Meloni è pronta a esultare: missione compiuta sul Pnrr per il 2022
L'annuncio verrà dato durante la conferenza di fine anno, il 29 dicembre, ma la riunione con la Commissione di ieri ha sciolto gli ultimi dubbi: i 55 obiettivi previsti per il secondo semestre sono stati conseguiti, e valgono 21,8 miliardi. Il lavoro di Fitto, "lo stalker", la continuità con Draghi, il senso dell'immotivato catastrofismo sovranista
Pure la sede scelta sarà la stessa. Sceneggiatura obbligata, forse, visto il periodo, ma con una coincidenza comunque significativa. Nel paragone impossibile col suo predecessore, Giorgia Meloni prova a tenere il passo. Dunque anche quest’anno, come già fece Mario Draghi nel 2021, l’annuncio che tutti gli obiettivi del Pnrr previsti per il secondo semestre sono stati raggiunti, verrà data in occasione della conferenza stampa di fine anno: il 29 dicembre si brinderà. La conferma, che per un residuo di prudenza viene ancora descritta da Raffaele Fitto come “una ragionevole approssimazione al vero”, è arrivata ieri, durante l’ultima riunione tecnica coi funzionari della Commissione europea, tornati a visionare – stavolta in videocall – l’avanzamento del Piano, dopo il sopralluogo romano di novembre. Ed è stata l’occasione per verificare che anche su quei “due o tre dossier” che ancora preoccupavano il ministro per gli Affari europei, afferenti per lo più il ministero dell’Università, gli aspetti critici erano stati superati. E dunque sì, missione compiuta: i 55 obiettivi ci sono, e dovrebbero esserci, entro marzo, anche i 21,8 miliardi di fondi europei che ne conseguono.
Per quelli, in effetti, bisognerà attendere. La Commissione dovrà verificare il reale conseguimento degli obiettivi di questo secondo semestre, il rispetto dei parametri, la correttezza delle procedure: da ciò dipenderà poi la firma dell’accordo operativo, quindi l’autorizzazione all’invio del bonifico che arriverà poi nelle casse del ministero dell’Economia nel giro di un paio di mesi. Prima, però, dovrà essere il governo a inviare a Bruxelles la documentazione con l’attestazione del successo semestrale, ed era questo, finora, il documento sulla cui stesura si nutrivano dei dubbi. “Ce la faremo?”, continuava a ripetere Giorgia Meloni al suo legato europeo, quel Fitto che sulle faccende del Pnrr sovrintende con puntiglio.
E in fondo, che il percorso si andasse facendo meno accidentato del previsto, lo si era capito già venerdì scorso, quando l’ex governatore pugliese aveva riunito la cabina di regia del Recovery, e s’era fatto sfuggire un primo sospiro di sollievo. Il tutto, a dispetto di una narrazione che, paradossalmente, lo stesso governo aveva voluto improntare al pessimismo, se non addirittura al catastrofismo: quasi che chi nutrisse meno speranza sull’attuazione del Piano fosse proprio a Palazzo Chigi. Eccesso di prudenza, forse. Tanto che un ministro leghista, venerdì scorso, uscendo dal vertice governativo, era poi rimasto sorpreso dal comunicato con cui lo staff della Meloni spiegava che dei 55 obiettivi “ne sono stati pienamente raggiunti 40, mentre i restanti 15 sono stati tutti avviati e in corso di finalizzazione”, visto che Fitto, nella riunione, aveva indicato in appena “due o tre” i temi più scivolosi. Superati, poi, anche quelli, grazi al confronto con la Commissione. Che, come già avvenuto a giugno scorso, quando alla guida dell’esecutivo c’era Draghi, potrebbe concedere un minimo spazio di manovra ulteriore per il varo definitivo di alcune misure già approvate ma per le quali mancano gli ultimi passaggi formali.
Il che dunque dovrebbe rendere inutile il ricorso a quel decretone di dubbia applicazione – una specie di milleproroghe in cui riversare tutte le norme utili a centrare parzialmente gli obiettivi su cui c’erano ritardi – che pure a Palazzo Chigi avevano valutato, prima di riconsiderare l’idea, a seguito dei dubbi espressi al riguardo dalla Commissione. Un’ansia che, a suo modo, dice bene delle tribolazioni attraversate dal governo, e spiega anche del perché proprio Fitto sia stato uno dei più risoluti a perorare la causa della soppressione della norma sul Pos, che avrebbe creato inutili tensioni con Bruxelles proprio alla vigilia del vaglio sul Pnrr di fine anno. “Sono 50 giorni che faccio lo stalker”, ha confidato il responsabile degli Affari europei coi suoi collaboratori, raccontando di quel faticoso lavoro quotidiano fatto di telefonate, e dispacci, e sollecitazioni ai colleghi ministri e ai loro collaboratori. Con una motivazione che, almeno nella cerchia meloniana, serviva da sprone ulteriore: “Dobbiamo essere inattaccabili pur sapendo che se raggiungeremo gli obiettivi daranno il merito a Draghi, se falliremo attribuiranno la colpa a noi”. E sì che l’eredità draghiana ha invece aiutato non poco, la Meloni. Sia perché i ministeri più sollecitati di tutti – il Mite e la Transizione digitale, chiamati essi soli a raggiungere 19 obiettivi, più di un terzo del totale – hanno goduto del buon lavoro svolto da Cingolani e Colao fino al passaggio di consegne. Sia perché anche l’attuazione della legge sulla Concorrenza, forse il più ostico dei dossier previsti, era stata ben avviata dal precedente esecutivo. Segno di una continuità fruttuosa, incarnata del resto dalle strutture tecniche della cabina di regia volute proprio da Draghi, e create per restare.
Ora, l’ipotesi di rivedere la governance del Pnrr tornerà ad alimentare i dibattiti e gli appetiti sovranisti, da gennaio. E a tormentare il sonno di Fitto e Meloni ci saranno, di qui in avanti, le difficoltà nell’apertura dei cantieri dovuta al rincaro dei prezzi, e le trattative sul RePowerEu per ottenere i fondi necessari a fronteggiare la crisi energetica. Ma ci sarà tempo, per le angosce. Nunc est bibendum.