L'Ue nell'età dello sviluppo
Unione troppo debole o troppo forte? E quanto conviene? A che punto è il confronto tra due idee di Europa
Nel 1990, la casa editrice Laterza pubblicò una raccolta di scritti curata da Giuliano Amato e da Giuliano Urbani intitolata “Europa conviene?”. Conteneva le relazioni presentate a un convegno milanese del 1988, nel corso del quale si era cercato di dare una risposta a un interrogativo che ricorre tanto spesso. Ancora oggi c’è chi auspica ulteriori interventi dell’Unione europea, chi si lamenta che l’Unione non fa abbastanza, chi la critica perché manca di capacità di decisione e, infine, chi lamenta un eccesso di interferenze nelle decisioni nazionali. Sentiamo le due campane.
Nazionalista. La costruzione europea, in effetti, è sbilenca, incompleta, velleitaria. E’ davvero il governo dell’incompletezza. Quella che si chiama Unione è più di una confederazione di Stati, ma non è una federazione, nè uno Stato.
Europeista. Per capire che cos’è l’Unione, bisogna riflettere su quell’espressione contenuta nei trattati che prevede una “Unione sempre più stretta”. Insomma, l’Unione è una costruzione progressiva, buon esempio del cosiddetto costituzionalismo trasformativo. Le organizzazioni incrementali abbandonano il vecchio modello delle istituzioni che vengono costituite con atto del principe o da una assemblea, con un tratto di penna, a favore di un modello secondo il quale le istituzioni progrediscono. Nel 1888, con riferimento alla Costituzione statunitense, venne adoperata l’espressione “a machine that runs of itself”, che potrebbe applicarsi anche all’Unione europea. L’origine è stata, come osservava qualche decennio fa Pascal Bruckner, nella “stanchezza delle ecatombi”, cioè nella reazione alle guerre europee che avevano prodotto, nella prima metà del secolo scorso, 60 milioni di morti, tre volte tanti feriti, oltre a migliaia di dispersi e distruzioni per valori non misurabili. La costruzione è stata progressiva, partendo dalla dichiarazione Schumann del 1950, passando per il fallimento della Comunità europea di difesa del 1954, arrivando nel 1957 alla Comunità economica europea, poi divenuta Comunità europea e infine Unione europea, nel 2007, a Lisbona (Trattato sull’Unione europea e Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). Dunque da materie limitate (il mercato unico, la concorrenza e le politiche agricole), l’Unione europea si è poi estesa fino ad arrivare, tra l’altro, alla sicurezza comune.
L’Unione europea è una costruzione progressiva, buon esempio del costituzionalismo trasformativo
Nazionalista. Questa è una delle critiche che vengono mosse all’Unione europea. Il fatto che abbia cambiato strada. Prima puntava a ridurre gli ambiti dello Stato-Potenza. Infatti, ha cominciata con il mettere insieme carbone, acciaio, energia atomica, difesa. Quando si è visto che questa strada non era percorribile, si è pensato a unire le economie, ispirati all’illusione kantiana che l’interesse reciproco dei commerci potesse rappresentare la strada per giungere a unire gli Stati.
Europeista. L’Unione europea non è solamente progressiva, è anche composita e complessa E’ progressiva perché, come osservarono negli anni 70 Helmut Schmidt e Jean Monnet, “l’Europa vive di crisi”: la costruzione europea è la somma delle soluzioni alle singole crisi. E’ composita perché ha un’organizzazione formale e una informale. Questa seconda ha organi come l’eurovertice, l’eurogruppo, la cooperazione rafforzata, mentre l’organizzazione formale è estremamente complessa: un Parlamento che rappresenta i popoli, con un presidente che cambia ogni due anni e mezzo; un Consiglio europeo, in cui siedono i capi di Stato o di governo; un Consiglio dell’Unione europea, composto dai ministri nazionali; la Commissione che ha potere esecutivo, con 35 mila dipendenti; la Corte di giustizia con 27 giudici; la Banca centrale europea con un consiglio generale, un comitato esecutivo e ulteriori organi interni; una Corte dei conti; un comitato economico e sociale; un comitato delle regioni; il mediatore; un garante della protezione dei dati; la Banca europea degli investimenti, nonché le agenzie, gli osservatorî, gli istituti, le fondazioni, che si interessano di materie che vanno dei medicinali alla sicurezza alimentare. Queste strutture svolgono le tre funzioni fondamentali degli Stati: legislazione, giurisdizione, esecuzione; ma questa terza funzione viene svolta in parte dalla Commissione, in parte dal Consiglio dell’Unione europea (il secondo organo può avere dieci diverse configurazioni). Ancora più complesso il sistema di votazione interno: in qualche caso, maggioranza, ma nella maggior parte dei casi unanimità o il cosiddetto “consensus”. Al fondo, c’è la funzione della Commissione come custode dei trattati e della funzione comunitaria e quella del Consiglio, che invece rappresenta il punto di vista intergovernativo.
Si somma un elemento intergovernativo e un elemento comunitario, che sono in contraddizione
Nazionalista. Ma proprio qui sta il problema: si somma un elemento intergovernativo con un elemento strettamente comunitario, che sono in contraddizione.
Europeista. Questo presenta anche vantaggi. Gli Stati sono più propensi a trasferire compiti, se possono avere l’ultima parola all’interno del Consiglio, con decisioni prese all’unanimità. Si privano più facilmente di proprie funzioni se conservano, in ordine a queste, una possibilità di intervenire, sia pure in un organo comunitario, esercitando, quindi, quelle funzioni in forma collettiva. La necessità di cooperare all’interno dell’Unione europea è dimostrata dalla complessità dei modi di funzionamento. Cito soltanto i triloghi (tra Parlamento, Commissione e Consiglio), le decisioni a pacchetto, gli “issue linkages”, il negoziato come procedura decisionale, l’“astensione costruttiva”. Ricordo che, in un importante libro, lo storico del diritto Francesco Calasso rilevava che, nel corso della storia, la parola “comune” aveva avuto tre accezioni: decisione di più popoli non assoggettata a un potere superiore; funzione frutto della confluenza di più corpi normativi o consuetudinari; strato condiviso di diritti singolari o nazionali. Ma tutto questo è sviluppato brillantemente in due libri pubblicati nel 2020, il primo di Nicola Verola, intitolato “Il punto di incontro. Il negoziato nell’Unione europea” (Luiss University press) e Sergio Fabbrini, “Prima l’Europa. E’ l’Italia che lo chiede” (Il Sole 24 Ore).
Un edificio sbilenco, gigante regolatorio, con una propria moneta, ma senza potere della borsa
Nazionalista. Proprio perché costruita in questa maniera progressiva, l’Unione europea è anche un edificio sbilenco, gigante regolatorio, con una propria moneta, ma senza “power of the purse”, senza potere della borsa. Basti dire che il bilancio dell’Unione europea, su base annuale, è poco più di un decimo del bilancio dello Stato italiano.
Europeista. Ma l’Unione europea sta facendo passi avanti, sta diventando un intermediario finanziario, con la possibilità di distribuire fondi raccolti sul mercato, e si avvia ad assicurarsi entrate non patrimoniali o fiscali. Si va costituendo quindi una sovranità detta fiscale dell’Unione, accanto a quella statale. Ma l’Unione non opera soltanto come intermediario, raccogliendo fondi e erogando prestiti o risorse a fondo perduto, stabilisce anche condizioni: i paesi che non rispettano la “rule of law” non hanno accesso ai fondi europei. Vengono così sanzionate violazioni dei trattati, come si è visto nel caso dell’Ungheria e della Polonia.
Nazionalista. Anche questo processo è “in itinere” e non sappiamo se si concluderà con l’acquisizione di un vero proprio potere fiscale, ampliando il numero dei tributi propri dell’Unione Europea.
Europeista. Si aggiungono però altri elementi. Il primo è costituito dalle misure ritorsive, normalmente chiamate sanzioni, fondate su un regolamento del 2014, che mostrano quanto potente sia l’Unione europea, anche se agisce utilizzando i poteri statali per la parte più strettamente di esecuzione e di “enforcement”. Basta leggere i regolamenti che hanno introdotto le “sanzioni” nei confronti della Federazione russa o di cittadini della Federazione russa, per rendersi conto della ricchissima panoplia di poteri autoritativi utilizzata dall’Unione europea. Secondo: la novità costituita dalla Commissione come acquirente unico di miliardi di dosi di vaccini, senza una specifica competenza europea. Terzo: i cinque pilastri dell’intervento europeo nel settore digitale, che s’era sviluppato negli Stati Uniti in una zona immune di norme e ha utilizzato questo vuoto di disposizioni normative per svilupparsi in tutto il mondo; ora direttive e regolamenti europei finiscono per imporsi a tutto il mondo, operando in un senso diverso dal modo di agire delle norme, dal basso all’alto, invece che dall’alto al basso. Come osservato di recente a Praga dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, questo è un caso in cui la forma segue la funzione, l’architettura si conforma alle politiche europee.
Nazionalista. Anche qui vedo una contraddizione: un’Unione che non ha un vero proprio “power of the purse”, tuttavia condiziona i bilanci nazionali.
Europeista. Anche in questa area vi sono sviluppi recenti. Il documento di studio della Commissione del 9 novembrec 2022 (“Communication on orientations for a reform of the EU economic governance framework”), che si prevede vada emtro l’anno all’esame dell’Ecofin e dell’Eurosummit e venga approvato a metà del 2023 in un pacchetto che modifica il patto di stabilità e di crescita, prevede meccanismi di intervento europei “su misura”, concordati da ciascuno Stato con la commissione, su un orizzonte temporale di quattro-sette anni, partendo dalla spesa primaria netta. Non vi saranno più quindi vincoli generali, ma misure proposta da ciascuno Stato, nell’ambito degli standard predeterminati dai trattati, che rimangono immutati, con un percorso di aggiustamento concordato con la Commissione, che valuta i piani, svolge il monitoraggio, prevede la riduzione degli importi e le sanzioni nel caso che uno Stato si allontani dal percorso concordato. Quindi, dal 2024 ci si può aspettare che l’Unione europea rafforzi il proprio potere della borsa e l’influenza sul potere della borsa degli Stati, con criteri meno rigidi, più consensuali, anche se qualcuno teme una maggiore discrezionalità della Commissione. Quindi, all’interno dell’Unione vi è una tensione tra chi vuole maggiore decentramento e chi vuole maggiore accentramento.
Nazionalista. Questo organismo così complesso e contraddittorio può essere considerato democratico? Non è, invece, chiaro che il Parlamento europeo rappresenta, ma non decide; quindi, ha una voce, non un voto.
La democrazia è un organismo, non un meccanismo. E gli organismi possono curarsi da soli
Europeista. Questo punto di vista è sbagliato perché parte dalla idea che la democrazia sia un meccanismo, non un organismo. Gli organismi possono curarsi da soli, specialmente se chi ha il potere non deve rispondere solo alla propria società ma anche ad altri governi e, attraverso di essi, ad altri popoli. Mi piacerebbe continuare questo discorso ponendo il problema dell’Unione europea in una prospettiva più ampia, quella del suo ruolo nell’ambito dell’Occidente, ma mi limito a citare un libro appena uscito, di un professore dell’Università di Bucarest, ma edito in Francia, dalla casa editrice les Belles Lettres, di Lucian Boia, intitolato “La fin de l’Occident? Vers le monde de demain”.