memoria divisa
Fuor di retorica, ricordare la nascita del Msi non è uno scandalo
Fu un partito orrendo, non un movimentaccio populista. Un organismo vivo, isolato, passabilmente corrotto come tutti i partiti italiani. Tenuto insieme dalla discriminazione antifascista
Isabella Rauti ha sostato un momento in ricordo del Movimento sociale italiano, ed è stato subito un mezzo scandalo. Farlocco. Abortito. Abbiamo una presidente del Consiglio del 1977, che ha fatto a tempo a contaminarsi per via del Fronte della Gioventù, insomma, proviene da quelle file. Ha poi spezzato la continuità e riformulato (quasi) tutto. E ha conquistato un forte consenso con una ideologia di destra, passatista perché conservatrice, e legittimamente conservatrice, combinata alla tigna dell’opposizione e a una politica via via più istituzionale, normalizzata rispetto alla memoria divisa che le stava attaccata alla schiena, a lei e alla sua creatura e a parte notevole del personale politico che l’accompagnava. Ora è tutta una gara a dimenticare, in nome della memoria condivisa, ma personalmente ho sempre trovato più interessante la memoria divisa.
Violante presidente della Camera non fu il primo a esprimere pietà storica per i vinti, anche allora scandalosamente e con l’appoggio di questo fogliuzzo. Prima di lui erano venuti Pannella e Craxi, ciascuno a suo modo, ciascuno con le sue belle strumentalità politiche e ideologiche ma con molte ragioni storiche. E ancora prima c’erano state grandi contrapposizioni tra il Msi e tutti gli altri, ma sempre ispirate a diversi contesti, argomenti, a diverse pulsioni e sentimenti.
L’Italia di cultura azionista, dal Partito d’Azione, manipolo coraggioso di combattenti antifascisti che non conosceva il paese in cui viveva, non lo apprezzava (con qualche ragione) e non ne era apprezzato (con qualche ragione) fu sempre contro i missini con un intento e una prospettiva tremendamente moralistica, moralismo storico, memoria condivisa e basta, cancel culture delle origini. Questo condusse a equivoci come la campagna di Bianchi D’Espinosa per la messa fuorilegge del Msi, sostenuta da Lotta continua e dall’antifascismo cosiddetto militante, fino alla degenerazione violenta e assassina, che collegava (con qualche ragione, con alcuni torti) quel partito a un’epoca segnata dalla cosiddetta (ma anche non cosiddetta) strategia della tensione.
I fascisti o neofascisti erano diventati i fasci, e li si poteva e doveva battere come un tamburo, pronti loro a rendere la pariglia e in molti casi essendo loro i primi a suonarle agli avversari. Dialettica, diciamo così, povera, tra culture, diciamo così, povere, come sempre per i moralismi e i reducismi di ogni tipo, che non c’entrano con il 25 aprile e la Liberazione.
Prima di Pannella, azionista eretico, e Craxi, socialista antifascista e anticomunista e a suo modo nemico del regime democristiano, a mettere il Msi nel sacco della storia italiana, dal quale non è più uscito fino alla svolta di Fiuggi e all’abbandono della “casa del padre”, unico atto comprensibile e serio compiuto da Gianfranco Fini nella sua non eccelsa carriera politica, e un atto di quelli che solo la disinvoltura e la sprezzatura di un Berlusconi poteva perorare e spingere a accadere, prima di loro erano stati i comunisti e i democristiani, i più forti tra i vincitori, a fare la loro parte.
Il Msi fu fondato da una classe politica di reduci prima del varo della Costituzione, alcuni di loro erano persone compromesse gravemente con il regime fascista e con i suoi delitti, ché la violenza dei vinti è sempre delitto, e alcuni di loro coltivatori diretti di una fedeltà e lealtà a storia e simboli che non è il timbro, se così si può dire, della coscienza nazionale italiana, irresponsabilmente e longanesianamente votata alla memoria condivisa intesa come oblio dei propri comportamenti compromettenti, cancel culture nel senso di Pierluigi Battista del cancellare le tracce (il peggiore, Norberto Bobbio, ma parce sepulto e pazienza se tra tante qualità non aveva un cuor di leone).
Con il governo Milazzo in Sicilia, anni Cinquanta, i comunisti, per fottere i democristiani sorretti dai poteri collusi e mostrare tutto il loro machiavellismo, con l’assenso di Togliatti e sotto la guida di Macaluso e Bufalini, entrarono in un governo regionale assieme ai missini ancora molto lontani dallo sdoganamento. Segni Sr. fu eletto anche con i loro voti. Leone fu eletto capo dello stato con i loro voti determinanti. Tra botte, drammi, tragedie, farse e ruffianerie incrociate il Movimento sociale, alterne vicende elettorali, rivolte di massa come a Reggio Calabria, educazione alla politica nera di tanti giovani, deviazioni di altri nel terrorismo, alimentazione di una componente di sinistra e sociale, tentativo di preservare una cultura di destra non troppo polverosa, e chi più ne ha più ne metta, fu un organismo vivo, isolato, passabilmente corrotto come tutti i partiti italiani, e fu un organismo tenuto insieme dalla discriminazione antifascista che stette a fondamento dell’arco costituzionale, base della democrazia consociativa, che ha reso l’Italia un paese progredito e opulento ma lo stava alla fine paralizzando nella gnagnera, contro la quale si batterono Pannella e Craxi.
Una visione non moralistica e non retorica delle cose deve riconoscere che è legittimo, che non crea imbarazzo alcuno, ricordare il Msi, un partito forse orrendo ma non un movimentaccio populista; un partito perfino, come si dice, inquietante in molte fasi della sua storia lunga e non sempre eroica, tutt’altro, ma un partito che era nato dai morti, dell’una e dell’altra parte, ma non era nato morto.
L'editoriale dell'elefantino