(foto Ansa)

la riflessione

È la figura stessa di Mattarella a suggerire la soluzione di un presidenzialismo morbido

Giuliano Ferrara

La parabola del capo dello stato democristiano offre una netta indicazione a favore dell'esistente: un ruolo che sa cambiare pelle restando autorevole. Ragioni per continuare a preferire la legittimazione parlamentare all'elezione diretta

Anche per chi sia stato e sia un presidenzialista, e ce ne sono dappertutto in un paese parlamentarista e da sempre in apparenza ingovernabile, c’è un problema: Mattarella. Sergio Mattarella è modesto, lo è sempre stato. Da otto anni sta al Quirinale. Promette, senza nemmeno apparire recalcitrante, di starci ancora sei anni. La carica è strana. Flessibile, costituzionalmente controversa, ciascuno può interpretarla a suo modo, secondo le diverse circostanze. Conta poco, conta moltissimo. Al di sopra delle parti, è destino del presidente, che per paradosso può essere “i presidenti”, incarnazioni diverse di una funzione unica, impicciarsi e rivestire un ruolo politico spesso decisivo in una Repubblica parlamentare.

 

Norma suprema a parte, ovvio, è sempre garante di qualcosa. Gli passano sotto gli occhi governi folli come quello del contratto, esecutivi che si svuotano da soli. Assiste a trasformismi utili, che trasformano i partiti e i movimenti più scalcagnati, che fanno ruotare il sistema politico su se stesso virtuosamente, e li asseconda dopo aver battezzato, a modo suo e con i richiami del caso, vedi la mancata nomina di Paolo Savona all’Economia, ministeri populisti grotteschi, con tanto di gilet gialli e progetti di demolizione di Palazzo Berlaymont. Si muove con agio tra legittimazione popolare e delega rappresentativa, tra popolo e Parlamento, e al momento giusto risolve una crisi intrattabile con una missione di unità nazionale che ci fa sperimentare un governo Draghi coi fiocchi. Garantisce il passaggio a una compagine di destra senza l’ombra del trauma. Non è un campione di oratoria, non imposta né impone riforme anche necessarie e urgenti, per esempio nel campo minato della supplenza giudiziaria e dell’invadenza delle procure, ma è eloquente nel protocollare, se deve frenare frena. Tutti capiscono che il suo raggio d’azione, leggi, decreti, moral suasion, azione discreta di accompagnamento e consiglio, è illimitato, mentre tutti altresì capiscono che i limiti generali e specifici sono evidenti e precisi, e vengono rispettati con letteralità nel segno della sua superpoliticità.

 

La sua parola è spesso ordinaria, ma conta. E nelle grandi scelte, come in politica estera e di difesa, nei momenti di grande crisi come questo, di fronte alla devastante situazione di un paese come l’Iran, spunta anche il coraggio delle proprie idee, la dislocazione della massima rappresentanza della nazione su una frontiera avanzata, la prima linea in un momento di emergenza e di guerra sul tema chiave delle libertà. Questo è il problema del presidenzialismo, inteso come il progetto di fare di un presidente eletto direttamente il capo di una maggioranza e l’effettivo dominus di un governo che dura e che incide. Dopo tante prove oblique, ambiziose ma sghembe, che non hanno accontentato, anzi, parte cospicua dell’opinione pubblica, che sono sembrate bastoni tra le ruote della stessa Costituzione, basti pensare a due estremi come il grande ma disperato Cossiga e il meschino e sleale Scalfaro, dopo il saggio Napolitano, perseguitato dall’origine politica comunista e dal modo dell’elezione, questo presidente che poteva sembrare un ripiego politicista inventato da un leader subito dopo caduto in disgrazia, come Renzi, questo Ciampi cattolico ha realizzato i sogni dei costituenti e dato un’interpretazione a suo modo eccezionale del ruolo più normale e normalizzante del mondo, ma così complicato, così difficile da sostenere, così dirimente.

L’idea di una nuova architettura di sistema, di un nuovo modo di sostenere il governo del paese, in collegamento diretto con la volontà popolare, consentendo un decentramento di tipo quasi federalista come contrappeso, è di quelle che si dovranno probabilmente discutere nell’imminente futuro, vista la piattaforma elettorale dei vincitori delle ultime politiche, e sarà un esercizio interessante di democrazia affrontarla con rigore e in uno spirito non fazioso, dato che si tratta di una regola decisiva per tutti. Con la riserva che la parabola di uno solo, e di un democristiano relativamente sbiadito, con una carriera prestigiosa e una storia personale integra ma non di primissima linea, per una volta offre una netta indicazione a favore dell’esistente, un presidenzialismo morbido, che sa cambiare pelle restando autorevole, legittimato dal Parlamento e non dall’elezione diretta, da un potere intermedio e diagonale invece che da una responsabilità politica diretta. Sono i casi avventurosi della vita politica.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.