In Sicilia il litigio tra Schifani e Micciché ha fatto implodere la maggioranza
Dopo la baruffa per l'assessorato alla Sanità, il coordinatore locale di Forza Italia ha messo in difficoltà il presidente di regione al primo test. Durante l’elezione dei vicepresidenti dell’Assemblea regionale il primo degli eletti è stato Nuccio Di Paola, un grillino
Pronti, partenza e stop. Sono serviti 52 giorni a Renato Schifani per comporre la giunta siciliana e un paio di pomeriggi per vedere tutti i suoi sforzi vanificati. Al primo vero test – l’elezione dei vicepresidenti dell’Assemblea regionale – il centrodestra è andato clamorosamente sotto: il primo degli eletti, Nuccio Di Paola, è un grillino; la seconda, Luisa Lantieri, si ferma ad appena 32 preferenze. Sei in meno rispetto alle previsioni. Il che rende vero un assunto: la maggioranza non esiste.
Nel parlamento siciliano, mercoledì, erano presenti 68 deputati su 70. Tra questi, come ovvio, si contano almeno cinque “franchi tiratori” (dato che una scheda è risultata nulla). Un paio potrebbero provenire da Forza Italia, il partito del presidente della Regione. Che nelle ultime ore è caduto nel ridicolo: complice la rottura insanabile fra Schifani e il coordinatore regionale Gianfranco Micciché, che per altro non ha ancora mollato il seggio al Senato. I due, dopo aver condotto una campagna elettorale a braccetto, hanno litigato furiosamente per l’incarico di governo più opulento: l’assessorato alla Sanità. Schifani l’ha avuta vinta con la nomina di un tecnico, ma Micciché – il responsabile del mancato bis di Nello Musumeci – si è subito messo di traverso: annunciando di votare “secondo coscienza” e defilandosi dalla maggioranza assieme a una manciata di seguaci. Ed è andato oltre, provocando lo scisma nel partito e la nascita di due gruppi parlamentari: il suo è stato ribattezzato, nello stupore dell’intero parlamento, Forza Italia-2.
Il primo, Forza Italia-1, appartiene a Renato Schifani e Marco Falcone, fresco assessore all’Economia. Ma qui è Schifani che rischia di aver fatto male i calcoli: senza i miccicheiani, infatti, la sua coalizione raggiungerebbe a stento le 36 unità, la maggioranza più uno del parlamento. E anche un semplice raffreddore lo costringerebbe ai salti mortali per portare a casa un singolo provvedimento. Passi per questa iattura, è assai inverosimile che un partito blasonato e solido (Forza Italia, in Sicilia, ha sfiorato il 17 per cento) ottenga la carica più ambita e poi deflagri. E Berlusconi? A Palermo lo invocano più di Santa Rosalia, ma per il momento il Cav. soprassiede. Tra Schifani e Miccichè sarebbe come scegliere tra il figlio maschio e la figlia femmina: impossibile.
Non bastassero i disagi in casa propria, al neo governatore rimangono altri ‘nemici’. Ignoti, per il momento. Anche se tra i corridoi del parlamento più antico del mondo, nessuno è rimasto insensibile all’altra polveriera: quella fra patrioti. Un paio di (ex?) fedelissimi di Musumeci, tornato da qualche mese in Fratelli d’Italia, sono stati estromessi dalla giunta mentre già pregustavano il decreto di nomina. Per fare spazio a due “illustri sconosciuti”: Francesco Scarpinato, un consigliere comunale di Palermo tanto caro a Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura; ed Elena Pagana, che sarebbe considerata una enfant prodige della politica, coi suoi 31 anni, se non fosse anche la moglie dell’ex assessore alla Salute, Ruggero Razza. Un altro fedelissimo – più fedele di altri, a quanto pare – del Ministro del Mare. Touché.
Le imposizioni romane hanno fatto saltare il banco e provocato parecchi mal di pancia. Gli esclusi hanno tirato in ballo la dignità, mentre Schifani ha dovuto chinare il capo e sconfessare se stesso, rinunciando alla regola della giunta formata da “soli eletti”. Per un attimo sembrava fosse disposto a dimettersi, ma gli sono bastati un paio di pomeriggi, appunto, per riflettere che era meglio obbedire. Evitando alla Sicilia un ritorno anticipato alle urne. Ma non l’ennesima umiliazione, figlia di un’altra scorribanda romana. La prima, tolto il contentino per Musumeci (divenuto Ministro del Mare senza mare), aveva privato l’Isola di qualunque peso a livello nazionale (solo Matilde Siracusano, di Forza Italia, ha fatto ingresso nel sottogoverno della Meloni). L’ultima, però, è persino più indigesta: impedisce a Schifani di decidere in casa propria. Mantenere le redini di un cavallo impazzito, con queste premesse, è quasi impossibile.