del mondo a incontrare leader per convincerli a dare il loro voto su Milano.
“Be’ cosa vuole, io non volevo gravare sul comune, inoltre era l’unico modo, in un anno e mezzo ho fatto 80 viaggi in 60 paesi diversi, quindi son riuscita anche a fare anche tre-quattro capitali al giorno”. “Avevamo creato una bella squadra. Avevamo lavorato al di là degli schieramenti politici. Io ero espressione del centrodestra, ma il mio interlocutore era il presidente del consiglio Romano Prodi. E ho lavorato molto col sottosegretario che se ne occupava, che all’epoca era Enrico Letta”. Attenzione. Quindi con Letta potrebbe essere un ritorno? “Me lo auguro”.
E Berlusconi lo sente? “No”. Secca. “Da diversi mesi. Non rinnego niente, eh. Non disconosco”. Come dire, io sono fedele al Berlusconi che era. Anche qui, è lui che è cambiato. “Ha sempre rispettato la mia indipendenza. Oddio, tranne quando ero presidente della Rai. Lì è stata un po’ più dura, anche se io avevo messo in chiaro che avrei fatto solo gli interessi della Rai. E così ho fatto. Gli ho portato via pure i diritti della Formula 1, che non gli ha fatto molto piacere”. La relazione complicata tra i due è rappresentata plasticamente da una scena: lei era sempre stata refrattaria, a prendere la tessera di Forza Italia, ma l’avevano finalmente convinta a tesserarsi, il fatale 13 dicembre del 2009, sul grandioso palco del Pdl. Ore 18.12: il Cavaliere prende la tessera numero 1. “La Moratti”, sindaco, la numero 2. Ore 18.20, la celebre statuetta con il Duomo di Milano arriva in faccia al povero Cav. Lei stavolta non ride, dice solo: “La tessera l’ho avuta per pochissimo tempo, perché pensavo di poter portare dentro Forza Italia i miei temi, quelli sociali, ma poi quando ho capito che non interessavano, è durata solo pochi mesi”.
Si è sentita frustrata quando all’inizio della pandemia Roma e il Lazio hanno surclassato Milano? “Sì, anche per questo ho accettato di fare l’assessore contro il parere di tutti. Ma alla fine siamo riusciti a far scattare di nuovo l’orgoglio nei lombardi”. Di nuovo l’orgoglio lombardo. E Roma? C’è stata un bel po’, da ministro e da presidente della Rai. Senta, le leggo un pezzo d’epoca di Barbara Palombelli. “C’era una volta – correva l’anno 1994, era un luglio caldo e afoso – una signora genovese-milanese, nata bene e sposata meglio. Partì dalla capitale morale con una valigetta piena di carte, un curriculum eccezionale come solo le grandi famiglie del Nord riescono a produrre, una decina di tailleur color pastello in crespo e gabardine di seta, un assortimento di gioie del genere che un tempo si sarebbe definito fantasia (andando verso il profondo Sud, meglio non mettersi troppo in mostra). Sbarcò da un jet privato e arrivò nella capitale immorale con quel leggero senso di nausea che coglie gli stranieri”.
Sempre questo aereo privato. Non è molto di sinistra, in America lo condannano, Fratoianni lo aborre, nei giorni scorsi c’è stato pure un flash mob nel reparto business di Linate. Moratti è interdetta. “No, è vero, assolutamente. Io però viaggio il più possibile in auto e in treno, ma a volte anche in aereo…”. Poi però non ci sta. “Oh, ma senta. Io potrei fare una vita bellissima, ho delle belle case, ho un castello. Non lo scriva! Ma potrei benissimo…”; e infatti, è quello che ci si chiede sempre tutti. “Ma io sto bene solo se mi metto a disposizione degli altri. Se son felici gli altri sono felice anch’io. Poi, insomma, l’aereo, ogni tanto. Poi credo che i temi importanti siano altri, ecco…”. Ma infatti, chi glielo fa fare. I suoi non sono un po’ stufi di questo suo impegno politico? “No, anzi, mi spingono molto”. Forse non la vogliono in casa, no, scherzo. Ride.
Lei è stata pure banchiera, prima donna nel consiglio di amministrazione della Comit. E poi prima donna presidente dell’Ubi Banca. Di questo si sa poco. “Ma di tante cose che faccio si sa poco”. Per esempio? “La fondazione per l’Africa che ho fondato nel 2015, siamo presenti in 18 paesi dove formiamo imprenditori e li mettiamo in contatto coi nostri, un’alleanza con 20 università africane per formare capitale umano. Queste sono le risposte da dare al fenomeno migratorio, non altre”, ribadisce. Ma senta, da donna a donna, ha qualche consiglio da dare a Giorgia Meloni? “Non ha bisogno di consigli”. Ma c’è ancora molta misoginia nella politica italiana? “C’è difficoltà, quella l’ho riscontrata sempre, se sei la prima donna sindaco, la prima donna presidente della Rai, eccetera”. E’ vero che per una donna è più facile fare carriera a destra piuttosto che a sinistra? “Mah, mi sembra che siamo di nuovo dentro quegli schemi superati…”.
Senta, non mi ha detto se si riconosce in quel ritratto d’epoca che le fece Barbara Palombelli. L’algida milanese a Roma. Anche lei odiava la capitale, come molti lombardi? “No, assolutamente non è vero, anzi la amo moltissimo. Non è vero neanche quello che si dice, che non si lavori. Certo magari io ho contribuito a portare orari milanesi. Arrivavo in ufficio presto, verso le otto, forse orari non proprio romani”. E trovava qualcuno? “Be’ sì, andandoci io dovevano venire per forza”. Aveva lo spleen dei vertici Rai nordici che piombano nella capitale? Ognuno ha una storia di disperazione, Verdelli non si è mai più riavuto, Campo Dall’Orto stava nel residence dove si suicidò Dino Risi. “Ah, no, per fortuna avevo, anzi ho, una casetta che era di mio suocero, e poi di mio marito, non ho mai avuto quel problema”. E’ vero che da presidente Rai aveva appesa in ufficio la foto di sua nonna Mimina Brichetto Arnaboldi? Mitica tenutaria di salotti letterari, amica di Montale e Croce. “Sì, vero, la tengo anche qui. E anche nell’ufficio da ministro”. Ministro dell’Istruzione. All’epoca girava un’imitazione di Paola Cortellesi, a cui chiedevano: dica una parolaccia. E lei, Cortellesi-Moratti: “Scuola pubblica!”. “Sì, me la ricordo, era divertente, oggi ce n’è un’altra di Paola Minaccioni che gira sui social. Però le dico una cifra. Quando sono diventata ministro ho trovato uno stanziamento di 40 miliardi di investimenti nella scuola pubblica e 500 milioni nelle private; quando ho lasciato il ministero c’erano altri 5 miliardi in più nella scuola pubblica, e per la privata erano rimasti i 500 milioni”.
Altra musa è un’altra nonna, che si chiamava Letizia e “che sotto le bombe faceva funzionare le fabbriche di famiglia ed era sindaco di un piccolo comune dove abbiamo casa, Rivarolo”. Fabbrica di cosa? “Mattoni, laterizi”. E poi c’è il papà, Paolo Brichetto Arnaboldi, “partigiano”. Ah, benissimo. “Non aveva mai voluto andare a una manifestazione del 25 aprile finché non volle venire con me nel 2006”. Moratti era in piena campagna elettorale, sarebbe stata eletta qualche giorno dopo. “Lo avevo avvisato che ci sarebbero state delle proteste. ‘Sono stato prigioniero a Dachau, rispose. Figurati se mi fanno paura i fischi’. A Dachau era stato liberato dal generale Patton”.
Un uomo importante nella sua vita è stato anche il suocero, il leggendario Angelo Moratti, figlio del farmacista di piazza Fontana, che dal commercio di oli combustibili tirò fuori una delle aziende più fiorenti d’Italia, la Saras regina dei petroli. “Era un personaggio straordinario che ha sempre creduto in me”. Angelino Moratti era uno dei dioscuri della Milano del sogno, insieme ad Angelone (Rizzoli). Era anche un gran ballerino, Angelino, lo chiamavano infatti “il samba”. Nelle balere insieme alla moglie, la Erminia, ex telefonista della Stipel, emblema della Milano arrembante ma solidale, che regalava monete d’oro ad amici e ospiti. Anche lei, Moratti, si dice che abbia la danza nel sangue. E’ vero che voleva fare la ballerina? “Sì, ma ero troppo alta”, dice Moratti illuminandosi. Voleva fare anche architettura, o lingue, tutte strade che il padre riteneva poco adatte a una fanciulla. “In realtà già l’idea che mi laureassi suscitava perplessità, così come quella di lavorare”. Ci sveli un mistero, ma il famoso video che gira, di una dama che balla scatenata, e le assomiglia molto, è lei o non è lei? “Certo che sono io. Io appena posso ballo”.
L’altra grande passione è “valorizzare i territori”. “Per esempio, da ministro ho creato l’università di Pollenzo di scienze gastronomiche insieme a Carlin Petrini. Con qualche gelosia da parte degli altri atenei piemontesi”. Be’ ma anche questo è di sinistra, benissimo! “E poi quando ero presidente della Rai ho avuto io l’idea di portare una fiction a Napoli”. Non mi dirà che… “Sì, ‘Un posto al sole’. E’ stata un’idea mia e di Giovanni Minoli. Non ci credeva nessuno. Era un format australiano, della Grundy. Ho pensato che avrebbe portato a Napoli oltre che identità posti di lavoro, scenografi, tecnici, competenze e così è stato”. Lei lo guardava? “Mah, sì, le prime puntate, e prima il pilota, ma poi non è che ne avessi tempo”. Servirebbe una fiction per rilanciare Lodi e Pavia adesso. Ride. A proposito di fiction, è arrabbiata ancora con Netflix per “Sanpa”? Si sa che le è piaciuto pochissimo. Si irrigidisce. “Mah, voleva esporre luci ed ombre… ma si vedevano solo ombre… comunque mi sembra che la serie non abbia inciso moltissimo”. Si sa che lei e il marito hanno finanziato con immani somme Muccioli, e il legame è profondissimo “tanto che mio figlio Gabriele vive lì, ora”. Gabriele è quello della casa di Batman, scandalo edilizio minore, ha un brand di abbigliamento che si chiama Redemption (“credo che abbia cambiato nome adesso”); poi c’è la figlia Gilda che sta a Milano, vicino alla mamma, e poi ci sono quelli avuti da Gianmarco, mancato nel 2018, con la prima moglie, Lina Sotis, “con la quale siamo vere amiche. Con Lina e Gianmarco siamo riusciti a creare una splendida famiglia allargata, quattro figli che si adorano!”, ottimo, un altro tema di sinistra. Sua figlia Gilda a proposito prendeva ripetizioni di storia da Indro Montanelli, amico di famiglia. “Sì, aveva un rapporto bellissimo con Indro, è stata molto fortunata”. Montanelli chiamava Letizia “soave pugno di ferro”. Però quando lei divenne presidente della Rai litigaste. “No, non litigammo. Lui disse solo: ‘Questa Letizietta farà fare bella figura a Berlusconi, e questo non mi fa piacere’”.
Lei sembra ringiovanita negli anni, ammorbidita. Anche più social. Ha fatto un video mentre cucina un risotto. “Ma sì. Mi dipingono sempre come una persona fredda, algida, allora ho deciso di rendere un po’ più partecipi le persone delle mie passioni, che siano la cucina, o i cani, o il mio orto, dove mi rifugio qualche sabato o domenica”. Senta, e se non vincesse? “Ma io corro per vincere”, ripete, alzandosi, pronta a correre da un’altra parte. “Per ridare una visione alla Lombardia. Ritornare in cima alle classifiche… Ridare un sogno”. E su questo finale onirico, con un sogno fatto in Lombardia, il pensiero corre per un attimo al Cav., ma si capisce che è un sogno di tanto, tanto tempo fa.