Renato Schifani (Ansa)

Tra Palermo e Roma

In Sicilia, il rischiatutto di Schifani: braccio di ferro con Giorgetti e Micciché

Paolo Mandarà

In vista del giudizio della Corte dei conti, il presidente ha avviato una trattativa frenetica con il ministero dell'Economia, che per ora prende tempo, per ottenere mezzo miliardo ed evitare così un taglio alla spesa nella prossima Finanziaria. Intanto prosegue la battaglia interna a Forza Italia, che nel Parlamento dell'isola è spaccata in due

Nella settimana che potrebbe esporre la Sicilia a pesanti contraccolpi finanziari – sabato la Corte dei conti terrà il giudizio di parifica sull’ultimo rendiconto targato Musumeci – Renato Schifani sembra il protagonista del ‘Rischiatutto’ di Mike Bongiorno. Il presidente della Regione, per sopravvivere alla sentenza dei magistrati contabili (che secondo la vox populi non sarà affatto tenera), ha avviato una trattativa frenetica con il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, per ottenere mezzo miliardo a titolo d’acconto in considerazione dell’aumento della spesa sanitaria; ma, nel frattempo, non ha perso di vista la politica e sta provando a disarcionare Gianfranco Miccichè, storico vicerè berlusconiano, dalla guida di Forza Italia nell’Isola.

Un ruolo che Micciché porta avanti con dedizione e devozione (per il Cav.) da quasi trent’anni, nonostante qualche schiribizzo (come la creazione di Grande Sud) poi rientrato. Nelle scorse settimane, dopo la clamorosa rottura per il mancato coinvolgimento di Micciché nella scelta della squadra di governo (specie dell’assessore alla Sanità), Forza Italia s’era spaccata in due: il grosso della pattuglia aveva seguito Schifani in un gruppo parlamentare autonomo (Forza Italia all’Ars); mentre Micciché aveva conservato il simbolo e l’attitudine a sgambettare l’esecutivo ogni qual volta ne avesse voglia. Non era bastato il timido intervento di Berlusconi per ricucire. E oggi siamo al punto di partenza. Stefano Pellegrino, capogruppo della FI schifaniana all’Assemblea siciliana, ha reclamato pubblicamente un cambio di leadership a livello regionale: “Serve un commissario al di sopra delle parti, una figura imparziale visto che Micciché non lo è più”.

 

Solo in questo modo – filtra tra le righe - le due correnti torneranno a parlarsi, superare i dissidi e ipotizzare un futuro insieme. Gli stessi che oggi reclamano la cacciata di Miccichè, ci avevano già provato nella primavera di un anno e mezzo fa, proponendo un triumvirato (con lo stesso Schifani) alla guida del partito. Il tentativo andò male. E anche il secondo episodio – la sostituzione nottetempo del capogruppo di FI all’Ars, il miccicheiano dop Tommaso Calderone – si rivelò un azzardo anche a livello regolamentare. Perché fondamentalmente c’è sempre Berlusconi di mezzo. Che visti i trascorsi e l’amicizia l’ex manager di Publitalia, non ha alcuna intenzione di rimpiazzarlo a sua insaputa. Micciché, per altro, è ritenuto il fautore del 61-0 alle Politiche del 2001. E uno dei pochissimi coordinatori regionali ad aver mantenuto FI in doppia cifra alle ultime elezioni, e ad aver consentito al partito, sotto la sua guida, di varcare la soglia dei mille amministratori locali. I due competitor dovrebbero ritrovarsi domenica prossima a Catania, sul palco di Fratelli d’Italia, per la Festa del Tricolore. Magari ci scapperà una stretta di mano di facciata, ma il conflitto perdurerà.

 

Nel frattempo Schifani proverà a risolvere le altre questioni più urgenti. All'incontro col Mef, che si è tenuto martedì in conference call, il ministro Giorgetti – alle prese con la Legge di Bilancio dello stato – non c’era. Ha mandato il sottosegretario Federico Freni, che però ha preso tempo. Alle richieste della Sicilia, che chiede un abbassamento progressivo del contributo alla spesa sanitaria, per alcune centinaia di milioni ogni anno, non è pervenuta una risposta. Così come all’esigenza di un contributo una tantum, dal valore di mezzo miliardo, per mettere in sicurezza i conti, che potrebbe trovare spazio in un emendamento alla manovra di fine anno. E’ questa la pista più battuta da Schifani: un aiutino, nemmeno così -ino, che possa riequilibrare l’eventuale “accantonamento” imposto dalla Corte dei Conti in sede di parifica, sabato prossimo. Alla Regione siciliana viene contestata la rateizzazione del disavanzo storico in dieci anni, anziché in tre. La questione potrebbe finire di fronte alla Corte Costituzionale, e nel frattempo Schifani dovrebbe equipaggiarsi, tagliando spesa (per 650 milioni almeno) e servizi essenziali a partire dalla prossima Finanziaria. Un incubo a cui è meglio non pensare.