Appalti e disaccordi
Salvini vuole ridurre al minimo il codice dei contratti pubblici, ma Meloni frena
La presidente del consiglio teme la Ue e pasticci normativi su un testo fondamentale per lo sviluppo del paese. La normalizzazione del modello Genova auspicata dal ministro delle Infrastrutture rischia la tagliola dell'Europa
Lui vuole accorciare il Codice degli appalti, lei inizia a preoccuparsi. Matteo Salvini, da ministro delle Infrastrutture, va di corsa. Ha fretta di rivendicare cantieri e opere sbloccate: sono i suoi ponti per riprendere quota e consensi. Giorgia Meloni inizia a dubitare sulla bontà di tanta foga. Ha il timore che, taglia di qua e accorcia di là, alla fine arrivi l’Europa a dire che no, non va bene. Altro che modello Genova, si rischia il modello Waterloo. Sicché la baldanza che si respira a Porta Pia fa il paio con la cautela di Palazzo Chigi.
Bisogna partire da questa premessa: il Codice degli appalti è uno degli impegni principali che l’Italia ha preso per accedere ai fondi del Pnrr. Lo scadenzario è già fissato: la prima bozza deve essere presentata alla Ue entro inizio dicembre. Poi, entro il 31 di marzo, il provvedimento dovrà essere approvato, per entrare in vigore entro il 30 di giugno, quando dovranno essere pronti i 41 allegati attuativi che sono il vero cuore della riforma.
Dopo l’approvazione del decreto legislativo lo scorso 14 giugno è stata istituita in seno al Consiglio di Stato una commissione mista (con professori, avvocati dello stato, magistrati amministrativi e tecnici di Banca d’Italia) presieduta dal presidente Franco Frattini e coordinata dal presidente della sezione normativa del CdS Luigi Carbone (ex capo di gabinetto di Tria) per la redazione del testo, arrivato a Palazzo Chigi lo scorso 20 ottobre. Ed è tra le pieghe del provvedimento che si cela lo scontro. Il testo consegnato da Carbone alla Presidenza del consiglio è più breve del codice attuale di circa il 30 per cento. Salvini ha dichiarato che bisogna “raddoppiare, serve un testo ancora più snello”. In pratica vuole ridurre ulteriormente la lunghezza del codice. L’obiettivo, ha detto, è arrivare al “50 per cento di parole in meno”. Dalle parte di Meloni questi intenzioni sono accolte con preoccupazione. Perché? Da una parte si teme lo stop dell’Europa che già lo scorso aprile aveva inviato ai membri delle commissioni competenti del Parlamento un allert sul fast track. E cioè le norme derogatorie già presenti nei decreti semplificazioni che saranno recepite dal nuovo Codice degli appalti. Insomma, il modello Genova se generalizzato potrebbe incorrere nella tagliola europea.
Dall’altra parte, a Palazzo Chigi c’è il timore che Salvini e la Lega abbiano fretta di approvare un decreto solo per apporre una bandierina. Ma senza i 41 decreti attuativi rischia di essere una bella scatola vuota. Un modo facile per dire: fatto! Sempre da Fratelli d’Italia, sponda governativa, sono per intraprendere un’altra strada. O meglio vorrebbero consigliare all’alleato di procedere così: invece di snellire il Codice, con tutti i rischi del caso, pensiamo a come far funzionare la norma armonizzando tutti i decreti attuativi. Anche perché “il Modello Genova serve a ridurre i tempi di gara che sono quelli che rischiano le infrazioni della Ue sulla concorrenza, mentre con gli allegati si può agire su tutta la fase istruttoria che occupa oggi il 70 per cento dei tempi delle procedure di gara”. Il dibattito corre in parallelo con le intenzioni del governo di rivedere il reato di abuso d’ufficio per eliminare la paura di firma della macchina amministrativa italiana, terrorizzata di finire nei guai davanti al primo esposto. Anche per questo bisogna fare in fretta affinché la burocrazia possa studiare e, soprattutto, adottare il nuovo testo. All’ombra di questo scontro puramente tecnico si alza la cortina dei sospetti. Ed ecco allora le perplessità dei meloniani su Matteo Salvini. Il capo della Lega sognava il Viminale, ma è finito ad occuparsi di altro convinto che dalle Infrastrutture avrebbe comunque potuto avere visibilità e consensi, grazie anche al controllo della guardia costiera. Un telecomando sempre utile se c’è da fare una battaglia politica sui migranti come ai gloriosi tempi che furono. Un nuovo profilo per una lunga rincorsa. Un calcolo che agli uomini di Meloni non è passato inosservato in questo perenne tentativo di marcarsi a uomo che si registra nel governo fra i vari leader. Ma anche qui le intenzioni non combaciano. Passi per la legittima voglia di propaganda di Salvini, a palazzo Chigi temono che con un codice troppo slim si finisca davvero nei guai. “E’ un provvedimento sui cui si gioca la competitività del paese”, dicono.