La contromanovra del Pd e il pericolo sfascista

Luciano Capone

Più spesa per tutti. La legge di Bilancio proposta dal Pd è un enorme buco e l’acccusa a Giorgia Meloni è quella di non aver sfasciato i conti. I dem riempiono il  vuoto di idee con deficit e demagogia, la stessa formula del M5s di Giuseppe Conte

In campagna elettorale l’accusa a Giorgia Meloni era che una volta al governo avrebbe rotto con l’Europa e sfasciato i conti. Ora è di non averlo fatto. La manifestazione di sabato del Pd contro la prima legge di Bilancio del centrodestra ha messo una certa tristezza, non tanto per la piazza semi deserta ma per il deserto di contenuti. Molta retorica, che per carità è doverosa soprattutto nei comizi, su donne e sanità ma poca concretezza.

 

Il problema non riguarda le critiche a singole misure del governo, tutte più o meno contestabili, e in effetti contestate anche da organi terzi come la Banca d’Italia o la Commissione europea, la Corte dei Conti o l’Ufficio parlamentare di Bilancio. Dall’innalzamento del tetto ai pagamenti in contante alla rimozione dell’obbligo di accettare pagamenti con il Pos sotto i 60 euro (norma che il governo si si sta rimangiando), dall’innalzamento della cosiddetta Flat tax al taglio annunciato del Reddito di cittadinanza, dal condono alle pensioni, sono tante le misure che presentano aspetti quantomeno discutibili e a cui la minoranza legittimamente si oppone. Il problema è l’impianto complessivo della manovra. Perché, come ricordava Totò, è la somma che fa il totale.

 

Leggendo la “contromanovra” del Pd è come la critica a Giorgia Meloni si fosse ribaltata. In campagna elettorale l’accusa di Enrico Letta era che la destra una volta al governo avrebbe rotto con l’Europa e sfasciato i conti. Ora, invece, le si imputa di non averlo fatto. Il Pd ad esempio dice che i 21 miliardi di aiuti contro il caro energia, che non sono altro che il rifinanziamento delle misure del governo Draghi, e che rappresentano i due terzi della manovra, durano solo fino a marzo-aprile. Sono pochi e ne servirebbero il triplo. Il taglio del cuneo fiscale sarà pure una buona idea, ma per il Pd 3 punti sono pochi e deve essere strutturale. Non conta se anche con il Pd al governo il taglio è stato per un anno ma inferiore (2 punti). Anche l’aumento dell’ Assegno unico per i figli non è sufficiente: servono più soldi. Sulle pensioni il Pd chiede un aumento della quattordicesima, la completa rivalutazione delle pensioni più elevate, la proroga degli anticipi pensionistici. Insomma, se la Commissione europea ha criticato il governo Meloni per la mancata attuazione delle riforme necessarie a ridurre la quota di spesa pensionistica, il Pd propone di aumentarla ulteriormente.

 

Il Pd poi propone di incrementare gli stanziamenti per la scuola, per la sanità, per il trasporto pubblico, per le imprese, per il Mezzogiorno e per gli investimenti in generale (come se non bastassero i fondi del Pnrr che già avremo difficoltà a spendere). Sul fronte della spesa, il Pd contesta la riduzione del Superbonus dal 110 al 90 per cento (che finora è costato 64 miliardi, il doppio di quanto previsto dal governo quando al Mef c’era il Pd); è come detto contrario ai tagli sulle pensioni più elevate; si oppone al taglio del Reddito di cittadinanza ed è anche contro al taglio dello sconto sulle accise sui carburanti (misura che fa risparmiare circa 400 milioni al mese). Le uniche coperture che si leggono nelle proposte dei dem provengono dalla soppressione dell’estensione della Flat tax per gli autonomi, ma si tratta di poca roba (300 milioni), e dal “potenziamento della tassa sugli extraprofitti” che però non è definita né quantificata.

 

In sostanza, facendo una somma di maggiori spese e minori tagli, ciò che il Pd propone è una legge di Bilancio con un disavanzo al 7-8 per cento anziché al 4,5 per cento fissato da Meloni e Giancarlo Giorgetti. Una manovra che aprirebbe uno scontro frontale con l’Europa mandando rapidamente lo spread alle stelle e il paese in default, soprattutto in questa fase di rialzo dei tassi di interesse da parte della Bce per contrastare l’inflazione. È come se il Pd stesse tentando di riempire il vuoto di idee con deficit e demagogia. Dopo essersi presentato come il partito dell’Agenda Draghi, imbocca la strada del M5s di Giuseppe Conte. Dopo aver tanto urlato al pericolo fascista, il Pd rischia di diventare parte del pericolo sfascista.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali