Chi è, da dove viene e cosa vuole Stefano Bonaccini, candidato alla guida del Pd

Marianna Rizzini

Come si protegge il futuro? Pragmatismo, europeismo, atlantismo: un modello di governo in regione da esportare in Italia. Ritratto di un candidato anti fuffa

Il tempo corre, il congresso si avvicina, l’ex tessera numero 1 del Pd Carlo De Benedetti ha detto al Corriere della Sera che il Pd è un partito di “baroni imbullonati e schizzinosi” e che la segreteria Letta è stata un disastro e Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna, da oggi candidato ufficialmente alla guida del Pd, e nome favorito per la successione al vertice del Nazareno, ha passato l’ultima settimana, in attesa dell’assemblea pd, sotto la lente d’ingrandimento degli aruspici, intenti a scrutare ogni sua mossa e a pesare ogni sua parola in cerca di indizi: si candida, sì, ma quando? E come? E contro chi, soprattutto, ché il punto è anche questo, vista l’incertezza che circonda gli altri possibili contendenti e i tanti sommersi sostenitori della contendente numero uno, quella Elly Schlein che dell’Emilia-Romagna è stata vicepresidente.

 

Derby emiliano, lo hanno chiamato in prospettiva, mentre Bonaccini, sostenuto da Base riformista e da un blocco consistente del partito, anche se le principali correnti non sembrano intenzionate a sostenerlo, cercava in tutti i modi di veicolare il concetto: questo non deve essere un congresso di correnti (e quindi io, questo l’altro concetto, non posso certo essere soltanto il candidato di Base riformista). Ma quelle, le correnti, spuntano carsiche ovunque, tanto che l’ex ministro Dario Franceschini è già stato dato per sostenitore mezzo-occulto di Elly Schlein almeno due volte in una settimana.

 

E insomma: il governatore, dice un deputato pd emiliano che lo conosce bene, “quasi sta faticando più ora, a dover sviare sospetti di correntismo, che nei giorni duri d’inizio pandemia”, quando l’Emilia-Romagna era diventata punto di riferimento nella gestione fattiva del lockdown. Non a caso i cronisti ricordano un Bonaccini intento, nei giorni stralunati del marzo 2020, a rispondere personalmente a chi gli domandasse aggiornamenti sulle donazioni per l’acquisto di apparecchiature sanitarie per gli ospedali e a sostegno della sanità locale in generale, con tanto di coinvolgimento di artisti e cantanti, da Vasco Rossi in giù. E nei primi mesi di quest’anno è stato sempre lui, Bonaccini, a lanciare la proposta della modalità “autotest” per “evitare la pandemia burocratica” e snellire le procedure per gli asintomatici da Covid.

 

Nel frattempo Bonaccini si era fatto testimonial su ogni social – da presidente di regione molto instagrammista – per la campagna vaccinale, facendosi ritrarre con e senza camicia e con mascherine di vari colori, finendo anche per questo sotto torchio mediatico dei troll no vax. “E’ un patto con i cittadini”, lo snellimento burocratico di uscita dal Covid, diceva allora il governatore che nei giorni scorsi, in veste di quasi-candidato al congresso, rispondeva da Sibilla cumana, ma con tono di colui che si mette al servizio degli iscritti, alla domanda: “Ma allora ti candidi?”. E dunque si poteva sentire la vasta gamma di “ni” che volevano essere dei “sì” non potendolo ancora essere davvero: “Se sono utile mi candiderò”, diceva un mese fa a Firenze, alla festa di questo giornale. “Lo vedremo nei prossimi giorni”, ha detto la settimana scorsa a Bologna, lasciando gli astanti impazienti, anche visto il contestuale scatto in avanti pre-congressuale (o bluff?) del governatore campano Vincenzo De Luca e visto l’impegno quasi esplicito del sindaco di Firenze Dario Nardella, che domenica 27 riunirà a Roma, sotto il nome di “ideaPd”, vari esponenti dei territori che abbiano “voglia di partecipare e portare idee nuove e forti”. Bonaccini c’era già, ma cercava di non dare troppo nell’occhio, anche se poi parlavano le sue foto, a partire dalla foto-profilo di WhatsApp, recentemente mutata in foto volitiva giovanile con capelli scuri e maglietta.
   

Antefatto estetico-politico: corre l’anno 2019 e Stefano Bonaccini, candidato per il secondo mandato alla Regione Emilia-Romagna contro la leghista Lucia Borgonzoni, in tempi di pieno boom salviniano e di choc percettivo della regione rossa che si trova coinvolta nel testa a testa con i verdi di Salvini, improvvisamente si mette a postare foto auto-motivazionali, modello Rocky Balboa, mentre fa sport in palestra, oltre a foto con camicia semiaperta e nuovo occhiale a goccia, cosa che gli esperti di look politici hanno subito bollato come “metamorfosi hipster” di un uomo cresciuto nel modenese in anni puri e duri in cui di hipster non c’era nulla. Fatto sta che la svolta hipster, in quei mesi pre-pandemia, porta fortuna a Bonaccini (che viene rieletto, segnando un’inversione di rotta per la Lega con cui pure, da anni, da governatore, discuteva di autonomie). E qualche giorno fa, con la Lega nel governo di Giorgia Meloni, Bonaccini, che alla guida del Pd come ha detto al Foglio qualche giorno fa vuole portare un concetto nuovo e potenzialmente interessante, ovvero “proteggere il futuro offrendo un vaccino contro la truffa del protezionismo sovranista”,  ha parlato di autonomia differenziata, non senza preoccupazione: “Mi sono permesso di dire al ministro Calderoli che andrebbe eliminata la questione dei residui fiscali, perché altrimenti si rischia la secessione e non l’autonomia. Va eliminata anche la scuola, tolta dal banco. Non è una competenza di gestione delle regioni, con venti scuole diverse non ci sarebbe una cornice nazionale”. 
 

E se Bonaccini, come dice lui, è uno che “tifa per l’Italia e non contro l’Italia”, cosa che ha ribadito nel giorno più triste per il Pd, all’indomani del risultato elettorale nazionale (della serie: l’importante ora “è che il governo si faccia in fretta” e che “si mettano da parte le dichiarazioni improvvide sul cambio del Pnrr”), lo stesso Bonaccini deve ora fare il tifo per il Pd in un momento in cui c’è chi, nel partito, sembra far il tifo contro il Pd o almeno contro il Pd per com’è stato finora, da cui tutto il contorno di tentazioni movimentiste e di manovre sotterranee per cambi di nome, identità, logo e dicitura. 
 

Lui, il quasi-candidato ora candidato, aveva per tempo messo in chiaro le sue idee nel libro “Il paese che vogliamo. Idee e proposte per l’Italia del futuro” (ed. Piemme): “Qui c’è tutto ciò che conta, ciò che siamo e ciò che vorremo essere”, diceva allora: “Vale per l’Emilia-Romagna, vale per l’Italia. Allora riprendo gli appunti sparsi, quelli di ogni giorno. I pensieri, le scalette delle cose da fare e di quelle da dire nelle tante tappe che scandiscono la giornata, le questioni da verificare e gli spunti di lavoro, i suggerimenti che mi arrivano. Decido di sistemarli. Per tenere il filo di un cammino. Sono quelli che potete leggere nelle pagine di questo libro. Non un programma per l’Italia o un manifesto elettorale. Sono le cose che annoto ogni giorno toccando con mano i problemi, provando ad allargare lo sguardo al paese e allungando la vista oltre la contingenza”. 
 

Era la dichiarazione di metodo che, dice un bonacciniano, “Stefano vorrebbe applicare al Pd”. Un Pd dove però la contingenza è densa di scarti all’indietro e di lato (verso i Cinque stelle) e dove i portatori di linea riformista vengono spesso accusati, alla sinistra del partito, di pericolosa intendenza con il Terzo polo. Tanto che un mese fa, su La7, a “Otto e mezzo”, all’ennesima allusione, Bonaccini è sbottato. Non con il suo intercalare tradizionale “stiamo scherzando?” ma, a proposito del suo rapporto con Matteo Renzi, Carlo Calenda e Pierluigi Bersani, con la frase: “Renzi ha fatto un altro partito, io ho fatto un’altra scelta. Sono amico di tanti ma il Terzo polo dovrà decidere cosa fare, hanno perso anche loro”. E dunque: vista la sconfitta, prima si fa il congresso meglio è, andava dicendo il governatore a quelli che, al contrario, avrebbero preferito procrastinare. E c’è chi adesso gli ricorda, come incoraggiamento, che nel 2019, prima delle regionali, nell’Emilia che a sinistra guardava già all’ambientalismo (vedi Schlein) e ai movimenti spontanei (vedi Sardine) lui, Bonaccini, era risultato nei sondaggi più benvoluto del Pd stesso, secondo allora soltanto a Luca Zaia nella scala di gradimento dei governatori, e molto conosciuto ovunque anche grazie all’abitudine di fermarsi a parlare con gli avventori di bar e autogrill, cosa che Bonaccini fa dalla notte dei suoi tempi politici (da quando cioè, negli anni Novanta, era segretario della sinistra giovanile locale).  
 

Prima bersaniano, poi renziano (nel senso del sostegno dato all’uno o all’altro alle primarie di quegli anni), Bonaccini ha un background di piazza (nel senso della politica da fare non al chiuso delle segrete stanze), con qualche eccezione polemico-televisiva, per esempio lo scorso inverno, a “Cartabianca”, quando il governatore non ce l’ha fatta più di fronte al professor Alessandro Orsini che parlava di bambini sotto le dittature (ma questo qui dovremmo pure pagarlo perché vada in tv? era stata la frase dalla pazienza fuggita).
 

Figlio di un camionista e di un’operaia, Bonaccini è invece marito di una moglie che da molti anni si occupa di abbigliamento, conosciuta ai tempi in cui faceva l’assessore a Modena, durante una riunione con le associazioni del commercio di zona. Visti, presi e mai più lasciati, i coniugi Bonaccini sono genitori di due figlie e fedeli alla linea del “non si parla di campagne elettorali a pranzo e a cena” (anche se pare che ultimamente Bonaccini abbia fatto “qualche conversazione casalinga in deroga”, scherza un amico). Due volte alla Regione, alla fine del primo mandato il governatore ci teneva a sottolineare che la disoccupazione, durante i suoi primi cinque anni, era scesa al di sotto del 5 per cento. Poi c’è stato il Covid, ma l’Emilia non è crollata. Sempre durante il primo mandato, il candidato segretario del Pd si è trovato di fronte a grandi problemi di realpolitik in una regione ad alto tasso industrial-manifatturiero, a partire dal “che fare?” a proposito della plastic tax sognata dal governo Conte bis – tassa che, vista dall’Emilia-Romagna, faceva notare allora allo stesso Pd il governatore, andava a scontrarsi con il cuore del lavoro delle molte aziende del settore imballaggi presenti sul territorio emiliano. Si era ai prodromi degli scricchiolii rossogialli, e vai a pensare che il congresso pd con Bonaccini in corsa avrebbe avuto come tema sotteso proprio quello dei rapporti con il M5s contiano.
 

“Si eviti una campagna pd con toni già di sconfitta”, era il pensiero attribuito a Bonaccini alla vigilia del 25 settembre. “La responsabilità della sconfitta è collettiva, darò il mio contributo perché il partito non si perda”, era il pensiero attribuito a Bonaccini il 26 settembre. E infatti ora in campo c’è anche lui, governatore soprannominato da Renzi “il Bruce Willis di Campogalliano” e dai fan internettiani, all’indomani della vittoria contro la Borgonzoni, “l’Iron man dell’Emilia” (fu allora che sugli schermi dei telefonini cominciarono a circolare molti meme a tema). Ricostruire il Pd senza scioglimenti, è l’obiettivo del governatore di una regione dove purtroppo di ricostruzione ci si intende (Bonaccini è stato commissario), da almeno dieci anni, da quando cioè il terremoto del 2012 ha spazzato via case e aziende. “Abbiamo ricostruito il 95 per cento di ciò che era distrutto o inagibile”, aveva detto il governatore qualche mese fa, in occasione di una visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Abbiamo deciso di non fare delle new town”, diceva il governatore, “ma di rischiare di metterci qualche anno in più e fare in modo che le persone tornassero a vivere esattamente dove lo facevano prima”. Dieci anni che hanno reso più forte l’Emilia, e dieci giorni – gli ultimi – che rischiano di rendere più debole il già indebolito Partito democratico (vedi tormentato caso Majorino-Maran a Milano, e vedi contorsioni sulle regionali a Roma).

  
Che fare? Intanto fare presto, ha ripetuto per un mese Bonaccini, vedendo acquattati dietro le tende del Nazareno gattopardi e non giaguari (non è che qualcuno per caso vuole che tutto rimanga com’è? era infatti il pensiero sotteso alla fretta invocata dal governatore di fronte ai fautori dell’infinita dilazione). Ottenuto l’anticipo del congresso, è il momento dei contenuti? Non ancora. Si ritorna a bomba, infatti, in questi giorni, al pericolo “correntismo”. E infatti ancora non si sa bene del tutto chi partecipa e in nome di chi (o che cosa). Lui, Bonaccini, c’è, come dicono intanto le voci che si rincorrono in quel Campogalliano. Proteggere il futuro, dunque. La sfida è stata lanciata. Il futuro del Pd è incerto ma la competizione, oggi più che mai, per il Pd può essere un toccasana e Bonaccini da ieri è il candidato da battere.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.