liberali o no?
Sulle nomine scopriremo l'idea di Meloni su destra e potere
Da che parte andrà il governo conservatore italiano? Le scelte della premier ci diranno se sarà verso i criteri di scetticismo, competenza tecnica ed equilibrio tra poteri dello stato di diritto. Oppure verso un cambiamento delle amministrazioni calato dall'alto
È partita la grande caccia dei media ai nuovi candidati che da gennaio a giugno saranno indicati dalla destra in 70 posizioni apicali tra ministeri, agenzie di stato, Cdp, e tutte le maggiori società controllate di stato cioè un pezzo rilevantissimo del pil e dell’economia italiana. L’attenzione è tutta sui diversi gradi di prossimità dei candidati rispetto a questo o quel leader della destra. La frase di Guido Crosetto sul “machete” riservato nelle nomine ai signornò alimenta l’immediata reazione di chi è pronto a comportarsi come se lo spoil system in Italia fosse cosa nuova. Bisognerebbe invece fermarsi. Non solo perché i nominandi andrebbero ovviamente solo giudicati dalle competenze mostrate negli incarichi precedenti, privati e pubblici.
Piuttosto, prima delle nomine andrebbe posto un quesito, preminente rispetto a chi Giorgia Meloni vorrebbe e chi Matteo Salvini vuol cacciare. Di Salvini abbiamo capito negli anni che nomine vorrebbe. La conferma in questo governo è il prefetto Piantedosi, che già col decreto Rave è incorso nell’obbligo di riscrittura, e che in questi giorni vede cassata dalla sua bozza di decreto Sicurezza una filza di materie rinviate al futuro. Tecnici di stato pronti a divenire animosi attuatori di programmi identitari, questa sembra la tipologia. Ma per Giorgia Meloni sarà invece la prima volta, e ne segnerà la sua stessa idea di come si governa l’Italia. Dunque non è ozioso porsi un interrogativo.
Il criterio delle nomine ci dirà infatti come “questa” nuova destra-Meloni si colloca rispetto a uno spartiacque che ha diviso in occidente le destre liberali dalle “nuove” destre. L’esempio principe è il fenomeno Trump, ma si ripete con molte analogie nelle destre che governano Polonia e Ungheria, come nelle nuove destre scandinave che prendono tanti voti alle urne. In sintesi estrema, le destre liberali si riconoscevano in quattro pilastri. Forte priorità a riforme di mercato che limitassero l’eccesso di statalismo per far crescere l’economia, liberando dai gravami di troppo imprese e individui.
Forte scetticismo sulla possibilità di evitare che le élite private non provino a piegare l’interesse pubblico a propri interessi, e che le élite pubbliche abbiano miracolosi anticorpi weberiani tali da vincere la tentazione di voler solo eternare il proprio potere sotto ogni governo, costruendo canali relazionali con le élite private tali da sgonfiare dall’interno ogni pretesa politica di vera svolta. Proprio per questo, grande fermezza nella difesa e rafforzamento dell’equilibrio tra diversi poteri dello stato, per evitare scorrerie di un potere sull’altro e tentazioni autoritarie sostenute da élite private e pubbliche. Infine, forte enfasi su multilateralismo e globalizzazione, con tutti gli annessi e connessi come il sì a immigrazione controllata e a sicurezza condivisa con alleati in tutti i continenti.
Le nuove destre trumpiane (ma ogni versione nazionale deriva da storie diverse, nel caso Meloni parliamo del post fascismo) considerano tutto ciò un armamentario polveroso e ingenuo. Certo che il Deep State pubblico è impregnato dal proprio interesse al potere, ma è inutile far prediche. Bisogna sostituirne i vertici nominati dalla sinistra scegliendo chi abbini al proprio interesse quello a compiacere la destra che li nomina, convogliando a essa anche le élite private con cui in precedenza si sono intessute relazioni basate su provvedimenti e deroghe ad hoc. Omaggi a Montesquieu ma i checks and balances istituzionali sono orpelli, bisogna esser pronti a decise forzature istituzionali se si vuol realizzare quella svolta profonda su valori identitari utile a compiacere maree di voti anti élite, nazionaliste e protezioniste, altro che globalizzazione e immigrati. Non è automatico che si arrivi all’assalto al Congresso e alla negazione istituzionale di sconfitte elettorali, ma Trump ci ha dimostrato che si può arrivare anche a quello.
Il criterio dei nominandi scelti da Giorgia Meloni ci dirà se il suo progetto di destra moderna si ispira ai criteri di scetticismo, competenza tecnica ed equilibrio tra poteri dello stato di diritto tipici della destra liberale, che crede in riforme organiche che cambino un paese dal basso in alto. Oppure se è quello della ricerca di fedeli strumenti di attuazione di un piano inteso a cambiare lo stato dall’alto in basso. Non sono vane discettazioni filosofiche. Rispondere a questa domanda dice tutto dell’idea che hai del potere e di come vuoi usarlo.