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L'intervista

Confindustria Verona: la città cresce da sola, nonostante una “manovra senza coraggio”

Roberto Mania

Il presidente deglin industriali nella città veneta, Raffaele Boscaini, parla del governo, delle multinazionali e delle riforme. E sulla legge di Bilancio: "Serve visione. Che idea ha il governo del nostro futuro assetto produttivo?"

Dice Raffaele Boscaini, 52 anni, presidente della Confindustria di Verona, che in fondo la prima legge di Bilancio di Giorgia Meloni non è altro che un pezzo dell’agenda Draghi. “Non avrebbe potuto fare di più, era l’unica strada percorribile, un sentiero stretto tra i vincoli della Ue, i vincoli dei mercati e l’emergenza energia. È stato saggio cominciare così”. Cominciare, appunto. Perché questo non è più il governo Draghi, questo è un governo politico, “con una maggioranza forte – aggiunge Boscaini – destinato a durare nel tempo”. “Servirebbe un disegno chiaro, l’addio agli slogan. Ma questo non c’è. Ci sono le risposte a domande contingenti, il contante, la tregua fiscale, Quota 103. Non c’è il progetto, l’idea di Italia tra dieci, vent’anni. Paradossalmente era ben più lungimirante il governo guidato da un tecnico come Draghi. Non me ne vorrà la presidente Meloni ma io, in questa manovra finanziaria, di coraggio non ne vedo”. Manca la politica in un governo politico. Manca il futuro. E questo è il punto cruciale per un industriale, che per mestiere prova ad anticipare o a immaginare quel che sarà.

 

Boscaini è membro del consiglio di amministrazione dell’azienda di famiglia, la Masi (fondata nel 1772), produce vino in Valpolicella (l’Amarone è stranoto, il padre Sandro è “Mister Amarone”), quotata in Borsa nel segmento per le piccole imprese dal 2015, fattura oltre 66 milioni di euro all’anno, esporta il 74 per cento in 140 paesi, ha 151 dipendenti. Boscaini è il direttore del marketing dell’impresa di famiglia e guida gli industriali veronesi da oltre un anno. 

 
Verona è tra i pochi territori del nord-est a non aver sostenuto Carlo Bonomi nella scalata a Confindustria. Ora sono in piena sintonia. Così Verona sta diventando una sorta di laboratorio, anche in politica.

 

Contaminazione è la parola chiave. Ha eletto sindaco Damiano Tommasi (centrosinistra) e poi ha votato in massa Fratelli d’Italia il 25 settembre. È, dunque, un luogo di coesistenze, di convenienze, di contraddizioni risolte, di benessere assai diffuso (prima provincia veneta per pil pro capite) e di tanta industria. Imprese medio-grandi, solo tra le iscritte a Confindustria ci sono 100 multinazionali. Il gigante americano dei semiconduttori Intel potrebbe investire anche a Verona per provare a contrastare il dominio della taiwanese Tsmc fondata dal visionario cinese Morris Chang. “I possibili effetti sul territorio? La contaminazione”, spiega – ovviamente – Boscaini. “Le multinazionali portano aria fresca, nuovi stimoli, altri punti di vista”. E allora come si concilia la scelta sovranista anche di Verona nelle ultime elezioni politiche con il fascino che deriva dalle multinazionali tendenzialmente apolidi? “Guardi, la salvaguardia della propria identità non necessariamente richiede chiusure. Pensiamo alla Svezia, alle sue aperture ma insieme alla sua strenua difesa della nazionalità”.

 

Già, ma il nazionalismo della destra italiana al governo porta allo scontro sui migranti, alle inutili crisi diplomatiche, alle deboli e fugaci alleanze mediterranee. Non proprio un fattore di forza. Verona, e gli industriali veronesi, hanno bisogno dei migranti. “Ecco, appunto: la crisi demografica non si risolve con gli slogan. Non è così che nascono i bambini. Serve un progetto per aggiornare il nostro sistema educativo. Me nessuno ne parla. Nessun segnale nella legge di Bilancio che è pur sempre la legge più importante dell’anno. Dopo il Pnrr ci vorrebbe un Pncc, un Piano nazionale delle competenze e delle conoscenze. Vuol dire investire sul futuro, sui giovani, sull’integrazione società-industria”. E anche sui migranti? “L’immigrazione va gestita ma non con gli occhi dell’ideologia. Anche in questo caso bisogna imparare a guardare da un’altra prospettiva, quella che mostra le opportunità”.

 

Dovrebbe valere pure per il Reddito di cittadinanza, che dopo il furore della campagna elettorale per cancellarlo è stato sostanzialmente confermato per un anno anche perché il rischio recessione fa paura. Poi si vedrà. “In tutti i paesi esiste un sussidio per i più poveri – ragiona Boscaini – va da sé che possa essere fatto meglio. Il sostegno deve rappresentare uno stimolo a cercare un’occupazione non un invito a restare sul divano. Ci vorrebbe un cambio culturale, l’attitudine a rischiare, a cambiare lavoro, a restare umili. Ho avuto la fortuna di girare il mondo e ho visto laureati in ingegneria accettare qualsiasi lavoro pur di non restare senza fare nulla per più di qualche giorno. Non ci sono solo i lavori intellettuali, non ci sono solo i licei, ci sono anche eccellenti istituti tecnici professionali. Dobbiamo riscoprire la bellezza del lavoro in fabbrica. Le fabbriche sono belle!”.

 

Sì, sì, ma gli industriali sono rimasti a secco: chiedevano un intervento choc per il taglio al cuneo fiscale e contributivo per 16 miliardi di euro, si sono ritrovati senza nulla. I tre punti in meno previsti dalla legge di Bilancio andranno tutti a rafforzare le buste paga delle fasce più basse dei redditi da lavoro dipendente. Un taglio al costo del lavoro, certo, ma decisamente inferiore a quel che chiedeva Confindustria. “Per questo – insiste Boscaini – richiamo l’esigenza di visione. Che idea ha il governo del nostro futuro assetto produttivo? Il taglio al cuneo sta dentro un progetto ambizioso, di lunga visione. Le risposte per ora non ci sono. Facciamo le opere infrastrutturali solo quando organizziamo i Mondiali di calcio o i Giochi olimpici. Così non si progetta un paese”. 

 

Hanno preferito, tra l’altro, alzare il tetto per i pagamenti in contanti. “Per le imprese che producono non cambia letteralmente nulla, resta tutto come prima”. Cambia qualcosa con Quota 103 che abbasserà (ma solo per qualcuno) i requisiti per andare in pensione? Potrebbe passare da qui il cambio generazionale che spesso serve alle imprese? “Dipende. Ci sono aziende che hanno bisogno di immettere giovani tra i propri dipendenti per affrontare, per esempio, profondi processi di digitalizzazione; ci sono aziende che hanno bisogno di valorizzare ancora l’esperienza dei lavoratori più anziani. Le imprese non si gestiscono con l’ideologia”.