Il caso
La chimera di Conte per fermare il termovalorizzatore passa da Colleferro
Il capo del M5s ha studiato il piano Rifiuti del Lazio e si è convinto che c'è una soluzione "innovativa e non inquinante" per gestire i rifiuti della Capitale: "Bisogna guardare a Colleferro", dice, ma sarebbe meglio guardare i numeri
In fondo è come Don Chisciotte. Con una differenza. Non combatte i mulini a vento, ma si scaglia, senza pietà per governi e alleanze, contro il termovalorizzatore di Roma, al grido: “A Colleferro! A Colleferro!”. C’è chi dice sia solo cinismo politico, ma a noi piace immaginarlo diverso, un Giuseppe Conte sognatore. Come l’eroe di Cervantes, che fu sedotto fuori tempo massimo dall’epica cavalleresca, anche il capo grillino per fantasticare sui destini della monnezza capitolina ha trovato la sua pezza d’appoggio: il piano rifiuti della Regione Lazio.
E’ proprio in questo lunghissimo documento (oltre mille pagine di tabelle, elenchi di impianti e ipotesi di scenario) che nasce la “chimera Colleferro”. Il rivoluzionario impianto che – sostiene il capo del M5s – può risolvere il problema rifiuti senza alcun nuovo termovalorizzatore. “Vogliamo un impianto così, che recuperi materia e non la bruci”. Ma la dura realtà, almeno quando si parla di monnezza, è che i miracoli non esistono. La cosa incredibile è che il piano rifiuti del Lazio, un documento atteso per 7 anni, dal 2013 (chiusura della discarica di Malagrotta) al 2020, si basi in gran parte su quest’impianto dai tratti misteriosi. Si legge alla pagina 122 del piano. “Si prevede la costruzione di un compound industriale capace di ricevere e trattare i rifiuti urbani residui per trasformarli in materie prime seconde, sottoprodotti e prodotti, che incorpori tutte le migliori Bat (Best Available Tecniques) e BRef (Best References) dell’Unione europea, un processo di trattamento finalizzato al massimo recupero di materia”. Tradotto? Non si sa. L’impianto doveva essere pronto nel 2023, ma non c’è ancora neppure il progetto. Ma c’è di più. Per risolvere davvero la questione avrebbe dovuto trattare 500mila tonnellate di rifiuti all’anno, ma già nel piano si ammette: ne potrà trattare solo 250mila, poco più di un quinto dell’indifferenziato prodotto dalla sola Roma (dati Ispra 2019). Non basta. I contrari al termovalorizzatore ricordano sempre che: “Per l’Europa è la penultima tecnologia da usare”. Quel che dimenticano di dire è che l’ultima spiaggia, quella da evitare assolutamente, è la discarica. Senza inceneritore Roma e le altre province, lo dicono i numeri, ne dovrebbero trovare più d’una. Non c’è Colleferro che tenga. Per Roma e provincia oggi n’è rimasta una, quella di Albano, un invaso di proprietà di una società gravata da un’interdittiva antimafia, senza autorizzazione ambientale, ancora attiva solo grazie a un’ordinanza emergenziale del sindaco.
Non è un caso che Nicola Zingaretti che ancora oggi rivendica la scelta politica di aver cancellato dal suo piano i termovalorizzatori, allo stesso tempo avvalli la scelta di Gualtieri. Una contraddizione? Senz’altro, ma che l’ex governatore impunta all’inerzia grillina che in cinque anni alla guida della città non ha individuato le discariche necessarie a rendere almeno un po’ meno utopico il piano regionale con la chimera Colleferro al centro.