il racconto
Cronaca magrittiana di una sera con Elly Schlein: si (non) candida al Pd
La candidata non candidata scioglierà la riserva domenica in un locale di Roma. Intanto tutti la aspettano alla presentazione di un documentario ambientalista con Roberto Morassut, nel piccolo teatro di un oratorio a San Giovanni. Alla fine arriva, anche se in ritardo. Sulla testa gli occhiali da sole, ma è il tramonto
Ha smentito il ritiro di una candidatura alla segreteria del Pd che tuttavia non ha ancora avanzato, e così ieri Elly Schlein si è posizionata in zona Magritte, per così dire: surrealismo belga (anche se lei è nata in Svizzera). Questa non è una pipa. Ma trattandosi in fin dei conti del congresso del Pd, cioè quella cosa che dura quattro mesi e mezzo sul lettino dello psicoanalista e poi Goffredo Bettini candida Matteo Ricci “per riaccendere la scintilla della rivoluzione d’ottobre”, ci può anche stare.
Così ieri bisognava proprio andare ad ascoltarla, Elly, la candidata non candidata, nel quartiere San Giovanni, a Roma, nel piccolo teatro di un oratorio, la parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio, alla presentazione con Roberto Morassut (“Elly è straordinaria, ma io non ho ancora deciso chi sosterrò”) di un documentario ambientalista girato da Piero Badaloni: “La grande sete” (di segreteria?). Solo che Elly non arriva. Passano dieci minuti. Venticinque. Trenta. Quarantacinque. Niente. “S’è pentita di avere detto di sì. Non sa che dire”. Le aspettative, anche dell’Ansa che attende un annuncio di candidatura, si rianimano per un attimo solo quando compare un tizio in moto e casco integrale. Osserva i giornalisti. Sembra uno che la sa lunga: “E’ qui l’assemblea di condominio?”. No.
Intanto però il film di Badaloni comincia, ma Schlein ancora non c’è: la sola prestigiatrice che insieme ai conigli fa scomparire anche se stessa. Parlerà il 4 dicembre, fa sapere in diretta su Twitter, al quartiere Portonaccio: “Abbiamo bisogno di vederci. Abbiamo bisogno di confrontarci”. In pratica un’uscita tra amici al pub. Solo che il 4 dicembre a Roma è una “domenica ecologica”. Niente automobili nella fascia verde. E come ci si arriva? “Chissà”. Ma si candida? “Boh”. E i suoi amici, anche quelli venuti a San Giovanni, già un po’ temono che se non si sbriga lei possa incorrere nel famigerato effetto Arbasino, ovvero quel momento stregato per il quale in Italia si passa in un lampo dalla categoria di bella promessa a quella di solito stronzo. Ma ti candidi sì o no? All’ultimo che gliel’aveva chiesto in maniera secca e perentoria, cioè Stefano Cappellini su Repubblica, lei aveva dato una rispostina di appena sessantanove parole. Otto righe di giornale. La prendeva alla larga. Come quando una volta ci trovammo sul Frecciarossa diretto da Roma a Milano con un signore conosciuto pochi minuti prima, e tanto per rivolgergli la parola gli chiedemmo di dove fosse: “Nel Trecento la mia famiglia era a Ferrara…”, cominciò lui garbatamente. Arrivati a Firenze era giunto alla metà del Settecento. E quando il treno attraversava la stazione di Milano-Rogoredo, quel gentiluomo non era ancora nato. Doveva essere iscritto al Pd pure lui. Tempi asiatici. Come quelli di Elly, che alle 19 passate, dopo un’ora, finalmente si presenta dal povero Badaloni. Indossa sulla testa gli occhiali da sole. Al tramonto. Non ha visto il film ambientalista, ma pronuncia comunque una frase sonora, densa di destino: “Chi sta pagando il prezzo dell’emergenza climatica sono i paesi più poveri, quelli che hanno minore responsabilità dell’inquinamento”. Vallo a dire al Vietnam e all’India. Ecco. La osserviamo bene: in effetti non è una pipa. E si candida.