L'inciampo sul Trattato del Quirinale, gli strafalcioni sul Mes. Sull'Ue Meloni sbanda
Dice di non conoscere l'accordo con Parigi, che il suo partito critica con toni complottisti: quasi fosse ancora leader dell'opposizione. Sul Fondo salva stati snocciola numeri e argomenti farlocchi. Così, ogni volta che si parla di Europa, la premier torna alla propaganda sovranista
Forse Giorgio Manganelli ne avrebbe riso, lui che il buon lettore di professione lo individuava in chi sapesse anzitutto quali libri evitare. “Non l’ho letto e non mi piace”, era il motto. Solo che qui non siamo alla critica letteraria, ma all’arte del governo. E dunque è quantomeno bizzarro sentire Giorgia Meloni dire che “i contorni del Trattato del Quirinale non mi sono chiari perché non ho avuto modo di approfondirlo”. Né è meno inquietante che giustifichi questo suo snobismo verso l’accordo col ricordare che “io ho contestato il trattato perché il Parlamento non era stato coinvolto in questa vicenda”, se è vero che oggi non è più la leader di FdI, ma la presidente del Consiglio.
E del resto non fu affatto per il solo (presunto) mancato coinvolgimento delle Camere che il partito di Meloni condannò la firma del Trattato. Raffaele Fitto, attuale ministro per gli Affari europei, il 26 novembre del 2021, in occasione dell’incontro definitivo tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron al Quirinale alla presenza di Sergio Mattarella, criticò l’iniziativa “per questioni di metodo e di merito”, descrivendo l’accordo come “l’ennesimo tentativo di subordinare gli interessi di Roma a quelli di Parigi”.
Dopodiché, il Parlamento ebbe, eccome, tempo e modo per analizzare ogni dettaglio del trattato. E quando a Montecitorio, il 25 maggio del 2022, i deputati discussero il documento, i patrioti votarono contro la ratifica. Le ragioni le espose Andrea Delmastro, denunciando come ci fosse “da dubitare della buona fede contrattuale dei francesi se nel frattempo si appropriano di fette territoriali e di confini italiani”. L’accusa, tutta strampalata, riguardava le presunte sottrazioni di mare e la supposta ridefinizione dei limiti nazionali del Monte Bianco: bufale infondate, rilanciate in quei giorni dalla stessa Meloni. “Allora io ho come la sensazione che questo trattato suggelli l’inferiorità e la subordinazione finanziaria, bancaria, della filiera agricola e industriale, della filiera della moda italiana, e questa subordinazione”, concluse Delmastro, attuale viceministro della Giustizia, “è pari a quella dei contraenti: da una parte Re Sole, il galletto francese Macron, dall’altra parte il Marchese del Grillo”, proseguì Delmastro, omettendo di dire se nei panni di Alberto Sordi ci fosse Draghi o Mattarella. E analoghe argomentazioni furono utilizzate il 5 luglio seguente, in Senato, da Isabella Rauti, che ora è sottosegretaria alla Difesa. Il che forse spiega perché ora ci sia imbarazzo, da parte di Meloni, a favorire quegli incontri bilaterali tra esponenti dei due governi previsti dal trattato, visto che ministri e sottosegretari di FdI dovrebbero anzitutto, forse, scusarsi per certe affermazioni. Non si spiega, invece, come Meloni possa sostenere che il trattato “non sia operativo in questo momento”, dacché è stato già firmato e ratificato.
Ma del resto è su tutti i temi europei, che la premier dimostra una certa approssimazione. La scorsa settimana aveva affermato, categorica: “C’è un motivo se il Mes non è mai stato utilizzato da nessuno”. Ieri ha dichiarato che “dopo la Grecia il Mes non è stato attivato da nessuno”. Forse, dunque, occorreranno altre quattro settimane perché la premier arrivi al conteggio esatto, visto che i paesi che hanno fatto ricorso al Fondo salva stati sono stati cinque. Ma pur sorvolando sull’aritmetica, è l’intero ragionamento di Meloni che pare fumoso, quantomeno. “Il problema del Mes è che si tratta di un creditore privilegiato, cioè il prestito che si contrae con il Mes lo si deve restituire prima del resto e questo porta problemi significativi in termini di spendibilità dei titoli di Stato”. E’ vero, semmai, tutto il contrario. E cioè che il Mes prevede, sì, il rimborso prioritario dei debiti contratti, ma proprio perché sono a tassi estremamente agevolati (e in genere quando un paese non ha accesso al mercato). Il che, tanto più se “noi non prenderemo mai il Mes” come dice Meloni, è una tutela per l’Italia che è tra i maggiori contributori del Mes e quindi un creditore. A meno che non si voglia dire – è la tesi del leghista Claudio Borghi – che, essendo i tassi del Mes troppo competitivi, disincentiverebbero gli investitori dall’acquistare i titoli di stato italiani, costringendoci ad alzare i rendimenti: ma, ammesso che un simile effetto sia solo vagamente ipotizzabile, allora bisognerebbe anche rinunciare ai fondi del Pnrr e a qualsiasi debito comune europeo (sarà per questo che FdI non ha mai votato a favore del Recovery?).
Insomma, quello di Meloni appare un europeismo di maniera, di convenienza, ancora viziato dalle pulsioni propagandistiche (vedi le ricorrenti accuse alla Bce di voler colpire l’Italia) del sovranismo che fu. E in certi casi perfino rivendicate: “Io non sono d’accordo su un modello federale dell’Ue, credo piuttosto a un’Europa confederale”, ha detto la premier. Col che forse esibendo la coerenza ha sempre esaltato “l’Europa delle patrie” e le cervellotiche procedure di “diritto di veto”, ma di fatto ponendosi ai margini del contesto comunitario, con una visione dell’Europa, “confederale” appunto, che è quella di Orbán e Morawiecki. E qui allora forse tutto torna: il sabotaggio del Trattato del Quirinale è evidentemente funzionale a favorire accordi di cooperazione rafforzata che Meloni ritiene più utili all’Italia: quelli con Budapest e Varsavia. Tout se tient, se Sangiuliano ci passa il barbarismo.