un giallo senza indizi
Da Cuffaro a Schifani. Il cortocircuito del centrodestra sui termovalorizzatori in Sicilia
La realizzazione dei due impianti promessi da Musumeci è un'incognita. “Attiverò subito le procedure”, ha detto più volte il presidente della regione, ma l'ultimo atto ufficiale è dello scorso febbraio. Poi il nulla. E l'assessore all’Energia e ai Rifiuti: "Non vorrei mancasse il business plan. Senza il contributo pubblico non conviene realizzarli"
Nel trending topic della politica siciliana degli ultimi trent’anni, la parola "termovalorizzatore" sarebbe seconda solo a "Ponte". Ma neppure Schifani sembra in grado di venirne a capo. I due impianti promessi dal suo predecessore, Nello Musumeci, sono al centro di un giallo senza indizi, di cui l’intero centrodestra, a partire dalla Lega, chiede conto e ragione. L’ultimo atto ufficiale è una manifestazione d’interesse scaduta a febbraio, che ha visto la partecipazione di sette società (disposte a gestirli). Poi il nulla.
Dopo mesi di inspiegabile silenzio, inframezzati dagli annunci della campagna elettorale, è tornata in bilico persino la location. Il presidente della Regione, insediato da metà ottobre, ha ripreso a chiedersi se uno dei “termoutilizzatori” – parola utilizzata da Musumeci per addolcire la pillola agli ambientalisti – possa realizzarsi a Palermo, a ridosso della discarica pubblica di Bellolampo, piuttosto che a Gela, dov’era previsto originariamente. E persino il nuovo assessore all’Energia e ai Rifiuti, l’autonomista Roberto Di Mauro (dello stesso partito di un altro ex governatore: Raffaele Lombardo), ha espresso alcune perplessità di natura economica: “Non vorrei che i ritardi sulla pubblicazione dei bandi per costruire i due termovalorizzatori siano dovuti alla mancanza di un business plan. Questi impianti - ha aggiunto - hanno dei costi di gestione altissimi” che andrebbero sostenuti “con la tariffa di smaltimento” a carico dei Comuni. E infine: “Credo che senza il contributo pubblico venga a mancare la convenienza a realizzarli”.
Potrebbe essere la pietra tombale su mesi di inutili millanterie. Anche se Schifani, con una maggioranza deflagrata ancor prima del via, proverà a informarsi. A capire fin dove potrà spingersi con le parole (“Attiverò subito le procedure” ha ribadito per l’ennesima volta). E, quando, invece, dovrà soccombere alla realpolitik, che si rivela sempre meno spumeggiante dei comizi. Ora come ora la raccolta dei rifiuti in Sicilia è disordinata, costa troppo e non risolve nulla: in qualche modo si dovrà sopperire, evitando che dell’emergenza perenne si avvantaggi la criminalità organizzata (come evidenziato, nella sua ultima relazione, dalla commissione regionale Antimafia).
Per andare a fondo alla vicenda serve la volontà politica. Ma anche le garanzie di fattibilità tecnico-economica vacillano. Totò Cuffaro, ex presidente della Regione condannato per favoreggiamento alla mafia, fu l’ultimo che provò a fare i termovalorizzatori in Sicilia. Glielo impedì la Corte di Giustizia europea, che nell’Avviso pubblico dell’epoca, era il 2007, ravvisò irregolarità e inadempimenti in materia di pubblicità. Quindici anni dopo è ancora Cuffaro, rientrato nell’agone politico (da segretario ‘incandidabile’ della nuova DC), a spingere il plotone monco del centrodestra verso la soluzione dell’incenerimento per chiudere il ciclo dei rifiuti. E cancellare una vergogna incommentabile: fatta di città e sindaci in sofferenza, spazzatura accatastata sui marciapiedi, turisti che slalomeggiano per schivarla e cittadini costretti a pagare per un servizio inesistente. Nelle grosse città come Palermo e Catania, infatti, la differenziata è lontanissima dalla soglia di sopravvivenza del 65 per cento.
La questione dei termovalorizzatori resta un punto di snodo per Schifani, la cui esperienza è iniziata nel peggiore dei modi: la maggioranza è già andata sotto in aula, durante la votazione dei vicepresidenti dell’Assemblea; e i due partiti su cui si regge (Fratelli d’Italia e Forza Italia) sono in fibrillazione. Il presidente siciliano, nei prossimi giorni, sarà chiamato a un banco di prova decisivo: salvare il Bilancio. La Corte dei Conti, che finirà a breve di spulciare il rendiconto 2020, ha ravvisato “spese irregolari” per un miliardo di euro e potrebbe costringere la Regione (già a secco) a un ulteriore sacrificio: una manovra finanziaria lacrime e sangue dove difficilmente troveranno spazio gli aiuti alle famiglie e alle imprese per contrastare il caro bollette. Schifani ha già annunciato un piano da 300 milioni per rianimare l’economia. Altre bollicine inutili?