Costituenti a colloquio
Il nemico "ordoliberista" e altre surrealtà dal comitato dei saggi Pd
J'accuse di Nadia Urbinati e Andrea Orlando contro lo statuto del 2007, mentre Caterina Cerroni legge Chomsky. Cronache da un'assemblea irreale
Giorno uno, anno uno, riunione uno del comitato di saggi anche detto comitato costituente del Pd: si è insediato ieri, a distanza, l’organismo degli 87 che ha come garanti Enrico Letta e Roberto Speranza, con invitati permanenti i sindaci, i governatori e i candidati alla segreteria, oltre a personalità varie del partito e non, tra cui Filippo Andreatta, Paolo Ciani, Gianni Cuperlo, Valentina Cuppi, Susanna Camusso, Annamaria Furlan, Elisabetta Gualmini, Luigi Manconi, Matteo Orfini, Barbara Pollastrini, Andrea Romano, Sandro Ruotolo, Chiara Saraceno, Nadia Urbinati, Luigi Zanda e Nicola Zingaretti. Obiettivo: elaborare un nuovo Manifesto dei valori e dei principi nel percorso costituente verso il Pd 2.0. E se il buongiorno si vede dal mattino, nelle prime ore del super-comitato il nemico si è presentato sotto le spoglie dell’“egemonia neoliberista”, per dirla con Roberto Speranza all’apertura dei lavori (un Roberto Speranza nelle cui parole riecheggiavano i toni drammatici del libro scritto e poi ritirato ai tempi della pandemia, racconta un partecipante alla riunione). E sembra di essere nel 2022, ma anche in un indefinito passato ex-post-neo-comunista, a sentire Nadia Urbinati, ché la politologa ha riflettuto a lungo, narrano i presenti, prima di accettare di partecipare. Ma siccome la sinistra è a rischio di scomparsa in tutto il mondo, era il concetto, lei, nel suo piccolo, sentiva “giusto fare tutto il possibile”. Ma c’è un ma: “In che modo può essere vincolante l’elaborazione del comitato saggi?”, si domandava Urbinati, “visto che lavoriamo prima dell’elezione del nuovo segretario?”.
E in effetti, metti che Stefano Bonaccini arrivi in vetta, il rischio ci può essere, che la posizione espressa da Speranza e Urbinati magari non si imponga. Ed ecco che sugli schermi prendeva forma l’altra grande domanda: “Qual è il metodo di decisione del comitato stesso? Chi fa proposte? Chi decide?”. E sull’altare della chiarezza, procedurale e non, Urbinati si diceva dubbiosa anche rispetto agli interventi di Letta e Speranza, i garanti, tanto più che a suo avviso mancava il riferimento “alla diseguaglianza e alla condizione socio-economica e culturale”. “La sinistra nelle sue precedenti vite ha contribuito a porre ostacoli all’uguaglianza che hanno creato cittadini di serie A e di serie B”, diceva la politologa, “e tutta la crisi della sinistra deriva dall’accettazione della diseguaglianza”.
E a questo punto non poteva che finire sul banco degli accusati non tanto Letta, i cui sforzi venivano ammirati per dire che però serviva altro, ma lo statuto originario del Pd. Ma che cosa ha fatto di così grave, dai tempi del Lingotto? A sentire il j’accuse, “il documento del 2007 è bolso, illeggibile, burocratese”, pieno di “parole d’ordine senza senso”, dallo stile “bruttissimo”, tanto che “servirebbe Concetto Marchesi”. Fatto sta che il consiglio-ordine di Urbinati era di “mettere al tappeto le possibili ambivalenze”. Ci pensava Andrea Orlando a mediare, nel senso che si diceva d’accordo sia con Speranza sia con Urbinati sul “documento del 2007, impregnato di neoliberismo e antipolitica”. In particolare, diceva l’ex ministro, il passaggio in cui si leggeva che “un mercato aperto è la precondizione della crescita”, gli sembrava un testo “scritto da un componente della scuola di Friburgo: è ordoliberlista”. Ed era a quel punto che la giovane Caterina Cerroni dava il colpo di grazia: “Leggevo Chomsky che citava Lenin secondo cui senza teoria rivoluzionaria non esiste alcuna pratica rivoluzionaria”. E alcuni tra i saggi collegati trasecolavano, in attesa della riunione numero due.