il caso
Il dg dell'Arpal pugliese resta al suo posto: la legge votata da Pd (senza Emiliano) e M5s è incostituzionale
Massimo Cassano vince il ricorso contro la norma regionale (a cui i civici del governatore pugliese si erano opposti). Il calendiano resta all'Agenzia per il lavoro
Il Partito democratico non l’aveva digerita la candidatura di Massimo Cassano, grande elettore di Michele Emiliano, tra le fila di Carlo Calenda. Lui che nelle varie diramazioni del potere regionale occupa il comando della società pubblica con più capacità di assunzioni: l’Arpal, l’Agenzia regionale per il lavoro, che gestisce i centri per l’impiego.
Cassano da Forza Italia seguì Alfano dopo la rottura per rimanere al governo e diventò sottosegretario al Lavoro. Da sempre nemico interno di Raffaele Fitto, che Cassano chiamava “uno Schumacher delle sconfitte elettorali” anche quando alle Europee del 2014 uno contro l’altro Fitto raccolse 284mila voti e Cassano 19mila.
Finita l’esperienza di governo con Alfano, Emiliano lo chiamò per dirigere l’agenzia regionale nominandolo commissario. Successivamente si notò che serviva un concorso, bandito e vinto dallo stesso Cassano.
Nel frattempo costruisce una sua lista civica raccogliendo tutti gli uomini di centrodestra fuoriusciti dai grandi partiti, e li schiera alle regionali per Emiliano raccogliendo centomila voti.
L’Arpal, che all’inizio sembrava un’agenzia inutile visto il deserto dei centri per l’impiego, diventa un bottino di consenso. Arriva il governo Conte, i navigator, e il decreto per l’assunzione degli impiegati dei centri, duemila in Puglia. E Cassano si è divertito, ancor prima di fare i concorsi, assumendo personale somministrato per i centri per l’impiego pubblici, tramite i centri per l’impiego privati. E qui si sono incontrati tra gli assunti diversi familiari, amici e iscritti al partito di Cassano. Tutto regolare, li hanno selezionati i privati, perché un iscritto al partito di Cassano non dovrebbe partecipare? Poi ovviamente chiedono di essere stabilizzati, e i sindacati si schierano per loro.
E’ il momento di riprendere la scalata, dopo aver bussato alla Lega e al partito di Di Maio, alla fine grazie alla vecchia amicizia con Mara Carfagna Cassano si candida in Azione. E’ secondo dietro di lei, può farcela. Continua a fare assunzioni in piena campagna elettorale, prima del mese di aspettativa. Francesco Boccia gli chiese di dimettersi. Quando sarebbe bastato chiedere a Emiliano di farlo: la nomina era tutta nelle sue mani. Poteva revocarla come aveva fatto con il capo della protezione civile arrestato mentre prendeva tangenti per appalti Covid e migranti. Ma stare con Calenda non è come prendere una tangente. Il governatore è ancora pm e lo sa bene. E continua a difendere il direttore: la nomina è legittima, questa è Stalingrado, meglio votare Cassano, Calenda e Renzi che Raffale Fitto.
Fratelli d’Italia avvertiva Calenda: “Se Cassano avesse davvero abbandonato Emiliano, oggi non sarebbe più all’Arpal”.
Alla fine i voti di Cassano in Puglia sono serviti solo per far eleggere Mara Carfagna, avendo questo patto fatto perdere i voti di Italia Viva.
Cassano non ci sta e fa ricorso alla corte d’Appello. E chi è il legale che lo difende? Davide Bellomo, suo avversario diretto per il centrodestra alle politiche nel collegio di Bari. Che a differenza di Cassano è stato eletto, ed è oggi deputato della Lega. Si dirà: una cosa è il lavoro un’altra è la politica. Vero, però la Lega in Puglia, e Bellomo in particolare, hanno sempre difeso la nomina di Cassano (dopo aver fatto perdere Fitto alle regionali).
Il Pd, che non l’aveva digerita, presenta in Consiglio regionale una proposta di legge per farlo decadere, trasformando la direttore unico in un cda a 5. Così ogni partito avrebbe potuto avere il proprio nome in cda. Ma Emiliano non può rompere il patto con il suo pupillo, ha appena partecipato al matrimonio della figlia di Cassano, e sventola un parere contrario dell’avvocatura regionale: il candidato di Calenda non si può togliere. Nel frattempo arrestano la paladina di Cassano al consiglio comunale di Bari per voto di scambio mafioso. Proprio lei che quando a Cassano chiedevano delle assunzioni dei parenti in Arpal, rispondeva che stavano facendo “lavoro creativo”.
La proposta di legge regionale per far decadere Cassano passa con il voto di Pd e 5 stelle, votano contro i civici di Emiliano. La maggioranza si spacca. L’avvocato di Cassano, onorevole Bellomo, presenta con la Lega una proposta per far rientrare Cassano. Cassano lancia l’editto: “Tornerò da direttore”, e presenta ricorso.
Ieri la Ragioneria di stato ha inviato un parere all’ufficio legislativo dichiarando incostituzionale la legge regionale per la decadenza di Cassano. Ora il parere verrà trasmesso al Consiglio dei ministri che potrà recepire il parere e impugnarlo davanti alla Corte costituzionale. Ironia della sorte il governo di centrodestra farà ricorso per salvare Massimo Cassano. Per la gioia di Raffaele Fitto. A quel punto i 5 stelle potranno dire che il centrodestra si fa le leggi per salvare i suoi. In qualche modo avrebbero anche ragione. Questa è Stalingrado.