Democratic blues
Mobilitazione, elaborazione, Regionali. Il Pd perde certezze
Poca gente alla manifestazione contro la manovra mentre le Regionali infatti incombono sia nel Lazio che in Lombardia: la strada è quantomai accidentata: sondaggi avversi, ma anche quadro politico impervio. Verso il Congresso con il morale a terra
Non bastavano i sondaggi raggelanti di qualche giorno fa. Non bastava il caso Qatar, con i social intasati di commenti e conseguente ritiro mediatico del segretario Pd Enrico Letta. E non basta neanche la piazza sconsolata di sabato scorso: alla manifestazione anti-manovra in Piazza Santi Apostoli a Roma, infatti, non si sono viste le tradizionali masse che di solito presenziano agli eventi ex Pci-Pds-Ds-Pd, più o meno costanti, nonostante gli esiti elettorali, da tempi immemorabili. Tanto che, a guardare le bandiere sparute e le aree sgombre in fondo allo slargo neppure enorme, pareva di essere a un evento di un altro partito, non certo di un Pd che della mobilitazione per manifestazioni, comizi e feste ha fatto il suo fiore all’occhiello. F
orse intristiti da questo ennesimo crollo di certezze, i tre candidati alla segreteria Stefano Bonaccini, Elly Schlein e Paola De Micheli sembravano voler rincuorare gli astanti a dispetto della propria espressione incupita; come pure preoccupati apparivano il candidato pd alle Regionali lombarde Pierfrancesco Majorino e il candidato di Pd e Terzo Polo alla presidenza del Lazio Alessio D’Amato. Talmente preoccupati, parevano, che Letta prendeva la parola per rincarare la dose: il Pd ha davanti a sé “un percorso lungo, complicato, un percorso in cui dobbiamo rinnovarci attraverso il Congresso”, diceva, ma “insieme saremo in grado di vincere le prossime elezioni”.
Ma quali? Le Regionali infatti incombono sia a Roma sia a Milano, ma la strada è quantomai accidentata: sondaggi avversi — pazienza —ma anche quadro politico impervio e morale a terra. Non bastasse tutto ciò, ci si è messo anche lo schiaffo morale, pur garbato, sferrato dallo scrittore Maurizio De Giovanni al comitato costituente degli 87, i cosiddetti “saggi” interni ed esterni al partito, incaricati di redigere una nuova carta dei valori, con tanti saluti a quella veltroniana del 2007, la carta del Lingotto, scritta in tempi di grandi speranze, ora ripiegate su se stesse. Ed ecco infatti che De Giovanni, che alla presentazione del libro della candidata De Micheli si era detto “elettore disgustato”, si smarca dall’organismo costituente di cui faceva parte, con una lettera ai vertici Pd: non gli è piaciuto il metodo, ha scritto nella missiva. Ma non gli sono piaciuti neppure “termini e modalità di lavoro”, giudicati “non congrui con l’esigenza di concretezza e urgenza di questi tempi disgraziati”.
E non è ancora finita per il Pd in panne. C’è infatti anche il fuoco amico, per così dire, acceso dal governatore campano Vincenzo De Luca, a un certo punto dato per possibile candidato. Non è in corsa, De Luca, ma piccona come non mai, al grido di “miserabili sul piano politico” (i colleghi di partito che hanno gestito il Pd negli ultimi quindici anni, secondo lui): “Salvo qualche rara eccezione”, ha detto De Luca, “al novantanove per cento sono presuntuosi e all’uno per cento nullità”. Ce ne sarebbe abbastanza per deprimersi, e infatti Letta, ieri, al convegno ex Ppi all’Istituto Sturzo, è intervenuto con somma mestizia: “Per senso del dovere porto avanti il mio compito fino al 19 febbraio. Un partito per essere vincente deve essere diverso da come l’ho vissuto io, in cui la parte interna del dibattito è stata preponderante rispetto alla comunicazione esterna. Lo dico perché dobbiamo porci il tema di essere pronti quando questa maggioranza si dissolverà, e sono convinto che avverrà, viste le contraddizioni. Dovremo essere pronti ed essere i più bravi a farci portatori delle istanze che emergono dalla società”. “Siamo sotto attacco”, ha concluso il segretario. Verità crudele, con corollario ancora peggiore: “Le altre opposizioni”, ammette Letta, “cercano di sostituirci”.