guai a sud
La Sicilia è alla deriva: un buco da un miliardo di euro. E Schifani cerca aiuto da Giorgetti
Nella maggioranza pesano le spaccature interne a Forza Italia mentre la Corte dei conti contesta il bilancio regionale. Al Mef arriva così la richiesta di 600 milioni per uscire dall'impasse finanziaria: domani l'incontro tra il presidente siciliano e il ministro dell'Economia
La Sicilia è una zattera pericolosamente alla deriva. Sabato prossimo il bilancio regionale sarà sottoposto al giudizio di parifica della Corte dei conti, che in queste settimane ha già contestato a Schifani un “buco” da un miliardo. Se le previsioni nefaste fossero confermate, significherebbe – pressappoco – il congelamento della spesa e il taglio di alcuni servizi essenziali (da estrarre a sorte dalla prossima manovra). Per evitare tutto ciò il governatore di Forza Italia – o meglio, di una parte di Forza Italia – s’è portato avanti. Ed è stato ricevuto dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che nel frattempo sta cercando di arrabattarsi per trovare le coperture finanziarie alla legge di Bilancio dello stato che inizia il suo iter in Parlamento.
Stritolato dall’attualità, Giorgetti ha promesso a Schifani un nuovo vertice – martedì al Mef – per trovare una exit strategy ai problemi dell’Isola. “Ho molto apprezzato l’apertura e la sensibilità del ministro che, una volta preso atto delle aspettative della Regione, ha manifestato la disponibilità a valutare idonee iniziative per la stabilizzazione finanziaria della Sicilia”, ha dichiarato Schifani. La richiesta del presidente della regione si tradurrà in un aiutino da 600 milioni di euro, giustificato con “l’aumento della compartecipazione finanziaria alla spesa sanitaria” che ha determinato un aggravio di spesa per le casse di Palazzo d’Orleans. La questione va un tantino oltre: secondo le recenti contestazioni della magistratura contabile, infatti, negli esercizi finanziari 2019 e 2020, in forza di un accordo con lo stato sottoscritto solo nel 2021, la Sicilia avrebbe garantito una copertura del disavanzo di gran lunga inferiore rispetto alle previsioni di legge. Il punto è che la cifra da recuperare si aggira sui 650 milioni. Milione più milione meno, i soldi chiesti a Roma per uscire dall’impasse.
Se la Corte dei Conti dovesse proseguire con le sue teorie – probabile – Schifani sarebbe costretto ad accantonare il corrispettivo nella prossima Finanziaria, attesa entro fine anno. La Sicilia però non naviga nell’oro: “congelare” quella cifra significherebbe stoppare una macchina che già fatica a mettersi in strada. E finire nel mirino dei rivali: quelli interni sono più assetati delle opposizioni, e non attendono altro. Da qui la supplica a Giorgetti, che difficilmente potrà cedere su tutta la linea. L’obiettivo è trovare un compromesso che consenta alla regione – gradualmente – di ridurre la propria quota di compartecipazione alla spesa sanitaria. E, nelle more, ottenere una forma di “sanatoria” (la formula è da affinare) che permetta al governo neo-insediato di andare avanti per la propria strada, senza cedere il passo allo sconforto e alla carenza cronica di risorse.
A Roma sanno benissimo che la tenuta di Schifani può essere inficiata in qualsiasi momento dalle tensioni dentro Forza Italia, dove prosegue la lotta armata fra l’ex presidente del Senato e il commissario regionale, Gianfranco Micciché. La settimana scorsa è andata in scena la separazione dei beni: quest’ultimo s’è tenuto il simbolo del partito, ma ha perso per strada otto parlamentari, passati sotto le insegne del governatore. Ma più in generale, anche dalle prime votazioni all’Assemblea regionale s’è capito che nel centrodestra non tira una bella aria. Le tensioni accumulate al momento della scelta degli assessori, che ha visto il sacrificio di alcuni componenti di Fratelli d’Italia, potrebbero manifestarsi in qualsiasi momento. Togliere a Schifani l’opzione di una Finanziaria corpulenta, con cui assecondare anche i bisogni dei parlamentari più disallineati (in Sicilia prevale la logica dei contributi a pioggia nei collegi elettorali di riferimento), significherebbe esporre il presidente a giorni di feroce polemica e ad anni di stenti.
Il primo a volerlo impedire è Ignazio La Russa, che da proconsole della Meloni per le questioni sicule, s’è speso in prima persona per rendere l’Isola un feudo patriota: al netto del forzista Schifani, scelto da lui medesimo, FdI ha conquistato la presidenza dell’Assemblea regionale, quattro assessorati di rilievo (tra cui i Beni culturali e il Turismo) e due presidenze di commissione parlamentare. Guai a rovinare tutto.