Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alessio Butti e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (Ansa) 

Pos, Spid, vaccini, rete. La lotta contro l'innovazione tecnologica del governo Meloni

Claudio Cerasa

Dietro la nuova bandierina della destra, contro l’identità digitale, c’è un tic: il luddismo statalista dei sovranisti della maggioranza. È un tema tecnologico, ma è anche culturale e contiene un filo conduttore ricorrente in molte delle battaglie nazionaliste

Una diffidenza di fondo nei confronti di privati, una volontà esplicita a non fidarsi del mercato, una tendenza ricorrente a considerare ogni forma di tecnologia come se questa fosse una pericolosa cessione della sovranità di ogni individuo. L’ultima surreale polemica introdotta dalla maggioranza di governo nel dibattito pubblico – dovremo abituarci a questo schema: ogni marcia indietro sui grandi temi impone ai nazionalisti di issare una bandierina ideologica e ogni bandierina ideologica ammainata impone di trovarne subito un’altra da sventolare, anche a costo di sapere che anche questa nuova bandierina verrà presto ammainata, ma l’importante è creare con le bandierine un’idea di movimento tale da dare l’impressione di essere molto impegnati a difendere le proprie bandiere – riguarda la volontà di uno dei due esponenti del governo candidato al premio Toninelli insieme al ministro Pichetto Fratin di mettere un punto alla stagione dello Spid.

 

Il sottosegretario in questione è l’ineffabile Alessio Butti, erede di Vittorio Colao, responsabile dell’innovazione del governo – si fa per dire – che qualche giorno fa, come avrete visto, alla festa per il decennale di Fratelli d’Italia ha offerto un’idea in linea con una corrente di pensiero egemonica all’interno della destra nazionalista: il luddismo statalista. E così il simpatico Butti, lo stesso che sulle pagine di questo giornale la scorsa estate arrivò brillantemente a sostenere che il piano della rete unica avrebbe dovuto lasciare il posto a una nazionalizzazione di Tim attraverso Cdp (Tim ha un debito lordo di 24 miliardi di euro, auguri e figli maschi), ha individuato come nuovo nemico pubblico della destra un acronimo di quattro lettere: lo Spid, il sistema pubblico di identità digitale. “Dobbiamo cominciare a spegnere lo Spid e a promuovere la carta d’identità elettronica come unica identità digitale, nazionale e gestita dallo stato”.

 

Butti, già nel 2019, aveva firmato un ordine del giorno approvato dall’Aula al decreto Milleproroghe, poi accolto, che impegnava l’allora esecutivo ad arrivare a una progressiva erogazione dell’identità digitale “non più affidata ai gestori privati, ma solo ad aziende pubbliche”. L’aspetto tecnico di questa vicenda è interessante non solo perché il governo sogna di smantellare un sistema che pur con mille difetti è usato oggi da 33 milioni di persone (nel 2021 erano 17 milioni) e consente di accedere a 12.459 servizi della Pubblica amministrazione (nel 2021 erano 5.479). Ma è interessante anche perché il modello alternativo e non complementare che il sottosegretario propone (che è la carta di identità digitale) è l’essenza perfetta di quello che è il rapporto che ha questa maggioranza con la tecnologia.

   

Basta far gestire le nostre identità ad alcuni privati accreditati dallo stato per il rilascio dell’identità digitale (tema: farti rubare i tuoi dati dai privati), meglio far gestire le nostre identità direttamente dallo stato attraverso il ministero dell’Interno (tema: meglio il capitalismo di sorveglianza, dove di fronte a un eventuale abuso di un privato puoi cambiare privato, o lo stato di sorveglianza, dove di fronte a un eventuale abuso di uno stato al massimo puoi cambiare stato?).

 

È un tema tecnologico, ma è anche culturale e contiene un filo conduttore ricorrente in molte delle battaglie contro l’innovazione combattute dalla destra nazionalista. Lo Spid? Da superare, troppi interessi dei privati. Il Pos? Da combattere, troppi soldi alle banche. I vaccini? Sospetti, troppi affari delle cause farmaceutiche. Tutto legittimo, tutto alla luce del sole, e ogni tanto l’anti tecnologismo sconfina in battaglie giuste, come quella dei cellulari da eliminare a scuola, ma con un rischio chissà quanto calcolato da parte del governo. Il luddismo statalista, con l’illusione di difendere la sovranità dell’individuo, alla lunga – proponendosi di sostituire i privati con lo stato – tende a difendere l’opposto di quello che promette di proteggere: più controllo, meno libertà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.