L'intervista
“Altro che ong, serve un piano europeo per l'Africa”. La versione di Minniti
“Bisogna superare la Bossi-Fini e aprire agli ingressi legali”. La strategia dell’ex ministro per affrontare i flussi migratori dopo che quest'anno gli arrivi hanno superato nuovamente la quota psicologica dei 100mila
“L’idea di un codice di regolamentazione per le ong nasceva da un presupposto a mio avviso tuttora valido: nel momento in cui fanno salvataggi in mare le ong sono parte del sistema di ricerca e soccorso dello stato che poi finisce per ospitare i migranti. Se è così, allora è normale che il paese che coordina quel sistema possa chiedere delle cose”. Marco Minniti, ex ministro dell’Interno, nel 2017 è stato il primo a proporre alle ong un codice di autoregolamentazione. Condivide la scelta di Matteo Piantedosi di dare alle organizzazioni umanitarie che si occupano di salvataggi in mare delle regole. Meno l’idea di imporle per legge, con sanzioni amministrative che possono arrivare fino al sequestro delle imbarcazioni. “Serve un patto libero, senza imposizioni attraverso una norma”, dice. E le sanzioni? “Ci sono di fatto, perché se non accetti quelle condizioni non accedi ai porti, ma le organizzazioni umanitarie non possono essere toccate dalla legge di un singolo paese”. In ogni caso all’ex ministro la questione sembra oggi marginale. “In passato – dice – le ong gestivano il 40 per cento dei flussi, oggi solo il dieci per cento delle persone arriva così. Questa partita, seppur simbolica per l’attuale governo, non è in ogni caso risolutiva”.
Mentre guarda con una certa ossessione i lanci di agenzia sullo schermo del computer sempre accesso sulla sua scrivania, Minniti, che oggi è presidente di MedOr, la fondazione di Leonardo che si occupa dei rapporti con il Medio Oriente e che curiosamente ha sede nell’ex atelier di Balenciaga a Roma, ammette di essere preoccupato. Parla di “tenaglia umanitaria”, di “rischi di destabilizzazione in Maghreb e nell’Africa settentrionale”. Teorizza la necessità di una visione più lungimirante sull’immigrazione. Sulla parete ha appeso un ingrandimento dello stretto di Messina, lato calabrese, dentro l’ex presidio militare del faro di Capo Spartivento, Minniti vive qui quando è in Calabria. E da qui è capitato anche a lui di vedere sbarcare quelli che in Italia arrivano direttamente, senza il soccorso delle ong. “In queste ore – dice –abbiamo superato la soglia politica e psicologica dei 100mila arrivi nel nostro paese, se continuasse così il prossimo anno potremmo toccare i 150mila, tornando ai numeri impegnativi del 2015. L’immigrazione è ormai una condizione strutturale del pianeta e come tale deve essere affrontata”. Facile a dirsi, ma in concreto cosa significa? “La sfida fondamentale è riuscire a governare i flussi”.
“Cambiare il paradigma con una nuova legge che apra agli ingressi legali. Servono delle liste nei paesi di partenza”
Anche su questo Minniti condivide l’impostazione, per ora solo abbozzata, del governo sulla legalizzazione del fenomeno e il contrasto rigido all’illegalità: “Serve un netto spartiacque tra quello che è legale e quello che non lo è, potenziando i canali legali e contrastando con forza quelli che non lo sono. Ma per farlo non basta, come vuole fare Meloni, un nuovo decreto flussi”. Cosa dunque? “Serve un’immediata risposta europea, con un piano per l’Africa e una nuova legge sull’immigrazione in Italia che superi la Bossi-Fini”. Bisogna andare con calma però perché il ragionamento è complesso, “ciceroniano, partiamo dall’inizio per tornarci”, dice lui. “In questo momento – spiega – l’Europa è stretta dentro una tenaglia umanitaria: è il risultato dell’invasione russa in Ucraina. Da un lato ci sono già dieci milioni di profughi ospitati soprattutto in Polonia e Ungheria e, se continueranno i bombardamenti alle infrastrutture energetiche, ne arriveranno altri. Dall’altro, l’invasione ha prodotto un effetto domino sull’Africa, dove incombe il rischio di una grave crisi alimentare. L’Egitto ha già negoziato un prestito con il Fmi per calmierare il prezzo del grano e dei suoi derivati, la Tunisia sta facendo altrettanto. Intanto, in quel paese, unico esito democratico delle primavere del 2011, non più di cinque giorni fa si è votato per le elezioni legislative, l’affluenza è stata dell’8,8 per cento. E’ un segnale drammatico di crisi democratica. Se si aggiunge la crisi sociale e alimentare ci rendiamo conto dei rischi. La destabilizzazione di questi paesi è per l’Europa un problema gigantesco”. Per governare i flussi, insomma, l’ex ministro dem parte da questa premessa. “Bisogna intervenire con un piano immediato finanziato con fondi d’investimento e di coesione europei con tre punti fondamentali: sostegno della crescita economica, supporto alla coesione e alla tenuta sociale, impegno per la prosperità di quelle popolazioni. Questo è il punto di partenza per qualsiasi visione di governo dei flussi migratori. Non servono grandi cifre, bastano sei miliardi come quelli dati alla Turchia. Ma servono subito, il rischio sennò è di trovarci con l’effetto onda del 2011, senza nemmeno l’illusione di una nuova primavera”. Soldi dunque, ma non solo.
“C’è poi una cosa che l’Italia può fare da sola”, spiega. “Cambiare il paradigma con una nuova legge sull’immigrazione che apra agli ingressi legali”. L’idea è articolata. “Servono delle liste nei paesi di partenza, dove i lavoratori possano iscriversi attraverso le nostre reti diplomatiche. Faccio un esempio: garantisco alla Tunisia 30mila ingressi l’anno, le persone s’iscrivono presso la nostra ambasciata e in attesa di essere chiamate cominciano a studiare la lingua italiana e a fare i corsi di formazione professionale”. Combinato al piano europeo, secondo Minniti, l’effetto può essere portentoso. “Se gli ingressi legali sono così numerosi, e insieme c’è un piano di sostegno economico, si può pretendere da quei paesi una cosa semplicissima: chi entra in maniera illegale in Europa può essere immediatamente rimpatriato”.
L’immigrazione usata come arma? “La presenza di russi e cinesi in Africa non è un caso. L’Europa deve agire unita”
Una gestione così ordinata, ritiene Minniti, abbasserebbe notevolmente i rischi per l’Ue, allentando la temuta tenaglia umanitaria. Il suo ragionamento non sembra il riflesso condizionato di uomo che prima di guidare il Viminale ha gestito la delega ai servizi segreti (mentre parliamo il caffè ci viene servito su un vassoietto d’argento con una vignetta di Altan: “Le spie spiano, roba da pazzi”), ma l’esito di una riflessione forse quasi ossessiva. “Se non agiamo in questo modo e in fretta – dice – rischiamo di lasciare uno strumento di pressione enorme ai paesi autocratici. Ci dobbiamo fare una domanda: come mai la Russia che per combattere la guerra in Ucraina ha dovuto dichiarare la mobilitazione generale tiene i militari della Wagner in Cirenaica e Mali? Per quali ragioni in queste settimane è aumentata l’egemonia cinese su un pezzo grande dell’Africa?”. Insomma, Cina e Russia posso usare l’immigrazione come arma? “Intendiamoci – chiarisce – pensare che sia l’Fsb a gestire l’immigrazione è una follia, ma la presenza di russi e cinesi non è un caso, l’Europa deve agire unita, l’Africa fino a oggi è stato un elemento di competizione e il risultato è sotto gli occhi di tutti: la Russia in Mali, la Cina in Africa settentrionale e la Turchia in Libia”.
E però, nel Maghreb ci sono paesi già destabilizzati. “La Libia ovviamente”, dice subito Minniti. “E’ chiaro che in quel caso non può valere lo stesso schema di Egitto e Tunisia”. La Libia non è un paese di partenza, è un paese di transito, in più ancora oggi ci sono due governi. “Ma il piano – sostiene l’ex ministro – può essere uno stimolo per far sì che la Libia innanzitutto si doti di un governo unico, l’Europa può chiederlo usando questi fondi come arma di pressione politica”. E poi? “Poi – prosegue – bisogna pretendere anche la chiusura dei centri di detenzione, lo si può fare attraverso uno schema che includa Ue, Libia, Onu e Unione africana per creare corridoi umanitari legali. Le agenzie dell’Onu devono stabilire lì chi ha diritto e chi no alla protezione internazionale. Chi non ha diritto, e qui è essenziale la collaborazione dell’Unione africana, deve essere rimpatriato nei paesi di provenienza con un budget per rifarsi una vita: si chiamano rimpatri assistiti e già li abbiamo fatti”. Il piano per l’Africa è secondo Minniti anche un modo per superare l’eterno e vano tentativo di modifica del trattato di Dublino. “Al di là del merito politico – dice – la vicenda dell’Ocean viking costretta a sbarcare in Francia e la dura reazione della politica francese ha reso evidente quanto sia fragile il tessuto delle opinioni pubbliche europee. Il piano per l’Africa invece non genera l’immediato riflesso egoistico dei paesi Ue”.