appunti (per il Pd)
Dolorosa ammissione su Conte e la sua leadership pericolosa ma di successo
Nonostante i disastri, il suo M5s ha oggi tutto quello che il Partito democratico cerca e non riesce ad avere: leadership, base sociale, obiettivi chiari. Ecco perché i dem, attenti a non farsi fagocitare dal contismo, dal contismo hanno pure qualcosa da imparare
E’ dura da ammettere, è doloroso riconoscerlo, ma Giuseppe Conte, purtroppo, ci sa fare. E l’inizio di questa legislatura, se possibile, lo ha persino confermato. In che senso? Provate a mettere da parte le sue idee e concentratevi sui risultati. Ha portato il Movimento 5 stelle, alle elezioni, a un risultato infinitamente inferiore a quello del 2018, 18 per cento contro 33 per cento, ma a un risultato infinitamente superiore a ogni più rosea aspettativa, e nessuno avrebbe scommesso, in campagna elettorale, che il M5s sarebbe arrivato a un soffio dal Pd, partito che ora il M5s ha persino superato nei sondaggi. Ha rottamato, per meriti propri e per demeriti altrui, un’intera classe dirigente facendo, un po’ grazie alle scissioni e un po’ grazie alle regole del Movimento, quello che neppure il più famoso rottamatore, Matteo Renzi, è riuscito a fare nel suo partito, e dunque: via Roberto Fico, via Alfonso Bonafede, via Luigi Di Maio, via Alessandro Di Battista, via Laura Castelli, via Danilo Toninelli. Ha strappato il partito dalle mani del padre fondatore, Beppe Grillo, e lo ha reso, di fatto, un partito personale.
Ha reso Beppe Grillo così marginale nella vita del Movimento 5 stelle da aver trasformato le ormai rare trasferte del comico a Roma in semplici visite di routine, incapaci di generare attenzione persino tra i giornalisti. Ha ottenuto, nei primi giorni della legislatura, forse grazie alla benevolenza di una maggioranza che i più pettegoli dicono sia stata aiutata dal M5s nel momento del bisogno, quando cioè a Ignazio La Russa occorreva qualche voto per guadagnare la presidenza del Senato, un numero di posti di potere, nei due rami del Parlamento, superiore a quello ottenuto dal Pd, che pure alle elezioni è andato meglio del M5s (due vicepresidenze, un questore, quattro segretari d’aula: in pratica, dei dodici posti andati all’opposizione i Cinque stelle hanno ottenuto sette posti, il Pd cinque, il Terzo polo zero).
E’ riuscito a diventare uno dei protagonisti del congresso del Pd, mostrando con chiarezza cosa il Pd dovrebbe fare, e votare, per tornare ad abbracciarsi con il M5s. Ha costruito, anche se questo è inconfessabile, un rapporto cordiale, che a volte somiglia a un accordo, con la Lega di Salvini, grazie al quale il Movimento 5 stelle, a volte, dice su Meloni quello che la Lega vorrebbe dire ma non ha la forza di affermare dai banchi del governo. E’ riuscito a creare attorno a sé uno zoccolo duro di elettori, specie nel sud Italia, e il fatto che quello zoccolo duro di elettori coincida, geograficamente, con le zone che hanno maggiormente beneficiato del Reddito di cittadinanza è insieme un elemento di indignazione (vedi alla voce voto di scambio) e di riflessione (avere una riforma da difendere significa avere un’identità da difendere e avere una base sociale da coccolare consente di avere anche una rendita di posizione da coltivare).
E, dato non banale, è riuscito a costruire un’immagine del Movimento 5 stelle, o forse del Movimento 5 Conte, molto diversa rispetto a quella che in teoria dovrebbe emergere mettendo in fila gli atti politici del contismo (chi firmò i decreti sicurezza di Salvini?): un partito statalista, assistenzialista, che si autoconsidera di vera sinistra e così identitario da essere riuscito a non far apparire come una contraddizione l’essere contemporaneamente un partito anti casta e l’essere un leader anti casta suggerito, accompagnato e coccolato da due leader della vecchia casta di sinistra come Massimo D’Alema e Goffredo Bettini.
Certo, si dirà, e sul Foglio lo abbiamo detto spesso. Giuseppe Conte è un disastro se si pensa a cosa ha combinato con il governo Draghi, è un disastro se si pensa a cosa ha detto sulla guerra in Ucraina, è un disastro se si pensa a tutta la sua ambiguità presente e passata sul putinismo, è un disastro se si pensa al modo in cui ha assecondato il giustizialismo, è un disastro se si pensa al modo in cui ha sperperato miliardi di euro con i bonus di governo, è un disastro se si pensa al modo in cui ha costruito il Reddito di cittadinanza, è un disastro se si pensa al modo in cui il contismo ancora più del grillismo ha legato il lavoro sempre meno alla crescita e sempre più all’assistenzialismo.
Ma allo stesso tempo, nonostante i disastri, il Movimento di Conte, il M5C, ha in questo momento tutto quello che il Pd cerca e non riesce ad avere: una leadership a suo modo carismatica, una base sociale tutto sommato definita, una riforma da difendere che è qualcosa di più di un semplice simbolo e un obiettivo chiaro, condiviso con il partito di Renzi e Calenda, che coincide con la trasformazione del Pd in un partito progressivamente prosciugabile, sul modello francese, sia al centro sia a sinistra. E’ dura da ammettere, è doloroso riconoscerlo, ma Giuseppe Conte, purtroppo, ci sa fare, e se è vero che il Pd del futuro dovrà stare attento a non farsi fagocitare dal contismo, è anche vero che su un tema qualcosa da imparare da Conte ce l’ha: come si costruisce una leadership, come si rigenera un brand, come ci si sbarazza delle vecchie classi dirigenti e come si crea una nuova identità. Buon congresso al Pd.