(foto Ansa)

Meloni e l'ebraismo. Così la visita al ghetto è servita più al suo partito che a lei

Simone Canettieri

Incontri, stop e accelerazioni: ecco Giorgia di Gerusalemme. Analogie e differenze con Fini

Il giorno dopo la visita della premier, dalle parti del ghetto ebraico, gira questa riflessione: “Il gesto di Fini in Israele nel 2003 servì all’allora leader di An più che ad An. Fece un atto per cambiare se stesso, per affrancarsi definitivamente da una storia. Discorso diverso, invece, quanto è accaduto al Museo ebraico lunedì: Giorgia Meloni sta cambiando il suo partito, è un percorso che continua spedito, un processo da cui non si potrà tornare  indietro”. La presidente del Consiglio e leader di Fratelli d’Italia alla cerimonia di Chanukkah si è commossa e ha abbracciato la presidente della comunità ebraica Ruth Dureghello.  Ha ribadito che le “leggi razziali furono un’ignominia”. Ha detto che “la cultura ebraica è parte di quella italiana”. Da quando è premier, nemmeno due mesi esatti, Meloni ha incontrato a Palazzo Chigi il presidente del World Jewish Congress, Ronald Lauder, e ha inaugurato la targa commemorativa dei giornalisti ebrei perseguitati dalle leggi razziali. Un’attenzione speciale che culminerà con un viaggio in Israele all’inizio dell’anno. Già a gennaio o al massimo a febbraio.

Il percorso della capa della destra italiana non è stato facile e chissà se si è concluso del tutto. A precederlo, un reciproco processo di metabolizzazione da ambo le parti: quella di Fratelli d’Italia e quella della comunità ebraica. Basti pensare che nell’ottobre del 2021, a pochi giorni dal voto per le comunali di Roma, saltò all’ultimo momento la sua visita al ghetto, in occasione dell’anniversario del rastrellamento. Erano i giorni in cui il candidato del centrodestra Enrico Michetti sosteneva che “per gli ebrei c’è stata più pietà perché avevano le banche”. Ma erano usciti anche i video del capo della delegazione di Fratelli d’Italia in Europa, Carlo Fidanza, mentre inneggiava alla birreria di Monaco di Hitler con tanto di saluto romano. Alla fine la comunità ebraica della capitale, la più antica d’Europa, decise che non fosse ancora il momento di ospitare la visita della leader di destra. Serviva “un’ulteriore riflessione”. Per evitare reciproche strumentalizzazioni, fu la versione diffusa al tempo. 

 

La marcia di addio dal sospetto e dalla accuse di nostalgia fasciste del partito meloniano è andata avanti però spedita, in questo ultimo anno, cruciale ai fini elettorali. Fra frenate e accelerazioni. Come dimostra la candidatura alle ultime elezioni politiche di Ester Mieli, giornalista, già portavoce della comunità ebraica della capitale. Meloni non entrava nel ghetto da quando era ministro della Gioventù del governo Berlusconi. All’epoca fece parte della delegazione che partecipò a un evento nel Tempio. L’altro giorno dunque c’è stata una visita che ha dello “storico”, arricchita dal dettaglio sincero delle lacrime, con tanto di abbraccio alla padrona di casa. Fotogrammi che l’hanno subito accostata, per potenza delle immagini a quelli di Gianfranco Fini, molti anni prima.

 

Meloni si è trattenuta anche dopo la cerimonia, quando ormai la diretta video era terminata, per una trentina di minuti. Riempita di dolcetti ebraici si è concessa anche una battuta: “E ora dove li metto? Non posso uscire da qui con una doggy bag, altrimenti vai a capire i giornali che scriverebbero”.  Il tutto si è svolto comunque in un clima “molto disteso”. Lei e Dureghello sembrano avere anche una consuetudine telefonica e un’intesa “da donna a donna”. L’incontro è andato in scena in una cornice geopolitica sfuggita ai più. La premier si è portata con sé i pezzi più importante della sua famiglia politica. E cioè di Fratelli d’Italia: il ministro plenipotenziario Francesco Lollobrigida e il sottosegretario a Palazzo Chigi, braccio ambidestro, Giovanbattista Fazzolari. Alla cerimonia c’erano, tra gli altri, l’ambasciatore israeliano Alon Bar e quello facente funzioni degli Usa Shawn Crowley. Ecco perché nel breve discorso la premier ha parlato anche di guerra in Ucraina. Per dare evidenza, pure in questa occasione, della collocazione italiana nel patto euro-atlantico. Piccoli segnali convinti e non per piacere, comunque molto apprezzati. E che scavano all’interno della destra italiana più che nei rapporti fra il governo e Israele.

Meloni ha un rapporto con Benjamin Netanyahu e all’ultima Cop27 ha incontrato il capo di stato Isaac Herzog. Discorso diverso sono le abiure, le lacrime e le condanne per un pezzo di storia del Novecento. Ecco perché, come ragionano dalle parti della comunità ebraica, “la visita dell’altro giorno non è servita a Giorgia come leader, ma più che altro al partito che guida come monito”.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.