il governo Meloni
Elogio, con riserva, della nuova destra italiana
In un paese così avventuroso è sempre possibile una marcia su Roma, ma non era questa. Doveva arrivare la variante del fascismo liberale: un conservatorismo modello. A denti stretti, si può dire: una bella sorpresa, ma "per adesso"
Siamo distratti da certe faccine nuove e facciose che vediamo al tg nelle interviste sullo sfondo di Montecitorio e Palazzo Chigi, colpiti da certi revers basso notarili dei cappotti di rappresentanza, sbaffi grigi di novità che non rassicurano. Ma questo è snobismo, difficoltà a digerire il passaggio da Keynes agli Hobbit per quelli tra di noi che sono abituati a un farlocco Bloomsbury style. Siamo distratti da qualche gaffe, che fa sorridere con un gusto amarognolo. Poi c’è la calata della Top Lady, inevitabile agguato di una personalità al femminile che come si dice a Roma di tanto in tanto “esce al naturale”, c’è quel genuino campione di avanspettacolo che è il trinacriosissimo Presidente del Senato, l’inglese di un ministro dal doppio cognome e dal volto forse eccessivamente sperduto, il disciplinamento encomiabile ma un poco forzoso del titolare dell’Istruzione e delle Buone Intenzioni, la Medaglia al Merito Valditara. Siamo pieni di riserve, quando giudichiamo il governo Meloni, filiazione missina della classe dirigente più polverosa della penisola, compagine improvvisata, con passaggio dal laconismo draghiano, poche parole chiare e parola di banchiere, a una certa petulanza e vaghezza di consensi facili e buonsensai, un occhiolino provvisorio al Pos e un tentato scudetto penale per i renitenti al fisco.
Accade dunque che quando il governo di destra, annunciato dagli striduli squilli andalusi di una madre cristiana e molto donna, dalle compromissioni pregresse con tipacci loschi alla Bannon, da uno spirito militante un po’ fantasy, da alleanze inesistenti riperticate all’ultimo momento, quando questo governo fa la cosa giusta, atlantismo in politica estera e di sicurezza, europeismo con la mossetta nella manovra economica, garantismo impeccabile in un pericoloso ma nutriente profluvio di interviste, abbondante commozione filoebraica, ecco, allora a denti stretti diciamo che sì, va benone, che bella sorpresa, ma “per adesso”, aggiungiamo, e vediamo poi come va, ché non c’è molto da fidarsi.
Si può cominciare a sospettare che la riserva sistematica, il baffo moscio anche nella mezza approvazione, sia un modo pigro di fronteggiare un fatto integralmente nuovo e rilevante, una sorpresa non prevista, una visita inopportuna che irrompe nel nostro tinello mentale. Nella nostra immaginazione frastornata dal sentimento di superiorità tipico di chi perde la partita e rivendica il blasone romantico della derrota, caratteristica de las almas bienvenidas, doveva arrivare una variante italiana del fascismo italiano più o meno eterno, il fascismo liberale. Ossimorica variante del mussolinismo in era globale, detto per i dotti. Dicono Patria e Nazione e Popolo laddove noi anglofili diciamo, per evitare eccessi di statement, country con la minuscola e, addirittura, cercheremmo di sostituire people con the public, se l’italiano fosse così liberalmente e democraticamente elastico, ché per arrivare a tanto ci vuole almeno un ombrello comprato alla Burlington Arcade.
In realtà, a pensarci bene, atlantismo e occidentalismo, europeismo bruxellese con qualche licenza antimmigrazionista ma senza muri, garantismo e tributo all’eredità ebraica, immagino Soros compreso, sono i tratti propri di una destra di conservazione moderna. Per decenni l’abbiamo evocata, esorcizzata, aspettata, preconizzata, e ne abbiamo goduto questa o quella minuscola anticipazione, un Fini o un Alfano per certe bocche buone faceva lo stesso. Ed ecco che arriva una cosa di sostanza, dico in apparenza, dico per adesso, dico con riserva. Difficile tornare indietro dai Patriot, dagli ammiccamenti con von der Layen e Metsola, dai conti dell’Agenda Draghi senza Draghi, dalle interviste non intercettabili del Guardasigilli, difficile. E con questa ipotetica nuova destra, new right invece che alt right, made in Italy invece che made in Hungary, le opposizioni e i sinceri democratici, di Bloomsbury e delle periferie esistenziali, dovrebbero cominciare a fare i conti. Certo, in un paese così talentuoso e avventuroso è sempre possibile una marcia su Roma. Solo che, dobbiamo ammetterlo, non era questa.