Foto Ansa

Niente garantismo a sinistra

Oltre il Qatar gate. A sinistra c'è troppa voglia di purghe

L'irresistibile pulsione vetero comunista di punire per salvare la purezza dell'Idea

Maurizio Crippa

Il caso europeo e l'irrisolta "questione morale". Ma per Speranza e compagni è scattato anche un altro vecchio tic, quello antigarantista. E soprattutto l'idea che si debba non solo perseguire la giustizia, ma preservare la propria presunta "diversità" allontanando chi ha tradito la Causa

Milano. Può dire di essere “incazzato nero”? Certo, ne ha facoltà. Sebbene, al secondo pasticcio di soldini e soldoni in poche settimane, rischi di apparire soprattutto un distratto cronico. Ma è argomento trascurabile, e anche che “i fatti che vengono ricostruiti, con tanto di flagranza di reato” siano “quanto di più lontano ci possa essere da Articolo 1” è faccenda che interesserà altri. Di Roberto Speranza interessa qui una frase, nell’intervista alla Stampa: “Bisogna fare i conti al di là di qualsiasi garantismo”. Dove garantismo, per una svista madornale e molto significativa, viene confuso con impunitismo, che è tutt’altra cosa.

 

Al netto della forzatura del titolo, “Nessun garantismo su Panzeri”, la questione sussiste. Soprattutto se si accosta la frase del leader di Articolo 1 con altre dichiarazioni di politici di sinistra. Come Andrea Orlando, tra i primi a esternare su Twitter: “Diciamola tutta, garantismo a parte, se fosse vera anche la metà dell’affaire Qatar-Europarlamento, saremmo già allo schifo assoluto”. Per poi chiedere una “condanna senza mezzi termini”, ma un ex Guardasigilli dovrebbe sapere che le condanne devono astenersi da ogni titolo di esemplarità. “Mi auguro che la magistratura vada avanti senza guardare in faccia a nessuno”, dice Pierfrancesco Majorino con tono da gendarmeria. Per la neoiscritta al Pd Elly Schlein, “indignarci per la gravità di questo scandalo non basta, se non si coglie l’occasione di aumentare gli strumenti di difesa”. Sia per lei sia per Majorino, un buon inizio sarebbe vietare a chi ha fatto politica di fare poi lobbismo (ma che c’entra?), e qui dal poco garantismo si passa direttamente alle restrizioni preventive. Si è scritto molto in questi giorni, alcuni in modo sguaiato, altri con più accuratezza, della irrisolta “questione morale” dentro la sinistra.

 

C’è però un altro aspetto altrettanto grave: l’inestirpabile forma mentis della purga staliniana

 

La “questione morale” o per meglio dire della presunta diversità morale, è un totem o tabù evidentemente mai affrontato e risolto da quelle parti politiche; ma nelle dichiarazioni, o voci dal sen fuggite, riportate a mo’ di esempio c’è anche qualcosa di diverso. C’è il riflesso condizionato, antico – tipico di partiti costruiti su una ideologia totalitaria e totalizzante – della punizione esemplare del traditore come mezzo necessario per cancellare il tradimento, la “deviazione”. Nel nome della Causa, della Linea. O più tristemente, come da esiti più recenti, della diversità etica. Quando le dichiarazioni di esponenti di varie aree e storie nella sinistra italiana finiscono per inciampare tutte su quell’idea, “nessun garantismo”, vengono a galla gli antichi modi di pensare. Il primo riposa su una cattiva consapevolezza, purtroppo molto diffusa soprattutto in Italia (speriamo meglio nel Belgio), di cosa siano un’indagine e un processo penale: il garantismo è nient’altro che pratica di rispetto di regole che non possono essere tralasciate nemmeno davanti alla flagranza di reato, l’accertamento dei fatti vale persino per Panzeri. Il secondo è la dimenticanza sistematica della presunzione di innocenza, che è nella Costituzione ma non ha mai impedito ai giustizialisti, e a molta cultura di sinistra, di utilizzare invece l’accusa come strumento politico e di giudizio inappellabile contro gli avversari. Quando invece si è costretti a occuparsi della propria parte, il non garantismo diventa necessità di purificazione, di salvaguardia dell’immunità di gregge. I fatti che “sono quanto di più lontano ci possa essere da Articolo 1. Che è una piccola comunità di militanza vera” per Speranza; per Arturo Scotto “noi siamo con i lavoratori, non con gli emiri miliardari”  (affermazione che però non è in grado di smentire i fatti); per il pd Brando Benifei, “noi siamo indignati e schifati… Provare a influenzare e a colpire il nostro gruppo è particolarmente ghiotto, perché noi non siamo come la destra”. Così che “la rabbia che ho dentro” di Speranza diventa sentenza purificatrice, Panzeri è già stato “depennato dall’anagrafe degli iscritti”. Un tempo si diceva caduto in disgrazia, prossimamente sarà sbianchettato dalle fotografie? Furono orrori del comunismo d’antan, che del resto non ottennero di arginare la corruzione né di preservare la purezza ideologica. Ma anche oggi, anziché provare a rivedere il rapporto tra l’Idea Socialista e le persone reali, esposte alla corruzione per il solo fatto di essere reali, ci si rifugia nel persistente mito dell’Incorruptible. Banalizzato nel “ci costituiremo parte lesa” di Enrico Letta o nell’intento da Inquisizione di Andrea Orlando di “capire quali tarli abbiano scavato questo cratere morale”. Dice bene Majorino: “E’ chiaro che la vicenda riguardi anche noi, è inutile parlare di una sorta di diversità morale smarrita da tempo”. Ma invece di ragionarci su, il riflesso condizionato è quello della purga, della purificazione. Non c’è bisogno di scomodare la tragedia del compagno Rubasciov, né la costrizione all’autocritica obbligatoria. I tempi sono diversi. Ma se la prima reazione resta quella di ripristinare con castigo esemplare la purezza e la diversità morale, senza sforzarsi di capire i meandri della politica e del denaro, non si è tanto distanti dal reato “di inimicizia contro Dio” degli ayatollah iraniani. Il Qatar gate è enorme e resterà negli annali per due motivi: il primo, serio, è che coinvolge direttamente i rapporti dell’istituzione europea con una autocrazia islamica; il secondo, meno, è che è il primo caso di questo tipo a Bruxelles.  Ma non è ovviamente il primo caso che coinvolge politici e partiti di sinistra. Se invece di chiedere punizioni esemplari, saltando un mai compreso garantismo, i responsabili provassero a modificare l’approccio in senso anche solo vagamente liberale, rifiutando lo schema di pulizia etica e accantonando finalmente l’inutile difesa dell’Idea, accettando l’imperfezione e la porosità delle pratiche politiche, le cose migliorerebbero. Almeno un po’.
 

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"