(foto Ansa)

il ritratto

Le mille vite di Francesco Boccia, da Prodi fino a Elly Schlein

Luca Roberto

Il responsabile degli Enti locali Pd coordinerà la campagna elettorale della ex vicepresidente dell'Emilia-Romagna. La sua è una scalata capace di sopravvivere ai cambi di segreteria. Anche a costo di rinnegare il passato recente (come ha fatto con Draghi)

Dacché è stato prodiano, lettiano, dalemiano, montiano, renziano, emilianiano,  zingarettiano, almeno un po’ draghiano, sicuramente contiano, non stupitevi se adesso si dice tra i primissimi schleiniani. Francesco Boccia, detto Ciccio, coordinerà la campagna elettorale di Elly Schlein nella corsa al congresso del Pd. E visto che ogni metamorfosi va accompagnata con la reiterazione di un metodo, lo ha annunciato lui stesso, smentendo un anno e mezzo di lavoro dell’attuale segreteria. Solo lo scorso luglio sosteneva che a Draghi non ci fosse alcuna alternativa. Cosa pensa adesso? Che “sostenerlo insieme alla destra è stato un errore fatale”. E che “resta un eccellente banchiere, ma la connessione sentimentale con il popolo è un’altra roba”.  

 

Chi non conosce il personaggio potrebbe stupirsi. Ma la capacità di contenere moltitudini è nel Dna di Boccia. Uno potrebbe persino pensare che la formidabile abilità di sopravvivenza politica, quella ginnastica interpretativa dei cambi di fase che lo fa appartenere alla genìa dei Dario Franceschini, dei Pierferdinando Casini, non si esaurisca di fronte a niente. Neppure davanti alla famiglia. Se è vero che secondo Boccia per il Pd il governo Monti "fu l'inizio della fine" (di cui nel 2011 diceva: “Ha dimostrato al Pd che non serve seguire la linea di una sinistra conservatrice”), fu un errore anche il governo Letta in unione con Forza Italia. E cioè lo stesso in cui sua moglie, Nunzia De Girolamo, era ministro per le Politiche agricole.  

E pensare che tutto iniziò  da un assessorato al Comune di Bari, con il beneplacito di Massimo D’Alema. Boccia era un economista in rampa di lancio. Ha sfidato per ben due volte e per due volte ha perso contro Nichi Vendola come candidato del centrosinistra alla Regione Puglia. Fu lo stesso lider Massimo a chiedergli la disponibilità. Ma non si è abbattuto. Fulminato sulla via della Leopolda, nel 2012 sosteneva che chiudere l’Ilva, da parte della magistratura, fosse un blocco inopportuno: “Così si uccide un’impresa, i pm avrebbero dovuto fermarsi”, disse.

 

Archiviata quella stagione renziana – anche a causa di dissidi sulla Banca popolare di Bari –, è sbocciato il vero amore: con Michele Emiliano. Di cui è diventato col tempo una specie di controfigura. Fu il presidente della Puglia a “piazzarlo” come ministro per gli Affari regionali nel governo rossogiallo. Nel frattempo Boccia aveva già fatto a tempo a salire sul carro di Zingaretti e a farsi nominare responsabile Economia e società digitale del partito. Quando Enrico Letta è tornato da Parigi, va da sé, si è subito ricordato che Ciccio era stato il suo numero due nel think tank VeDrò. La vicinanza gli è valsa l’inclusione nella nuova segreteria come responsabile degli Enti locali. Ruolo da cui è andato costruendo alleanze con i 5s di Giuseppe Conte. Di cui ha sempre detto: “E’ un alleato serio e affidabile”. E da cui spera di tornare adesso che scommette su Schlein, perché “con lei alla guida del Pd torneremo a essere il primo partito dei progressisti”.  

In Puglia c’è forse chi è rimasto sorpreso per la distanza da Emiliano, che (come il sindaco di Bari De Caro) ha puntato su Stefano Bonaccini. Eppure, a ben guardare, anche quest’ultima mossa rientra nell’alveo dell’emilianismo spinto: un gioco di ruoli per far sì che anche nella scelta del nuovo segretario perdere la partita non sia un’opzione. E Boccia, fiutando l’aria, sembra aver fatto solo quello per cui ha uno speciale talento.