Il ministro del vorrei ma non Pos. Tutto l'imbarazzo di Giorgetti nel difendere la manovra di Giorgetti
Pnrr, contante e Superbonus. Così il capo del Mef critica la legge di Bilancio, ma anche la elogia. "Non andate nei ristoranti che non vi fanno pagare col bancomat", dice, dopo aver alzato il limite sui pagamenti elettronici. Ignavo e furbacchione, sempre apparentemente più virtuoso delle grossolanità che le contingenze lo costringono a commettere. Le tensioni con Bruxelles e il richiamo della Corte dei Conti
Prima o poi bisognerà coniare il sostantivo: “giorgettismo”. Verrà esportato, perfino: tipo felliniesque, basterà evocarlo e tutti capiranno. Quella pratica di apparire estremamente acuto nel difendere scelte scriteriate, la prudenza nei modi esibiti a tutela della bizzarria delle azioni compiute, essere immune a se stesso, confutarsi nell’istante stesso in cui si riafferma la propria coerenza. Forse sta qui, in questa estrema versione della furbizia italica, l’ineffabile capacità di Giancarlo Giorgetti di ergersi al di sopra delle sue mancanze. Altrimenti come spiegare il fatto che, nel presentare la legge di Bilancio che aumenta il limite di esenzione per il pagamento col Pos, il ministro dell’Economia riesca a lanciare un appello a boicottare gli esercenti che non usano il Pos? E’ successo davvero. Ieri, a Montecitorio. E in quella scena ha preso sostanza tutto l’imbarazzo di Giorgetti a dover difendere le scelte del ministro dell’Economia.
A indicare il paradosso, durante l’audizione del ministro leghista, è stato Luigi Marattin. “Voi giustificate il limite del contante a 5 mila euro in nome della libertà del cittadino di scegliere come pagare. Ma allora perché, al contempo, mi private di quella libertà, impedendomi di pagare con la carta di credito una cena da 55 euro in un ristorante?”. Al che Giorgetti avrebbe potuto sorvolare, o magari invitare il deputato renziano a lasciare 6 euro di mancia, o a ordinare un digestivo a fine pasto, per arrivare alla soglia fatidica oltre la quale il pagamento elettronico diventa obbligatorio. E invece no. “Volete prendermi in contraddizione?”, ha replicato il ministro, col sorriso sornione di chi la sa lunga. “E allora io le dico: lei, onorevole Marattin, ha la libertà di cambiare ristorante, e le suggerisco di farlo. E credo che se tutti quelli che trovano dei ristoratori che si vedono rifiutare il bancomat o la carta di credito facessero così, tutti si doterebbero del Pos”. E insomma settimane di retorica sovranista, di ammiccamento compiaciuto al piccolo commerciante che “se evade è per necessità”, tutto lo sforzo di soddisfare le richieste degli artigiani anche a dispetto dei moniti della Corte dei Conti che rimprovera l’incoerenza della misura “con l’obiettivo di contrasto all’evasione fiscale previsto nel Pnrr”, ecco, tutto obliterato dal ministro che a questa grande operazione ha sovrinteso, e che però poi con estrema leggerezza prospetta il fallimento del ristoratore furbetto, minaccia la morte per inedia per la partita Iva che, semplicemente, ha creduto di poter usufruire del favore che il governo gli concede.
Del resto, nella stessa audizione, Giorgetti si è vantato di aver ridotto, tramite la mancata indicizzazione delle pensioni più alte, di 10 miliardi sui 50 previsti la maggiore spesa previdenziale prevista per il triennio che verrà. E’ parso pure convincente. Se non fosse che, nel programma elettorale del centrodestra che lo ha voluto a Via XX Settembre, è tutto un rivendicare la spesa allegra per le pensioni: quota 100 prima, quota 41 poi, e il resto a seguire, chissà.
Pure sul Recovery, Giorgetti dissente, ma concordando, con le posizioni del governo di cui fa parte. Ribadisce, nella sua relazione al Parlamento, “l’importanza di accelerare l’attuazione del Pnrr pur in presenza di ostacoli quali il rialzo dei prezzi”; scansa i piagnistei dei suoi colleghi sull’inevitabilità del fallimento imminente, aggira la gnagnera sovranista sulle gare d’appalto deserte, le opere da tagliare, la mancanza di risorse, rivendicando che “proprio per far fronte a questo, la Finanziaria reca specifici fondi per un importo di circa 12 miliardi nel periodo 2023-2027”. E però, al dunque, si dice in sintonia coi ministri Fitto e Salvini, che da settimane preventivano la catastrofe ineluttabile sul Pnrr.
E così, una capriola dopo l’altra, Giorgetti arriva a smentire in diretta, e al contempo a esserne smentito, la sua stessa maggioranza. Perché mentre lui a Montecitorio, interpellato sulla riforma del Superbonus, rinnova i moniti contro l’abuso dei crediti d’imposta, “che producono dei problemi che chiunque sia transitato dal Mef conosce bene”, al Senato FdI, Lega e FI s’ingegnano per sbloccare una volta di più i cassetti fiscali delle imprese, e perfino per prorogare di qualche mese il sistema del 110 per cento che tanto Giorgetti aveva stigmatizzato come misura regressiva, iniqua, insostenibile. E che però, alla bisogna, sarà pronto a lasciar sopravvivere ancora un po’, sempre stando attento, beninteso, a esibire lo sbuffo che dimostri che tuttavia lui, se potesse, se gli venisse data la possibilità, farebbe altro.
Perché Giorgetti è un po’ così. Perennemente a disagio nei panni che accetta d’indossare. Sempre altrove, sempre riluttante, sempre apparentemente più virtuoso delle grossolanità che le contingenze, gli accidenti, Matteo Salvini, lo costringono a commettere. Ignavo e furbacchione. Una specie di estenuato scrivano Bartleby, ché “I would prefer not to, ma se proprio va così, che devo fare?”. Ricorda un po’ il Giovanni Tria ritratto a suo tempo da Maurizio Crozza: quello che con la mano a cucchiaio era perennemente costretto a giustificarsi rispetto alle scempiaggini che il “governo del cambiamento” lo obbligava a fare. Ah, c’era anche Giorgetti in quell’esecutivo disgraziato. Era a Palazzo Chigi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. E pure allora non era d’accordo con le cose che faceva.