Congresso Pd
Bonaccini parte dal Sud e prova a domare la vena populista di Emiliano-De Luca con una cura di realismo
Il governatore dell’Emilia-Romagna si lancia nella corsa alla segreteria. Rivendica la difesa delle partite Iva e il rigassificatore di Ravenna ma apre ai governatori dem sui paletti per l’autonomia (“che la destra ha i voti per fare da sola”). Decaro rivendica il potere unificante della chat “la sporca dozzina”
Stefano Bonaccini si lancia nell’agone del congresso Pd partendo dalla Puglia, su un binario ben preparato da Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente nazionale Anci amatissimo dagli amministratori. Il leader modenese prova a saldare un asse con i governatori meridionali Michele Emiliano e Vincenzo De Luca che gli assicurerebbe la vittoria finale facendo proprie le rivendicazioni e gli inviti alla prudenza sull’autonomia, ma tirando dritto sul riformismo e sulle scelte energetiche (vedi rigassificatori) contro ogni ecologismo del no.
Dopo il tributo a Cerignola sulla tomba del leader sindacale Giuseppe Di Vittorio, Bonaccini ha provato a sedurre i quattrocento dem (e civici, anche di centrodestra) radunati nel capoluogo pugliese da Decaro e Emiliano. Nel pubblico un panorama variegato dell’emirato: l’ex parlamentare dalemiano Fritz Massa, l’ad di Infratel (in quota 5S) Marco Bellezza, il presidente di Lega Coop Puglia Marcello Rollo, l’assessore comunale ex An Vito Lacoppola, mentre le prime file erano occupate dalla nomenclatura regionale dem, con il vicepresidente della giunta Raffaele Piemontese, il consigliere regionale Francesco Paolicelli (decariano) e l’ex eurodeputato emilianista Giovanni Procacci.L’incontro inizia con le note della “canzone popolare” di Ivano Fossati, poi la presentatrice Loredana Capone (presidente del consiglio regionale) ringrazia i presenti ricordando che in questi giorni in Puglia si preparano i dolci “porcedduzzi” salentini (“li ho fatti stamattina”).
Sale sul palco Antonio Decaro e si “melonizza”: “Io-sono-Antonio, sono-iscritto-al-Pd-dal-2008…”. Il passaggio successivo è pop: “In questi 14 anni come avrebbe detto il replicante in Blade runner ne ho viste di cose”. E giù la filippica anti-capobastone: “Ho visto gente incapace che ha azzeccato la corrente giusta e trovato un posto al governo; un amico di infanzia arrivato alle mani per il sottogoverno con un suo vecchio sodale…”. Poi rivela un aneddoto: ha aperto la chat “La sporca dozzina” per trovare una sintesi tra i vari amministratori, da Nardella a Bonaccini, passando per Ricci. Sfotte Bonaccini sui Ray-Man da sanbabilini: “Sono più brutti del carattere di Michele Emiliano…”. E chiude con una rivendicazione: “Siamo un popolo di formiche che non ha paura della fatica. Dobbiamo risalire la china dall’opposizione, senza manovre di palazzo e compromessi pur di sopravvivere”.
Microfono allo sceicco Emiliano che glissa su alleanze (dopo aver chiesto subito accordi con i 5S che tengono in piedi la sua maggioranza) e rigassificatori: “Stefano, sai come Tatarella chiamava la Puglia? L’Emilia nera”. Sorrisi sul palco. Rivendica i successi elettorali, i quattro mandati di centrosinistra alla Regione e al Comune di Bari, i numeri dei municipi: “Governiamo 237 comuni su 250 in Puglia”. Poi un crescendo.“ Vi dovete caricare la proposta di decarbonizzare l’Ilva”. “Stalingrado? Per me rimane una bella storia”. Le domande finali: “Te la senti di essere il segretario del Pd che faccia riconoscere all’Italia quello che abbiamo fatto in Puglia?”. Poi va sul pratico: “Te la senti di darci lo spazio che meritiamo? Vuoi diventare un po’ pugliese? Viva il Pd, viva la democrazia, e viva l’Italia”.
Bonaccini chiude l’incontro con una relazione pragmatica: "Sono abituato a stare in giro, ma stare in giro non vuol dire essere capaci. Se uno è coglione, gira e resta coglione”. Apre sulla questione Sud evocando il modello della Germania “diventata grande quando si è fatta carico dell’Est dopo la caduta del regime comunista”, elogia la lettiana Carta di Taranto sull’occupazione (scritta da De Luca e Emiliano), e sull’autonomia sceglie di ripartire dalla difesa dei Lep e dai paletti individuati dal ministro del Conte due, Francesco Boccia. Ecco il bagno di realismo: attenzione alle partite Iva (“non sono evasori”) e sburocratizzazione delle autorizzazioni per gli amministratori. Bordata ai capicorrente pavidi: “Se sei un leader, prendi i voti a casa tua. Dai una mano a vincere nei collegi”. L’annuncio di incontro - se sarà neosegretario - con Giorgia Meloni sulla linea del “basta nemici, noi siamo l’alternativa”, e la novità delle tre sedi nazionali: “Oltre il romanocentrismo, il Pd avrà sedi a Napoli e Milano”. Dalla platea: “E chi paga il fitto?”. Solo una pizzicata a Emiliano: “Serve meno burocrazia e una vera politica industriale. Noi il rigassificatore di Ravenna l’abbiamo autorizzato in quattro mesi”. Nessun accenno a 5S e Calenda. La chiusura tra l’elogio della coerenza meloniana e decollo di “un nuovo partito laburista che metta al centro i lavori”. Musica. Partono le note di Luciano Ligabue, “Il meglio deve ancora venire”…