la giornata alla camera
Ritirato l'emendamento sulle armi all'Ucraina. Opposizione divisa sulle mozioni
I relatori del decreto Nato fanno un passo indietro. In Aula alla Camera si discute di quattro mozioni diverse presentate da Pd, M5s, Terzo polo e Verdi-Si sull'invio di aiuti militari a Kyiv
Il governo è stato costretto a fare un passo indietro sull'invio di armi in Ucraina. I relatori del decreto Nato Roberto Menia (FdI) e Clotilde Minasi (Lega) hanno ritirato l'emendamento sulla proroga dell'invio di rifornimenti militari a Kyiv all'esame delle commissioni Esteri-Difesa e Affari sociali in Senato. Il voto in Aula slitta a domani.
Ieri sera, mentre ci si preparava alla discussione prevista per oggi, Giorgia Meloni ha incontrato i suoi alleati di governo nell'aula del Senato proprio per inserire questo emendamento al decreto sulle missioni Nato, che prevede tra l'altro misure per il servizio sanitario della regione Calabria. Il testo dell'emendamento, scritto dopo una lunga mediazione tra FdI, FI e Lega, prevedeva la proroga a tutto il 2023 sulla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari al paese invaso. Nel decreto c'è anche l'impegno da parte della maggioranza a "conseguire l'obiettivo di una spesa per la difesa pari al 2 per cento del pil".
E mentre il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, è a Bucarest per un incontro con gli omologhi dei paesi Nato per discutere dell'ingresso dell'Ucraina nell'Alleanza atlantica, alla Camera si svolge oggi un altro dibattito, aperto dal leader dei 5 stelle Giuseppe Conte. Nel palazzo di Montecitorio si confrontano gli schieramenti dell'opposizione su quattro mozioni che sono state presentate da Pd, M5s, Terzo polo e Verdi-Si in ordine sparso contro l'asse Meloni-Tajani. C'è chi si oppone in modo deciso, ed è l'alleanza composta da Verdi e Sinistra italiana, che, in modo netto chiede di "interrompere la fornitura di equipaggiamento militare" e di concentrarsi sugli aiuti umanitari e la ricostruzione delle città.
Una posizione che fa da sponda ai 5 stelle di Conte, il quale, firmatario di un'altra mozione, si appella a due punti principali: puntare sugli sforzi diplomatici per "scongiurare un'ulteriore escalation militare" e, soprattutto, interpellare le Camere prima di prendere le decisioni di materia internazionale, comprese quelle sull'invio di forniture militari.
Anche i moderati del Terzo polo hanno presentato una mozione che lascia poco spazio a dubbi e sollecita a continuare "senza riserve l'attività di sostegno economico e militare a Kyiv, in continuità con il governo Draghi".
C'è molta più incertezza invece nel Partito democratico, che poco riesce a tenere a bada i diversi animi al suo interno. E quindi, per venire incontro sia alle posizioni più radicali e pacifiste sia a quelle più interventiste, si legge nella mozione un testo annacquato che tenta di guardare a tutto il campo dell'opposizione, facendo però fatica a intercettare qualcuno con precisione. Da una parte c'è l'auspicio nell'avvio "di un percorso diplomatico per la costruzione di una Conferenza di pace" - e con queste parole si manda un segnale al M5s -, ma dall'altra parte si sottolinea la pretesa di "pieno sostegno al popolo e alle istituzioni ucraine, mediante tutte le forme di assistenza necessarie al fine di assicurare quanto previsto dall’articolo 51 della Carta Onu, che sancisce il diritto all’autodifesa individuale e collettiva". Un "pieno sostegno" che ha come sottotesto il "sì" alle armi, ma senza dirlo, veicolando un altro e opposto segnale in direzione del campo centrista.
Articolo aggiornato alle 15,40