Il rapporto
La nuova mappa della contrattazione collettiva nazionale del Cnel
C’è uno spazio politico per il ministero del Lavoro e c’è un nuovo spazio sindacale per le organizzazioni più rappresentative che può e deve essere colto al più presto
Nel Rapporto sul mercato del lavoro del Cnel del 2022 ci sono almeno due buone notizie. La prima riguarda un dato che sbaraglia la solita retorica sul numero dei contratti collettivi nazionali. Sono almeno quattro anni che al Cnel si segnala questo punto. Ma nel 2022 abbiamo, anche in ragione della piena applicazione del codice unico alfanumerico del Ccnl, i dati effettivamente più puliti: i Ccnl sottoscritti dalle grandi organizzazioni datoriali con Cgil, Cisl, Uil sono 208 a fronte dei circa 1.000 depositati presso il Cnel. I Ccnl sottoscritti da sindacati che non siedono al Cnel sono 347. La seconda buona notizia riguarda la cosiddetta copertura dei contratti collettivi misurata con riferimento agli Uniemens in relazione all’obbligatorio inserimento del codice unico alfanumerico: i Ccnl sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil coprono il 97,1 per cento dei lavoratori.
Questa vicenda dimostra ciò che ho già definito, in un mio precedente scritto, come una forma indiretta di “aziendalizzazione” della contrattazione nazionale. Organizzazioni minori, datoriali e sindacali, stipulano Ccnl a basso contenuto protettivo e di costo del lavoro che sono applicati a pochi o a pochissimi datori di lavoro di una certa zona geografica del paese, che operano in un certo settore.
Posto ciò, dobbiamo chiederci cosa si può fare adesso. Da una parte, bisognerebbe consolidare il sistema di coordinamento digitale delle banche dati che sono riferibili all’art. 16 quater, d.l. 76/2020 (decreto semplificazioni), il quale ha disposto, su suggerimento del Cnel, che il contratto collettivo nazionale, identificato mediante un codice unico alfanumerico per tutta la Pa, fosse indicato nelle comunicazioni obbligatorie e nelle trasmissioni mensili Uniemens. A oggi il ministero del Lavoro che gestisce le comunicazioni obbligatorie non ha ancora trovato il modo per agganciare il proprio dataset sulle comunicazioni obbligatorie a quello Cnel/Inps. E ciò non è un bene. Il che, come si può facilmente intuire, crea molte complicazioni applicative. Anche per questa ragione il Cnel ha recentemente depositato in Parlamento un disegno di legge per far integrare il decreto trasparenza con un riferimento al codice unico alfanumerico. Dall’altra, si potrebbe rilanciare una strategia di ispezioni volte a verificare specificatamente ciò che accade nel 3 per cento circa di rapporti di lavoro non assoggettati ai contratti collettivi sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil. Si tratterebbe di una campagna ispettiva data-driven, molto mirata e, di conseguenza, certamente più efficace. In questa prospettiva si potrebbe persino immaginare l’elaborazione di meccanismi digitali di pre-analisi ispettiva delle incongruità salariali più rilevanti.
Resta sullo sfondo un problema. Si deve trovare un metodo condiviso sia dalle parti sociali che dall’ispettorato mediante cui far comparare, nel caso specifico, tra due Ccnl, quello applicato in dumping e quello che si ritiene più protettivo, la struttura della retribuzione (cosa è minimo salariale? Quali sono le relative voci?) e quella delle tutele normative (congedi, flessibilità contrattuali, etc.). Su questo binario c’è uno spazio importante sia per le organizzazioni più rappresentative che per le istituzioni che si occupano di lavoro. C’è uno spazio politico per il ministero e c’è un nuovo spazio sindacale per le organizzazioni più rappresentative che può e deve essere colto al più presto.
Michele Faioli, Uuniversità Cattolica e Cnel