Foto LaPresse

La grande paura

Dalla partecipazione al problema “valori”. Timori dei candidati al congresso pd

C'è chi teme la disaffezione dell'elettorato sotto Regionali, e chi una discrasia tra nuovo manifesto dei valori e linea di chi diventerà segretario

Marianna Rizzini

"Questo non può essere un congresso chiuso, l'epoca del verticismo è finito", dice Paola De Micheli, alludendo alla battaglia "di idee" (sua e di Matteo Ricci, dice). Intanto il tema "partecipazione" non preoccupa (ancora?) gli ambienti di Bonaccini e Schlein

Corre da sola, dice, e vorrebbe arrivare al ballottaggio, l’ex ministro dei Trasporti dem Paola De Micheli, candidata al congresso pd con l’appoggio di una novantina di comitati e l’idea di non volersi arrendere al dualismo mediatico Bonaccini-Schlein (intanto lunedì 12 De Micheli presenta a Roma, all’Ara Pacis, il suo libro “Concretamente. Prima le persone”, edizioni Rubettino, con Maurizio De Giovanni, Lucia Annunziata e Massimo Gramellini).

 

“La situazione è ancora competitiva”, dice De Micheli, “e io sono l’unica candidata con un profilo unitario. La mia storia è tutta interna al Pd, nella buona e nella cattiva sorte, e ricordiamoci che prima di arrivare ai gazebo delle primarie si pronunciano i circoli. Stavolta, e comunque molto meno di altre volte, non ci sarà un congresso deciso sulla carta”. Fatto sta che, dice al Foglio De Micheli, “bisognerebbe ora preoccuparsi di un problema che riguarda tutti i candidati: la partecipazione. Perché questo non può essere un congresso chiuso”. E la partecipazione non è scontata: “Si sottovaluta”, dice De Micheli, “l’insoddisfazione per l’assetto attuale del percorso congressuale, e si sottovaluta appunto che, nei territori, c’è insofferenza per il verticismo. L’epoca del verticismo è finita”. Non è che la partecipazione è a rischio anche per via della data, quel 19 febbraio sospeso nel vuoto ad appena una settimana da elezioni regionali in Lazio e Lombardia non semplici per il centrosinistra? “Consideriamo tutto, ma soprattutto partiamo dalle idee, come stiamo facendo io e Matteo Ricci”.

 

In campo, da “quasi candidato”, c’è anche infatti il sindaco di Pesaro. E gli altri candidati, quali timori nutrono, se li nutrono? Il fantasma della scarsa partecipazione, al momento, non sembra spaventare Stefano Bonaccini ed Elly Schlein – o almeno, raccontano nei rispettivi ambienti – “finora non se n’è parlato” o “ora c’è da pensare al percorso da fare per coinvolgerle, le persone”. Fatto sta che il tema della data era stato già affrontato, al Nazareno, dove più d’uno aveva espresso lo stesso timore: non sarà un autogol, andare a misurarsi con un elettorato che, se anche ci avrà appena votati, potrà nel peggiore dei casi aver visto un risultato negativo ed essere demotivato? E insomma, non bastasse la batosta elettorale di settembre, lo spauracchio di un’altra eventuale caduta nelle urne non aiuta la serenità di un partito che si appresta ad entrare nel vivo della fase congressuale nel bel mezzo della tempesta. Non solo: c’è anche l’altro timore sotteso, quello di finire vittime, chi più chi meno, dello stesso percorso costituente. Si sa infatti che il comitato costituente degli ottantasette saggi, quello che deve scrivere il nuovo manifesto dei valori, è al lavoro, ma si sa anche che la discussione all’interno del comitato medesimo corre lungo la direttrice del “quanto siamo diventati ordoliberisti?”: è questo infatti che si sono domandati alcuni tra i primi intervenuti al dibattito, da Andrea Orlando a Nadia Urbinati, anche formulando un j’accuse contro il manifesto precedente, quello uscito dal Lingotto di Walter Veltroni, nel 2007. E, visto che la tesi del recupero di un’idea di sinistra che sappia mettere in pratica la parola “uguaglianza”, questo il concetto prevalente nell’area suddetta del comitato, sta prendendo piede in seno al gruppo, c’è chi dubita: come farà un eventuale segretario riformista a governare un nuovo Pd che guarda al Pd riformista come fosse demonio in terra? E se, al contrario, alla fine, le tesi riformiste o una nuova terza via prevalessero in fase di stesura del manifesto, come potrebbe per esempio una Elly Schlein, portatrice delle istanze di quella che lei stessa, domenica scorsa, al momento di candidarsi, ha veicolato in una nuova “onda”, accettare di dover tenere in conto le parole di una “carta costituzionale” del Pd più moderata? Non bastasse, sono arrivate (a tutti) le picconature di Rosy Bindi a “In onda”, su La7: “Faccio fatica a pensare che il Pd di Bonaccini e Nardella sia un Pd di sinistra”, ha detto Bindi inizialmente, per poi virare verso un “nel tempo stesso faccio fatica a pensare che il Pd che si può costruire attorno a Schlein possa essere percepito come una sinistra di governo”. 

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.