I due battaglioni. C'era la X Mas della Repubblica sociale, e c'era la X Mas del Regno
Mas: sigla di Motoscafo armato silurante. Quella del Regno passò con gli Alleati e ancora oggi è celebrata nelle Forze armate. L’associazione dei suoi reduci il 2 giugno è perfino sfilata davanti al presidente Napolitano. Polemiche di cui i più giovani sanno ormai poco o nulla.
Nell’epoca dei social, ovviamente la storia di Enrico Montesano estromesso da “Ballando con le stelle” per una maglietta è stata oggetto di meme in quantità: da “Sono anni che amici americani a Natale mi augurano Merry Xmas, non sapevo che fossero tutti fascisti!”, a “Memento audere semper e poi se la fa sotto per una punturina”. Riferimento alla posizione No vax dell’attore… Peggio del meme è stato però un cronista che in tv nel riferire della storia ha parlato di una “Ics mas”. Riprova che, evidentemente, tutta la buriana fa riferimento a polemiche di cui i più giovani sanno ormai poco o nulla: o semplicemente della cultura sempre più scarsa che sembra ormai imperare sul piccolo schermo?
Ovviamente, molti giornali sono allora tornati a ricordare la storia della X Mas. “Decima”, numero romano: anche con riferimento a quella Decima legione che era una delle unità più famose dell’esercito romano. Ne parla appunto un inno di quella X Mas che, come vedremo, potrebbe essere considerata la 3.0: “Quando pareva vinta Roma antica / Sorse l’invitta Decima legione / Vinse sul campo il barbaro nemico / Roma riebbe pace con onore”. Mas: sigla di Motoscafo armato silurante, a volte reso anche come Motoscafo anti sommergibile, cui poi Gabriele D’Annunzio diede anche il senso di Memento audere semper. In latino: ricordati di osare sempre.
Peggio dei meme su Montesano è stato un cronista che in tv ha parlato di una “Ics mas”.
Qualcuno ha dunque scoperto che la Decima Mas è celebrata sui siti del ministero della Difesa e delle Forze armate, e che l’associazione dei suoi reduci il 2 giugno è perfino sfilata davanti all’ex-comunista Giorgio Napolitano. Ma qui, invece di risolvere la questione, la si imbroglia ancora di più. Semplicemente, ci furono in realtà due Decima Mas: certamente collegate tra di loro, ma distinte. Il punto massimo di questa epopea fu 81 anni fa, quando nella notte tra il 18 e il 19 dicembre 1941 sei sommozzatori della Regia marina entrarono nel porto di Alessandria d’Egitto e da soli resero praticamente impotente la flotta britannica del Mediterraneo per diversi mesi. Tecnicamente, non affondarono nessuna nave. Tuttavia, danneggiarono gravemente due corazzate, un cacciatorpediniere e una petroliera, lasciandole a lungo in riparazione.
I sei appartenevano alla X Flottiglia Mas, che oltre ad Alessandria fu protagonista di altre clamorose imprese, ricordate appunto nel ritornello dell’inno che abbiamo citato all’inizio. “Decima / Flottiglia nostra / che beffasti l’Inghilterra / vittoriosa / ad Alessandria / Malta, Suda e Gibilterra”. Nei primi 20 anni da quelle vicende, vari film furono dedicati a quella epopea. Poi il cinema sembra averla dimenticata, ma in compenso l’anno scorso è uscito un romanzo del noto bestsellerista spagnolo Arturo Pérez-Reverte: “L’italiano” nella traduzione, “El italiano: una novela de amor, mar y guerra” nel titolo originale, parla appunto delle operazioni della Decima Mas a Gibilterra. Una storia ricostruita a partire da una foto appesa alla parete di una libreria di Venezia, e in cui è riportato un commento tratto da “Deep and silent”: il libro di memorie che il capitano di corvetta Royce Todd avrebbe pubblicato nel 1951.
In realtà, poi, di questo libro e autore non risultano tracce in rete, e viene dunque il dubbio che sua volta sia un personaggio fittizio. Anche se assieme al suo libro viene riportata come altra fonte “Little Wilson and Big God”: “autobiografia del romanziere Anthony Burgess, che prestò servizio militare nella colonia britannica durante la guerra”. E quel libro invece esiste. Forse dunque Todd in realtà è lo stesso Pérez-Reverte. Ecco, comunque, l’osservazione. “Nell’attacco che il nemico lanciò contro Gibilterra nel dicembre del 1942, con mezzi sottomarini le cui caratteristiche allora ignoravamo, e operando da una base che tenne segreta fino alla fine, diventò evidente ciò di cui erano capaci gli italiani quando erano opportunamente motivati. Quella notte, al costo soltanto di due morti e due prigionieri, i suoi sommozzatori da combattimento incendiarono una petroliera e immobilizzarono un incrociatore per il resto della guerra, causandoci 19.500 tonnellate di perdite. Con l’affondamento di quelle navi, unito a quelli delle corazzate Valiant e Queen Elizabeth ad Alessandria e di altre unità che finirono per assommare trentacinque navi alleate, la nostra Marina fu seriamente compromessa. Soltanto a Gibilterra e nelle sue acque, perdemmo quattordici navi. Con immaginazione e coraggio, una ventina di uomini audaci riuscì a causarci tutti quei danni impiegando mezzi il cui costo non superava quello del cannone di una corazzata. Se invece di mantenere una flotta costosa e inoperante l’Italia avesse riversato i suoi sforzi navali nelle azioni di quei mezzi d’assalto economici ed efficaci, per i quali non mancarono mai i volontari, il corso della guerra nel Mediterraneo sarebbe stato sicuramente diverso…”.
Questa opinione non è condivisa da un illustre storico italiano come Gianni Oliva, che ha trattato di questa vicenda sia nel suo libro sulle forze speciali italiane che in quello sulla “guerra fascista” tra il 1940 e il 1943. Anche lui fa un racconto epico dell’impresa alessandrina, descrivendone accuratamente i protagonisti. In particolare il marchese Luigi Durand de la Penne, nato a Genova nel 1914: “uomo intrepido, dal carattere burbero ma capace di spunti di simpatia, egli coniuga l’audacia caratteriale, che lo avvicina al modello comportamentale fascista, al forte senso delle istituzioni, che dopo l’armistizio dell’8 settembre lo porterà a partecipare alla guerra di liberazione e dopo il 1948 a una lunga militanza parlamentare nelle file del Partito liberale”. Dal 30 giugno 1972 al 7 luglio 1973 fu anche membro del governo, sottosegretario di Stato per la Marina mercantile con Andreotti.
“Il suo secondo è un sottufficiale valtellinese nato a Sondalo nel 1912, Emilio Bianchi: alto e asciutto nel fisico, marinaio quasi per caso, palombaro imbarcato sulla nave idrografica Ammiraglio Magnaghi, poi sull’incrociatore Fiume, Bianchi nel 1937 entra a far parte della I flottiglia Mas come sergente e diventa assaltatore subacqueo. Nelle azioni, il suo ruolo principale è quello di fissare la testata esplosiva alla carena della nave”. Come una leggenda, lo scambio di battute tra Durand de la Penne e Bianchi alle 21:30 del 18 dicembre, quando inizia l’azione. “Come va Bianchi?”. “Bene comandante”. “Hai paura?”. “Sì, comandante”. “Anch’io, bene, andiamo!”. Come ricordava Voltaire, i coraggiosi non sono quelli che fanno una cosa perché non hanno paura di farla: quelli sono gli incoscienti. I coraggiosi sono quelli che la fanno lo stesso anche se ne hanno paura.
Il sabotaggio delle navi dopo l’8 settembre affinché non cadessero in mano tedesca. Per questo l’ammiraglio Rizzo fu internato dalla Gestapo
Nel secondo equipaggio sono i due istriani Antonio Marceglia e Spartaco Schergat. Capitano del genio navale Marceglia, nato a Pirano nel 1915, dopo l’armistizio anche lui parteciperà alla guerra di liberazione accanto alle truppe alleate, per poi diventare membro del Consiglio superiore della Banca d’Italia. Marinaio scelto Schergat, nato a Capodistria nel 1920, dopo la guerra farà il custode all’università di Trieste. Nel terzo stanno due meridionali: il tarantino Vincenzo Martellotta, classe 1913, prima ha studiato all’Istituto superiore di guerra di Torino, poi si è laureato in ingegneria industriale al Politecnico di Torino e da ultimo ha frequentato l’Accademia navale di Livorno; e il marinaio di prima classe Mario Marino, classe 1914, volontario dal 1934, un veterano che ha partecipato alle guerre in Etiopia e in Spagna.
Osserva Oliva che “la trasversalità sociale e regionale della composizione è simbolica: l’aristocratico e il custode, l’ingegnere e il futuro uomo di finanza, uomini nati sul mare e uomini nati tra le montagne, i meridionali, gli istriani, i lombardi, i liguri. Probabilmente l’aggregazione è frutto del caso, ma certo rinvia all’immagine di nazione in guerra che il regime propone, con classi sociali e gruppi regionali rimescolati in uno stesso sforzo di affermazione: non è un elemento secondario, in un’impresa dove la spendibilità propagandistica è ancora maggiore dell’efficacia militare”.
Ogni coppia cavalca un siluro a lenta corsa (Slc), detto familiarmente “maiale”. Un piccolo sottomarino, in grado di trasportare a bassa velocità due operatori dotati di autorespiratori subacquei autonomi e di una carica esplosiva da applicare allo scafo della nave avversaria all’ormeggio. I tre maiali riescono a entrare in porto quando le barriere si aprono per far passare tre cacciatorpediniere, che hanno seguito nell’oscurità. Durand de la Penne riceverà una medaglia d’argento al valore militare per l’azione di Gibilterra e una medaglia d’oro per Alessandria che nel 1945 gli sarà conferita dal commodoro inglese Sir Charles Morgan, lo stesso comandante della Valiant. Preso prigioniero dopo aver posto le cariche, solo all’ultimo momento ha riferito che la nave è stata minata, per ottenere il massimo risultato col minimo di vittime: otto. “Sublime esempio di spirito di sacrificio, di energico coraggio e di illuminato amore per la Patria”, è l’elogio di Morgan.
Appunto, imprese simili le avevano già fatte i Mas della Prima guerra mondiale: motoscafi con un dislocamento compreso tra 20 e 30 tonnellate, un equipaggio fino a 10 uomini e armati di due siluri, oltre a diverse mitragliatrici e talvolta un cannone di piccolo calibro. Equivalente dell’impresa di Alessandria, il vertice dell’epopea dei Mas nella Grande guerra era stato la notte del 10 giugno 1918, quando due Mas di pattuglia nell’Adriatico con 16 uomini, con al comando Luigi Rizzo, al largo dell’isola dalmata di Premuda, si lanciarono contro l’intera flotta autro-ungarica, affondando la corazzata Szent István, spaventando il nemico e costringendolo alla ritirata. La cosa curiosa è che Rizzo, che era un repubblicano arrabbiato, rifiutò l’Ordine militare di Savoia che gli volevano dare in quanto decorazione dinastica, ed ebbe così una seconda, eccezionale medaglia d’oro al valore militare. Presidente dei cantieri riuniti dell’Adriatico, dopo l’8 settembre ordinò il sabotaggio dei transatlantici e dei piroscafi affinché non cadessero in mano tedesca, e per questo fu internato dalla Gestapo in Austria. Insomma, antifascista come Durand de la Penne e Marceglia!
Noi italiani spesso affrontiamo pregiudizi per la nostra presunta incapacità di combattere. Una fama dovuta in realtà a sconfitte che da Custoza nel 1866 ad Adua nel 1896, Caporetto nel 1917 o più in generale quelle della Seconda guerra mondiale derivano non tanto da mancanza di coraggio, ma da problemi atavici di organizzazione e comando imputabili allo storico ritardo nel processo di unificazione del paese; ma su cui durante la Seconda guerra mondiale insistette molto la propaganda inglese. Vi risponde un contro-stereotipo nazionale sugli italiani capaci di straordinari atti di eroismo in situazioni estreme, come appunto i sedici italiani che fermarono una flotta a Premuda nel 1918 e i sei italiani che ne fermarono un’altra ad Alessandria nel 1941.
Vero o inventato che sia, Todd rientra proprio in quella categoria di stranieri che, avendo affrontato concretamente gli italiani in guerra, hanno sentito il bisogno di testimoniare quanto fosse ingiusta l’immagine di vigliaccheria. Oliva mette però in discussione l’idea di una guerra da fare solo con i maiali, osservando che a un certo punto il fattore sorpresa necessario per questo tipo di azioni viene meno, e per di più c’è un costo di materiale umano ad altissima qualificazione che viene sacrificato senza poter essere rimpiazzato. “La notte di Alessandria d’Egitto del 19 dicembre 1941 segna l’apice e l’inizio della fine delle incursioni subacquee”. Insomma una critica all’abitudine nazionale di ritenere che proprio la capacità degli italiani di produrre grandi personalità possa permetterci di fare a meno di un sistema paese efficiente, che in effetti è a sua volta molto italiana.
Ma Pérez-Reverte fa invece proprio l’approccio di Todd, per risentimenti verso i complessi di superiorità inglesi diffusi anche in Spagna. “Tra il 1942 e il 1943, durante la Seconda guerra mondiale, sommozzatori da combattimento italiani affondarono o danneggiarono quattordici navi alleate a Gibilterra e nella baia di Algeciras. Questo romanzo è ispirato a quegli eventi reali. Soltanto i personaggi e alcune situazioni sono immaginari”.
La coppia di assaltatori protagonista del libro però dopo l’8 settembre si divide. Quello che poi si sposa con l’eroina spagnola va infatti col Regno del sud: come Durand de la Penne e Marceglia, e anche come Luciano Barca. Giornalista e economista; membro della segreteria nazionale del Pci e parlamentare per ben sette legislature; vissuto tra 1920 e 2012. Padre del Luciano Barca ministro di Monti e dirigente del Pd, figlio di un ferroviere mazziniano che in gioventù si era convertito alla fede anglicana ma nel 1932 per quieto vivere aveva deciso di tornare al cattolicesimo e di prendere la tessera fascista, Barca era stato a sua volta ufficiale della X Mas, decorato con una medaglia d’argento e una medaglia di bronzo. Questa sua esperienza la ha raccontata in un libro che si intitola “Buscando per mare con la Decima Mas”, e in cui a un certo punto rievoca di quando dopo l’8 settembre nella flotta cobelligerante si trovò col suo sottomarino “badogliano” assieme a uno inglese, uno americano, uno gollista e due greci in una squadra nel Mediterraneo che in qualche modo anticipava la Nato.
Poi arrivò Junio Valerio Borghese, ma le imbarcazioni della Decima erano passate con il sud. Lui arruolò volontari per combattere i partigiani
Ma il primo maggio 1943 comandante della Decima Flottiglia Mas divenne il principe Junio Valerio Borghese, che dopo l’8 settembre su schierò con i tedeschi. Come il secondo assaltatore di Pérez-Reverte. “Quando l’ignobil otto di Settembre / Abbandonò la Patria al traditore / Sorse dal mar la Decima Flottiglia / E prese l’armi al grido ‘Per l’Onore!’”, ricorda appunto il citato inno. Ma anche “Vittoriosa già sul mare / Ora pure sulla terra / Vincerai!”, e “Navi d’Italia che ci foste tolte / Non in battaglia ma col tradimento”. E’ l’ammissione che, appunto, le imbarcazioni della Decima passarono in massa con il sud: salvo un pugno di Mas a La Spezia, il cui personale peraltro il 25 aprile del 1945 su schierò con il Cln, disarmando una ottantina di cariche di demolizione messe dai tedeschi.
Borghese però utilizzò i simboli e il nome per una compagnia di ventura che stipulò una sorta di alleanza separata con i tedeschi e si schierò con la Repubblica sociale italiana, pur senza in pratica far parte della sua organizzazione. Assieme a qualche reduce della vecchia Decima arruolò una quantità di volontari, stimati in 4.800 il 9 aprile del 1945. Invece che in mare, combatterono contro i partigiani, venendo coinvolti in una serie di episodi poi rubricati come crimini di guerra. Borghese dopo la guerra fu poi presidente del Msi; poi ruppe tacciando il partito di moderatismo; fu accusato nel 1970 di un tentativo di golpe; morì nella Spagna franchista dove si era rifugiato.
Insomma, la Decima celebrata dalle Forze armate è quella di Durand de la Penne. Quella per cui è stato cacciato Montesano dalla Rai è quella di Borghese.