CONTRO I FINTI PACIFISTI
Manuale di sopravvivenza post sovranista di Guido Crosetto, ministro della Difesa
Dice che continueremo a fornire armi all’Ucraina. Prevede che non rinnoveremo l’accordo sulla Via della seta. Atlantista convinto, proporrà di escludere il deficit per le spese militari dal Patto di stabilità
Ma insomma anche lui si sarà irrigidito. Un po’ di timore, di inquietudine. Mentre mezzo mondo tratteneva il fiato, martedì sera, e magari faceva gli scongiuri, mentre noi comuni mortali ci affrettavamo a cercare su Google “Trattato Nato” per capire se la catastrofe nucleare fosse ormai imminente, l’Armageddon sicuro oppure no, e “articolo 4 o articolo 5?”, e strologavamo su dove ci sarebbe piaciuto fumare l’ultima sigaretta, in tutto ciò lui, Guido Crosetto, che faceva? “Tornavo da Bruxelles, dalla riunione dei ministri della Difesa Ue, ero in aereo con il mio staff”. Sereno, pare. Quasi distaccato. E quindi? bisogna esortarlo a continuare. “E mi ha chiamato il capo di stato maggiore della Difesa, ché per fortuna il WiFi prende anche in quota”, e mica come sul Frecciarossa, sotto l’Appennino, “e mi ha informato dell’accaduto”. L’accaduto: cioè i missili caduti oltre il confine occidentale dell’Ucraina, due morti polacchi, lo spettro della reazione a catena. Paura? “Abbiamo concordato subito che bisognasse verificare la provenienza degli ordigni, ricostruire bene la dinamica. Ma certo esisteva l’incognita di come avrebbero potuto reagire i paesi del fronte est della Nato, e su tutti la Polonia”.
L’allarme in Polonia: “Impeccabile l’atteggiamento dell’Amministrazione americana. A livello Nato, il coordinamento è stato immediato, e coi colleghi europei abbiamo condiviso la linea di cautela”
Necessità di tenere i nervi saldi. “Certo. Ma c’è anche un tema di opinione pubblica. Quella polacca, non senza ragione, è pregiudizialmente antirussa per le molte ferite aperte della loro storia, almeno nella stessa misura in cui la nostra è sostanzialmente asettica sul tema”. Insomma, avevamo ragione: si è rischiato veramente che tutto precipitasse. “L’atteggiamento dell’Amministrazione americana è stato impeccabile. Sia dalla Casa Bianca, sia dal Pentagono, sono arrivati subito messaggi improntati alla prudenza e al dubbio. E il fatto che tutti i leader fossero vicini, a Bali, per via del G20, ha aiutato. Anche a livello Nato, c’è stato un coordinamento immediato, e coi colleghi europei abbiamo condiviso la linea di cautela”.
E insomma siamo qui, a raccontarcela. Solo che colpisce un poco la calma con cui Crosetto ne parla. E non si capisce bene se sia uno sforzo di temperanza istituzionale, questo suo algido pesare le parole, refrattario a qualsiasi incrinatura emozionale, o un residuo di dissimulazione che s’impone a chi è diventato ministro un po’ malgré soi, provando a sottrarsi all’investitura governativa con sincera ostinazione fino a che poi gli eventi si sono compiuti, ed è andata come si sa. Per cui ora, camicia bianca e cravatta sobria, il cofondatore di Fratelli d’Italia, suggeritore franco e fidato di Giorgia Meloni, troneggia nel suo bell’ufficio che dà su Via XX Settembre, dietro una scrivania proverbialmente ingombra di faldoni di carta bendisposti e impilati uno sull’altro, sotto degli affreschi che sembrerebbero ritrarre delle Muse (“Un po’ di ispirazione non fa male”), e il cellulare che continua a trillare. “Allora, abbiamo un’oretta”, dice, guardando l’orologio.
“Non c’è dubbio che, nelle sue scelte, Putin mostri l’accanimento di chi è convinto che si è spinto troppo oltre, per accettare di tornare indietro, di recedere dai suoi propositi anche ora che sembrano farsi lontani”
Partiamo da Putin, allora. “Quello che ha fatto l’altro giorno, quei bombardamenti a tappeto sull’Ucraina col G20 in corso, dimostrano il suo incaponimento su questa guerra”. C’è un metodo, pare: visto che già mesi fa pensò bene di sganciare missili su Kyiv proprio durante la visita del segretario generale dell’Onu. Una perversa rivendicazione di attenzione, un modo becero di far capire che, senza di lui al tavolo, non si troverà mai una soluzione? “Putin è ormai indifferente a qualunque tipo di pressione esterna. Questa è la sua linea. La sua personale”. Un’insistenza, questa di Crosetto, che pare alludere quasi all’isolamento del despota, alla sua solitudine: davvero quindi bisogna credere a chi dice che è ormai un tiranno a cui neppure i suoi scherani prestano credito? “Ah no, se è per questo, direi che ha un problema di dissenso interno assai inferiore a quello di qualsiasi capo di governo occidentale. E del resto le autarchie non lo prevedono. Ma non c’è dubbio che, nelle sue scelte, Putin mostri l’accanimento di chi è convinto che si è spinto troppo oltre, per accettare di tornare indietro, di recedere dai suoi propositi anche ora che sembrano farsi lontani. La Russia ha sofferto 35 mila morti, conta 85 mila feriti, il 60 per cento dei mezzi corazzati neutralizzati, una catena logistica militare in enorme difficoltà e affanno. L’abbandono di Kherson, l’arretramento tattico al di là del Dnipro, testimoniano delle difficoltà di gestire rifornimenti, approvvigionamenti e turnover di truppe, specie in vista dell’inverno”.
Per la Difesa obiettivo 2 per cento. L’aumento della spesa militare concordato in sede Nato: “L’Europa non può esimersi dalle sue responsabilità”. Crosetto proporrà di estendere il decreto armi all’Ucraina a tutto il 2023
L’inverno, già. Che mesi ci aspettano? Che piega prenderà la guerra, ora che arriva il grande gelo? “Putin vuole sfruttarlo, non c’è dubbio. E per questo ordina bombardamenti mirati sulle linee elettriche e del gas. Il suo obiettivo ora è fiaccare anche psicologicamente la popolazione civile. E non solo quella ucraina”. In che senso? “Vorrà mettere alla prova la tenuta dell’opinione pubblica europea innescando un processo di fuga di massa da Kyiv, da Odessa, da Leopoli. Con 7, forse perfino 10 milioni di ucraini lasciati senza riscaldamento e luce, alla vigilia di una stagione in cui da quelle parti si raggiungono anche i 25 gradi sotto zero, con una media di meno 10 e ancora più giù, saranno centinaia di migliaia, almeno, i profughi ucraini che cercheranno asilo in Europa. Magari al Cremlino c’è chi scommette che questo indebolirà il sostegno occidentale alla causa di Zelensky. E del resto, con lo stesso cinismo Putin potrebbe utilizzare anche l’altro corridoio che controlla, quello a sud. Non è certo casuale che, pur a fronte di estreme difficoltà militari sul campo, Mosca non abbia richiamato neppure una pattuglia di quelle brigate Wagner impegnate in vari paesi centrafricani. Per Putin quel fronte resta strategico per molte ragioni. Una, appunto, è quella che riguarda il controllo dei flussi migratori”.
Insomma, sarà lunga ancora. “Fatico a vedere soluzioni a breve termine, purtroppo, anche se noto un atteggiamento in evoluzione da parte degli Usa”. E fintanto che il conflitto si protrarrà… “perdurerà il nostro sostegno leale e convinto alle scelte che prendemmo con i nostri alleati e insieme all’Ucraina”, subito precisa Crosetto, prevenendo la domanda, quasi a mostrare lo zelo di chi vuole evitare polemiche. E però poi non si sottrae, anzi, quando gli si chiedono chiarimenti sui nuovi invii di armi, “che ci saranno, come è stato finora, nei tempi e nei modi che concorderemo coi nostri alleati atlantici e con Kyiv”, e sulla ridefinizione dell’impegno del governo. “A dicembre scade la legge quadro che ha consentito all’Italia di dare aiuto all’Ucraina, con forniture sia civili sia militari. La Difesa proporrà a breve di rinnovare quello stesso provvedimento estendendolo a tutto il 2023”. E Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, sicuro che accetteranno di buon grado? “Mi aspetto che chi ha votato quel decreto varato dal governo Draghi non avrà problemi a ribadire la sua posizione”.
La pace in Ucraina. “Trovo curioso, quantomeno, che ci sia chi vuole essere pacifista col sangue e la libertà degli altri. E forse non si accorge che se passa il principio della legge del più forte, in campo internazionale, i prossimi a rimetterci potremmo essere noi”
E qui forse per la prima volta un accenno di polemica s’intravede: la rivendicazione della propria coerenza, un’incrinatura del sorriso, la fronte aggrottata. Bisogna insistere. Non le diranno, ministro, che è cambiato il clima, che è mutato il contesto: che serve l’escalation diplomatica? Del resto la Lega, col suo capogruppo Massimiliano Romeo, una certa distanza dall’antiputinismo intransigente di Giorgia Meloni l’ha messa a verbale già nel giorno della prima fiducia al Senato. Il Cav., be’, è stato fin troppo esplicito: per lui l’operazione speciale dell’amico Vlad serve a mettere a Kyiv un governo di persone perbene. E poi c’è Giuseppe Conte, che col suo pacifismo di maniera sta trascinando sulla trincea degli equidistanti buona parte del Pd. Insomma, ci sarà davvero una maggioranza solida, in Parlamento, per ribadire il sostegno militare a Kyiv? “Io, come membro del governo, proporrò il rinnovo del decreto per tutto l’anno che verrà, come è corretto che sia. Poi sono certo che ognuno si assumerà le sue responsabilità, prorogando la linea che l’Italia avrà concordato con gli alleati. Ma al di là della polemica politica, io accetto che ci sia una divisione culturale. Quella fra chi ritiene che un popolo aggredito, un paese violato nella sua integrità territoriale da un vicino, vada aiutato a difendersi, e che solo dalla lotta per rendere fallimentari i disegni espansionistici dell’invasore possano maturare le condizioni per una pace giusta, e chi invece pensa che la pace vada perseguita a prescindere, anche se in suo nome si impone all’Ucraina di rinunciare a resistere, a respingere l’assalto, insomma che la pace si ottenga sacrificando il popolo invaso. Se questa è la contrapposizione, accetto il confronto. Trovo solo curioso, quantomeno, che ci sia chi vuole essere pacifista col sangue e la libertà degli altri. E forse non si accorge che se passa il principio della legge del più forte, in campo internazionale, i prossimi a rimetterci potremmo essere noi. Poi, ancora, c’è l’opportunismo tattico, a mio avviso un po’ misero, di chi sceglie da che parte stare in Ucraina a seconda che a Roma stia al governo o all’opposizione”.
“Rispetto le posizioni dei pacifisti. Però chi ha governato aumentando le spese militari, chi ha votato a favore dell’invio di armi a Kyiv, non può rinnegare tutto perché ora sta all’opposizione e trova conveniente aizzare la folla contro la presunta foga bellicista degli avversari”
Eccolo evocato, l’Avvocato del Popolo. Ormai tra Crosetto e Conte c’è un rapporto privilegiato di sincero, reciproco, disprezzo. Il bello della politica è anche questo, no? “Non c’è disprezzo e l’ho difeso in passato molte volte. Ma io credo che certi valori di fondo, un partito, ammesso che quei valori ce li abbia, non possa subordinarli alla convenienza tattica del momento. Rispetto le posizioni dei pacifisti. Però chi ha governato aumentando le spese militari, chi ha votato a favore dell’invio di armi a Kyiv, non può rinnegare tutto perché ora sta all’opposizione e trova conveniente aizzare la folla contro la presunta foga bellicista degli avversari”.
A proposito: spesa militare. Che fare? “Come ho spiegato ai miei colleghi ministri, la strategia del governo non può che essere quella di perseguire l’obiettivo del 2 per cento in rapporto al pil, come del resto hanno ritenuto di dover fare un po’ tutti gli esecutivi che ci hanno preceduto. Ovviamente, è un traguardo che va raggiungo con gradualità, in modo tale che l’aumento di spesa nel settore sia compatibile con le necessità di equilibrio della finanza pubblica. E anzi, a tal proposito, nel recente Consiglio europeo ho annunciato ai miei colleghi un’iniziativa che intendo intraprendere”. Notizia! “Proporrò formalmente l’esclusione delle spese per gli investimenti della Difesa dal computo del deficit nell’ambito del Patto di stabilità”. Iniziativa magari anche lodevole, e che però ricorda le molte analoghe istanze per l’esclusione da quel computo di spese per finanziamenti in ricerca e sviluppo, e poi per la sanità e poi per l’istruzione, e poi e poi e poi. Quasi sempre, va detto, è finita in nulla. “Non è una trovata del momento”, insiste allora Crosetto. “Ne ho parlato coi colleghi ministri della Difesa, mi sono confrontato al riguardo anche col commissario Paolo Gentiloni. Spero che pure Giancarlo Giorgetti, dal Mef, sollevi il tema. Alcuni paesi, ma non vi dirò quali, effettivamente si sono mostrati molto favorevoli. Ma io ora mi sono ripromesso di inviare a ciascuno dei miei omologhi europei una lettera sul tema. Così ognuno poi dovrà dire come la pensa e perché. Del resto, quello sul 2 per cento è un obiettivo concordato coi nostri alleati americani in sede Nato. E un’Europa che reclama maggiore autonomia strategica, che rivendica di avere voce in capitolo nelle decisioni fondamentali rispetto alla politica di sicurezza, non può poi esimersi dalle sue responsabilità, anche economiche, nel settore della Difesa. Se siamo seri, facciamo valere i nostri interessi”.
La diplomazia delle armi, come si dice. “Solo che detta così, sembra che ci sia quasi un piacere cinico nel finanziare il settore militare. Ma gli investimenti nella Difesa non sono una scelta, o un capriccio, del ministro di turno”.
Crosetto il consigliere, il diplomatico che parla con gli americani, apprezzato al di fuori del perimetro del centrodestra. L’atlantismo e l’“improbabile” rinnovo dell’accordo sulla Via della seta. La Francia, “il paese con cui collaboriamo meglio di altri, sui grandi dossier. Mi sembra si possa e si debba ricucire in fretta”
A proposito, i vertici dell’Aeronautica chiedono, anche alla luce delle nuove sfide poste della crisi ucraina, un potenziamento della flotta di F-35 e Eurofighter. “In realtà c’è anche un tema Tempest, che è un’esigenza sentita dal comparto, oltre a quelli. Sarà oggetto di valutazione”. Comunque, dicevamo… “che gli investimenti in Difesa, per l’appunto, sono una parte fondamentale dell’obbligo di difendere la nazione, e non soltanto rispetto a eventuali minacce militari. Perché è solo mostrando una certa postura negli scenari internazionali, specie quelli più delicati, solo facendosi trovare pronti sui vari fronti di possibile intervento, che un paese che voglia pretendere di essere annoverato nel gruppo dei grandi può davvero giocare il suo ruolo. Non solo con la Difesa ma con una strategia diplomatica a 360 gradi. Anche per questo nei prossimi giorni mi recherò, insieme al collega Tajani, in Serbia e Kosovo. Lì il nostro contingente ha un compito di primaria importanza nel mantenimento dell’ordine e della pace. Vogliamo essere propositivi, vogliamo assumerci fino in fondo le responsabilità che gravano sulle nostre spalle”.
E insomma qui Crosetto interpreta la parte che meglio gli riesce, che forse davvero gli appartiene. Quella del saggio consigliere, dell’uomo di mondo in un mondo, quella della destra sovranista italiana, che spesso è stato relegato ai margini, escluso dai tavoli decisionali. Di qui poi la guerra “all’establishment”, di qui la diffidenza verso il deep state, i presunti poteri forti che vai poi a sapere dov’è che esercitino la loro supposta forza, di qui anche un certo vittimismo di chi, anche nei confronti dei giornali, mette su il broncio perché non viene considerato come merita dal “mainstream”. Crosetto no. O meglio, non se parla di se stesso: ma se lo si interpella in qualità di avvocato difensore di FdI, allora sì, un po’ anche lui. A spulciare il suo profilo Twitter, a recuperare certe sue interviste in tv, quell’accenno polemico contro un “voi” pregiudizialmente ostile al partito dei patrioti, laddove per “voi” s’intendono, di volta in volta ma quasi sempre evocati tutti insieme, indistintamente, “gli opinionisti”, “gli economisti”, “i burocrati di Bruxelles”, varie ed eventuali, insomma anche in lui quell’esibizione di una certa sindrome da assedio c’è. Però poi Crosetto – uno che prima di fondare FdI è cresciuto nelle giovanili della Dc, amico di Giovanni Goria, in una covata di rampolli democristiani che è la stessa da cui è uscita anche gente come Lapo Pistelli o Franco Gabrielli o Simone Guerrini, attuale consigliere di Sergio Mattarella, e perfino, horribile dictu!, Enrico Letta – ecco questo Crosetto è anche altro. E’ il diplomatico che parla con gli americani, è un po’ il garante della serietà istituzionale apprezzato ben al di fuori del perimetro del centrodestra, se è vero che a volerlo lì, a Palazzo Baracchini, a garantire con altri il rispetto delle coordinate strategiche del governo, sono stati un po’ tutti, nel giro istituzionale che conta.
Al che lui si schermisce, si ritrae come può in un corpo che si presta poco alla contrazione, fa insomma mostra di ritegno, comme il faut. “Però al di là di un certo racconto che di noi è stato fatto – rieccoci all’autocommiserazione? – la nostra serietà, di Fratelli d’Italia dico, sui temi geostrategici, di politica estera e di difesa, non la garantisce una sola persona, ma la nostra storia, la nostra coerenza a certi princìpi. L’atlantismo, per chi come Giorgia, Ignazio e altri, arrivano dalla destra, è un valore sin dai tempi di Giorgio Almirante. E anche quando FdI era all’opposizione, a Draghi su questo fronte abbiamo offerto massima lealtà”.
E a proposito di atlantismo, va detto che, a costo di apparire cinici, forse su un piano diplomatico l’avvento al potere di Meloni è coinciso con un impensabile allineamento degli astri. Perché FdI si è ritrovata, fatalmente oppure no, in perfetta sintonia rispetto alle due linee rosse tracciate dalla Casa Bianca. Il che, va da sé, aiuta non poco, nel lavoro di accreditamento internazionale, la presidente del Consiglio romana, l’underdog di cui è facile diffidare all’estero, la Sottoscritta percepita dai giornali stranieri come l’ultima erede, la più abile, dell’eterno italico postfascismo, o post-postfascismo. Della Russia, s’è detto. Della Cina, della necessità di mantenere una cordiale ostilità nei confronti di Pechino, che è poi l’altro must dell’Amministrazione Biden, bisogna dire qualcosa. “L’incontro con Xi al G20 è stato importante: nella sua dichiarazione finale Meloni ha parlato chiaro, mi pare”. Lasciando forse intravedere qualche apertura impensata, alla vigilia: l’accettazione dell’invito a visitare la Cina, la rinnovata volontà di potenziare gli scambi commerciali. “D’altronde, non credo si possa prescindere da una collaborazione economica con un colosso come quello cinese. Ed è positivo che si sia sottolineata, da parte italiana, l’intenzione di voler aumentare il nostro export verso Pechino, evitando che le relazioni commerciali siano troppo a senso unico”. E sulla Via della seta? “Resteremo coerenti con quello che dicemmo quando altri vollero firmare quel Memorandum”. Dunque, se a marzo del 2024, quando scadrà quell’accordo quinquennale siglato dal governo Conte I, a Palazzo Chigi ci sarà ancora Meloni, “la nostra posizione non cambierà, per cui un eventuale rinnovo lo vedo improbabile”.
D’altronde su un punto Crosetto concorda, sia pure con brevi cenni del capo: che molto del fallimento della scalata al cielo del potere da parte di Lega e M5s, quattro anni fa, dipese da scelte sbagliate, in certi casi perfino sciagurate, in tema di politica estera. E allora il rispetto degli impegni atlantici, la fermezza contro la Cina, la serietà sul fronte ucraino, sostegni militari inclusi: anche qui sta l’antidoto al ritorno del papeetismo sotto mentite spoglie? “Sta nell’esperienza personale e politica di chi governa, nella consapevolezza che credo tutti abbiamo della responsabilità che ci è assegnata. Quanto alla politica estera, credo sia un periodo così complicato da sconsigliare qualsiasi avventatezza”. E noi che già stavamo qui a sognare il prossimo viaggio di Salvini a Mosca insieme a Tonino Capuano. Invece niente. Che non sia un caso, allora, che né alla Farnesina, né qui alla Difesa, ci sia un sottosegretario leghista? Banditi dai posti in cui potrebbero fare danni? Provocazioni che Crosetto non raccoglie. E prosegue: “Il problema della politica estera è che è molto difficilmente spendibile a livello elettorale. E quindi, troppo spesso, sottovalutata. Si fatica a far comprendere al grande pubblico quanto sia decisiva, per noi, la sfida nel Mediterraneo. Anche se poi le conseguenze delle scelte sbagliate su quei dossier, negli anni, diventano enormi, e quelle sì che hanno ricadute sulla vita di tutti i giorni. Pensiamo alla Libia: quanto, in termini non solo di flussi migratori, ma anche di politica energetica, stiamo ancora pagando quella scelta scriteriata di americani e francesi del 2011”. Quando, sulla poltrona occupata oggi da Crosetto, sedeva Ignazio La Russa. “Be’ di certo non accollerei a Ignazio quella scelta, che fu frutto di una volontà di Hillary Clinton di assecondare Nicolas Sarkozy, con l’avallo finale di altri”. E qui l’allusione di Crosetto sta tutta in uno sguardo gettato oltre la finestra alle sue spalle, a indicare la via che porta pochi metri più in là, più su, fino al Quirinale. L’aneddoto è noto: era la sera del 17 marzo del 2011, al Teatro dell’Opera Riccardo Muti dirigeva il Nabucco per la celebrazione del 150° dell’Unità, e Giorgio Napolitano riunì una specie di Consiglio supremo della Difesa nel foyer: contrario La Russa, contrarissimo Berlusconi, ma alla fine il capo dello stato, sostenuto dall’allora ministro degli Esteri Franco Frattini, decise che non si poteva che assecondare l’avvio dei bombardamenti su Tripoli. E quel che fu, poi, si sa. Crosetto allora si arrabbiò moltissimo: “Vaticinai ciò che poi effettivamente accadde”.
E forse è anche da lì che è andata maturando quella ferma ostilità nei confronti di Parigi che l’attuale presidente del Senato non hai mai rinnegato, e che s’è diffusa come un qualcosa di più di una diffidenza, come una sorta di psicosi, di paranoia, tra tutti i vertici di FdI. “Non è vero, non è una posizione preconcetta, qui non c’è nessuno che è antifrancese per costituzione”. Giovanbattista Fazzolari dice che è una vergogna che dei funzionari italiani abbiano ricevuto la Legion d’Onore. Ora è sottosegretario a Palazzo Chigi. Un po’ di pregiudizio ci sarà, no? “Io non ho mai avuto problemi a denunciare un certo atteggiamento oggettivamente predatorio di alcune grandi imprese francesi nei nostri confronti. Anche perché non c’è un rapporto di reciprocità: ricordo, tanto per dirne una, tutte le insidie poste all’acquisizione di Stx, che era una società sostanzialmente fallita, da parte della nostra Fincantieri. E poi, in generale, io credo che certi settori vadano protetti dalle ingerenze straniere, fosse anche da ingerenze attuate da paesi amici. Il settore del credito, delle assicurazioni: come si può pensare che sia normale che i risparmi degli italiani finiscano di fatto sotto il controllo di cordate straniere che poi magari preferiscono concedere finanziamenti a imprese del loro paese d’origine? Per non dire di quello che i francesi stanno facendo sull’aerospazio, tradendo un impegno preso col governo Draghi e il ministro Vittorio Colao che riguardava, appunto, una leale collaborazione tra Ariane e Avio per i lanciatori”. Non sembrano premesse per rapporti di buon vicinato, in effetti. E sì che quello con Parigi appare un asse, se non obbligato, quantomeno necessario: anche perché, al di là del Trattato del Quirinale, è con Emmanuel Macron che dobbiamo cercare un’intesa, tra l’altro, sulla riforma del Patto di stabilità. “Ma noi infatti con la Francia dobbiamo assolutamente andare d’accordo, in Europa. Su questo non c’è tentennamento. Sono senza dubbio il paese con cui collaboriamo meglio di altri, sui grandi dossier. Però questa cooperazione privilegiata dobbiamo condurla pretendendo massimo rispetto, e perseguendo i nostri interessi strategici anche quando non coincidono perfettamente con i loro”.
Anche quando, ad esempio, dobbiamo farci un po’ gli splendidi impuntandoci su 234 migranti? “La vicenda della Ocean Viking è un po’ più complessa”. E a ben vedere andrebbe chiarita, questa complessità, dato che il governo ha fornito, o accreditato, almeno tre versioni diverse di quella storiaccia. Prima sarebbe stato Macron, a Sharm el Sheikh, a lasciar intendere a Meloni che sì, la nave poteva attraccare a Marsiglia; poi è stata la nostra presidente del Consiglio a spiegare che siccome l’Ansa aveva dato notizia che Parigi acconsentiva allo sbarco, e siccome dopo otto ore nessuno dall’Eliseo aveva smentito, a Palazzo Chigi s’erano convinti che tutto filasse liscio; infine, al Senato, il ministro dell’Interno Piantedosi ha dichiarato che “la Ocean Viking si è diretta autonomamente verso le coste francesi”, con una decisione “mai auspicata dall’Italia”. Crosetto alza le mani: “I dettagli esatti non chiedeteli a me, perché ne ho solo letto mille versioni sui giornali”. Ma insomma valeva la pena, per poche decine di disgraziati, innescare questo incidente diplomatico con quello che è il nostro alleato principale a Bruxelles? “Era necessario per porre chiaramente in sede europea il tema di una riforma strutturale delle politiche di accoglienza. Incidentalmente, poi, questo ha portato a una tensione francamente inaspettata con la Francia, con la quale però mi sembra si possa e si debba ricucire in fretta. Però il problema resta, questo va detto. In prospettiva, bisogna elaborare una seria politica di investimento e di cooperazione con l’Africa, se non vogliamo lasciarci travolgere dagli eventi nei prossimi decenni. E nel frattempo, l’obiettivo deve essere quello di una gestione dell’immigrazione coordinata, che non ricada solo sui paesi del sud: esigenza avvertita non a casa anche da Cipro, Malta e Grecia, che insieme a noi hanno firmato un documento congiunto”. Ecco, appunto. Cipro, Malta, Grecia. Draghi dixit che gli alleati l’Italia dovrebbe sceglierseli sulla base di una comunanza ideologica, ma anche sulla base degli interessi nazionali, e dunque: “Quali sono – ci appropriamo della domanda del fu premier, rimasta sospesa, mesi fa, in una della sue ultime conferenze stampa – i partner che mi aiutano a proteggere gli interessi italiani, chi conta di più tra questi partner?”. “Ma a Bruxelles ogni giorno si discute e ci si accapiglia su decine di dossier. E ogni giorno, a seconda dei temi, si costruiscono intese con i paesi che condividono le nostre posizioni”. Posizionamento day by day, dunque, senza alcun vincolo imprescindibile? “Sono alleanze flessibili. Tutti si comportano così. Sulla pesca puoi ritrovarti a sostenere la proposta norvegese e sulla normativa degli imballaggi ci potrebbe essere quella stessa Norvegia che sta insieme ai tedeschi, mentre noi e gli spagnoli siamo contrari”. Non sarà che questa strategia delle mani libere sta lì a nascondere una certa difficoltà, da parte di una piattaforma di partiti sovranisti, nel costruire vere alleanze, in un guazzabuglio di rivendicazioni nazionalistiche che mal si conciliano con la necessità di sviluppare una politica realmente europea? “Non c’è nessuna difficoltà e nessuna internazionale sovranista, e questo per favore scrivetelo. Perché questa è tutta una fascinazione giornalistica”.
“L’obiettivo della Meloni è quello di costruire un dialogo aperto con tutti ma anche di cercare un nuovo rapporto tra Conservatori e Popolari, anche per evitare che questi ultimi perseverino nell’appiattimento totale sui Socialisti. Su tanti temi, in Europa, c’è una convergenza naturale tra le famiglie storiche del centrodestra”.
Marine Le Pen, che è alleata da sempre di Matteo Salvini, è stata la prima a condannare Macron per la scelta di accogliere la Ocean Viking: così, forse, la fascinazione diventa cronaca. “Noi, come Fratelli d’Italia, non stiamo col Rassemblement National, stiamo nei Conservatori, che è una famiglia pienamente inserita nel gioco politico a Bruxelles”. E intendete restarci, nei Conservatori? “Be’, Giorgia Meloni ne è la presidente”. Ma molto si è chiacchierato, in Transatlantico, dopo l’incontro con Manfred Weber, leader del Ppe, a Palazzo Chigi di pochi giorni fa. “E non credo sia un mistero che l’obiettivo della Meloni sia quello di costruire un dialogo aperto con tutti ma anche di cercare un nuovo rapporto tra Conservatori e Popolari, anche per evitare che questi ultimi perseverino nell’appiattimento totale sui Socialisti. Su tanti temi, in Europa e nei vari stati membri, c’è una convergenza naturale tra le famiglie storiche del centrodestra. Molto più naturale di quanto non lo siano certe coalizioni trasversali un po’ bislacche. Insomma, è più normale che Meloni vada d’accordo con Gianfranco Rotondi, che non con Nicola Fratoianni, no?”. Esempio calzante, va detto.
Quanto alla Difesa comune europea… “Quanto alla Difesa comune europea, almeno a livello di industria della difesa, di alleanze di fatto non ce ne sono, è tutto molto fluido. Solo che io ora avrei una certa fretta”, taglia corto Crosetto, che in effetti ha concesso ben più dell’oretta concordata, e c’è chi lo reclama (“Ministro, avrebbe degli impegni”).
Due curiosità residue. “Una”, ci costringe a scegliere. E allora, visto che tra gli impegni improrogabili c’è una discussione con la Meloni sulla legge di Bilancio, bisogna capire quanto questa linea della cautela sui conti riuscirà a contenere le spinte di chi, specie nella Lega, chiede spese allegre. “Confido che sia obiettivo di tutti non favorire, con scelte azzardate, chi non vede l’ora di attaccarci e indebolirci”. Uno pensa al Pd, macché. “Nelle ultime settimane le proiezioni che riguardano la nostra economia sono migliori di quelle sull’economia francese”. Sempre lì si va a parare. “Solo che poi la Lagarde…”, che guarda caso è francese, “… non importa la nazionalità, la Lagarde c’ha messo del suo, per ribadire che l’obiettivo della Bce è alzare i tassi, e non ridurre gli spread e che vuole vendere i titoli…”. E qui, forse sul punto di dire altro sulla Lagarde, o magari semplicemente perché in effetti è l’una passata, e allora noi stiamo diventando troppo molesti (non è che sotto la scrivania smaltata ha un bottone per liquidare i molestatori, tipo Jude Law in The Young Pope?), il ministro si alza e si congeda.