il vertice
L'imbarazzo di Tajani, che a Bruxelles si sente dire: "Mai più guasconate sui migranti"
Già alla vigilia dell'incontro il ministro mostrava scetticismo per l'accordo con Malta, Cipro e Grecia: perché le prove di forza, se finiscono in nulla, diventa ammissioni di debolezza
Al Consiglio Affari esteri il capo della Farnesina si ritrova di fronte al muro di Borrell. La francese Boone: "I trattati si rispettano anche se cambiano i governi". E anche la tedesca Baerbock ribadisce la necessità che Roma soccorra e accolga i naufraghi. La prossima settimana nuovo vertice
All’inizio perfino inserirlo nell’ordine del giorno è stato difficile. “Andiamo a Bruxelles per parlare di Ucraina e Balcani”, dicevano domenica sera, all’unisono, a Berlino e Parigi. E forse, chissà, non è detto che sia stata davvero una vittoria, per Antonio Tajani, ottenere che almeno in coda al Consiglio degli Affari esteri dell'Ue, nel tempo residuale delle “varie ed eventuali”, venisse inserito il tema dei migranti. Perché in effetti è successo quel che il capo della Farnesina temeva: e cioè che, da una discussione richiesta senza preavviso, e sulla base di una piattaforma di alleanze alquanto improbabile – andare allo scontro forti del sostegno di Malta, Cipro e Grecia: sai che affare – finisse col rattrappire l’Italia in una posizione scomoda. E con un’avversaria in più del previsto: la Germania.
Perché Annalena Baerbock, ministra degli Esteri tedesco, esprime una linea netta, in tema di gestione dei migranti. Ed è decisamente contraria a quella italiana. D’altronde, non si spiegherebbe altrimenti la spinta del suo partito, quello dei Verdi, per approvare al Bundestag un emendamento alla Finanziaria che stanzia 8 milioni in 4 anni per sostenere le operazioni di salvataggio nel Mediteranneo da parte della ong tedesca United4Rescue. Scelta forse temeraria, ma non casuale. E infatti, nelle ore in cui il governo italiano, tramite l’infaticabile ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, cercava firme per la sua petizione antisbarchi, l’ambasciatore tedesco a Roma, Viktor Elbling, twittava il suo encomio per quelle stesse ong che Guido Crosetto, ministro della Difesa, definisce non troppo amabilmente “centri sociali sull’acqua”.
Si capisce, allora, lo zelo di Maria Tripodi, sottosegretaria forzista agli Esteri, nel cercare di ridimensionare la portata della tensione: “Un po’ come per la morte di Mark Twain, anche la notizia di un supposto scontro diplomatico con Parigi e Berlino è fortemente esagerata”, dice. E lo fa da Berlino, dove è volata per un incontro con la sua omologa tedesca Susanne Baumann. “Come primo membro del governo Meloni a recarsi all’Auswartiges Amt, ho potuto verificare la piena consonanza tra Roma e Berlino sui valori fondanti della politica estera. Il sottosegretario Baumann ha avuto parole di gratitudine verso di noi per la politica umanitaria del governo italiano dimostrata anche nei casi di questi giorni”. Che però, a ben vedere, pare piuttosto una condizione non negoziabile da parte della Germania: che anche giorni fa, nello sfilarsi dalla richiesta francese di isolare l’Italia sul piano di redistribuzione, ha subordinato il mantenimento degli impegni di solidarietà al fatto che Roma non si sottragga al suo dovere di salvare e accogliere i naufraghi.
Ed è un po’ il senso del messaggio recapitato ieri, a Bruxelles, a Tajani. Il ministro degli Esteri, che la diplomazia la mastica da par suo, sapeva che c’era poco da esultare per il sostegno ricevuto da Cipro, Malta e Grecia. Perché insieme fanno dodici milioni di abitanti: meno del Belgio, meno della sola Baviera. Con colleghi di FI, già giorni fa, spiegava che le prove di forza diventano autolesioniste se si risolvono in ammissioni di debolezza. Per cui, quando ieri s’è ritrovato a difendere, con una convinzione forse non esattamente granitica, la bontà della posizione italiana (“Abbiamo ricevuto un mandato chiaro”), ha capito che di spazio di manovra ce n’era poco. E infatti Laurence Boone, ministra degli Affari europei transalpina che già ebbe a pronunciare il suo “monitoreremo” all’indomani della vittoria di Giorgia Meloni, ha subito ribadito che “i trattati in Europa restano validi anche quando si avvicendano governi diversi, altrimenti dovremmo rivedere le norme a ogni cambio di stagione”. Baerbock ha annuito. E un po’ tutti i colleghi hanno ribadito che l’incidente non deve ripetersi. “Sia chiaro che noi cerchiamo una soluzione comune, non una polemica con qualcuno”, ha chiarito Tajani. Josep Borrell, alla fine, ha concesso il minimo sindacale. “Abbiamo discusso di migrazione. Non era un punto specifico dell’agenda – ha ricordato l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza – ma alcuni eventi nel Mediterraneo ci hanno fatto discutere. Come potrebbe essere altrimenti? C’è stato uno scambio di vedute. Dovremo continuare a discutere. Ma oggi niente di concreto”.
Più nel concreto si andrà, pare, alla fine della prossima settimana. Ma la risolutezza è il contrario di una concessione all’Italia. La solerzia nell’ipotizzare un nuovo vertice si spiega, anzi, con l’ansia condivisa da tutti affinché non si ripetano i pastrocchi dei giorni scorsi al largo della Sicilia. Il vertice coinvolgerà i ministri dell’Interno, ma si valuta di affiancare a loro anche i responsabili degli Esteri. Per evitare che si finisca in lite. Il “merde alors” del ministro lussemburghese, di fronte alle guasconate salviniane sui “porti chiusi” nel 2018, a Bruxelles se lo ricordano ancora.