I sette vizi capitali di Giorgia Meloni
Imbarazzo sui vaccini, europeismo claudicante, complottismo contro i francesi e sull’immigrazione, disprezzo per le banche e per l’innovazione, evasione dalla realtà sul fisco. Un bilancio di fine anno
L’ultimo giorno dell’anno, si sa, è spesso un’occasione utile per tirare le somme, per ragionare sui mesi trascorsi e provare a fare un qualche bilancio, e il bilancio che oggi può essere utile fare, e sul quale può essere anche utile ragionare, non può che riguardare una valutazione dei primi mesi del governo Meloni. Sine ira, sì, ma con un po’ di sana parzialità. Chi legge le nostre pagine conosce bene il nostro smarrimento nell’aver fatto i conti in questi mesi con una creatura politica molto diversa da come era verosimile immaginarla, e decisamente in continuità su molti temi con il suo predecessore Mario Draghi, ma accanto ai pregi del governo Meloni vi sono alcuni vizi di forma che ancora persistono, e che ancora preoccupano, e che potremmo provare a sintetizzare nella formula brutale dei sette peccati capitali. Sette peccati che corrispondono a sette vizi che costituiscono la cartina al tornasole di una forma di populismo che tuttora, nonostante la buona volontà, non appare reversibile, nel mondo meloniano. La prima tragica forma di populismo che il governo Meloni fatica maledettamente a governare riguarda il tema dei vaccini e a due mesi e passa dal giuramento di questo esecutivo non si ricorda un solo ministro che abbia trovato il tempo per invitare tutti gli italiani a compiere l’unico gesto vero che ha permesso all’Italia, e al resto d’Europa, di non ritrovarsi in una condizione simile a quella in cui si trova la Cina: vaccinarsi, vaccinarsi, vaccinarsi. Con un vaccino, quello a mRna, che dopo 15 miliardi di dosi somministrate è il farmaco più sicuro sulla faccia della terra e di fronte al quale invece Meloni, e il suo governo, invitano a essere prudenti, cauti, e a chiedere consiglio su cosa fare al proprio medico di base se si dovesse scegliere di vaccinarsi senza essere fragili.
La seconda tragica forma di populismo che il melonismo ha scelto di non combattere bensì di alimentare riguarda il suo rapporto con l’Europa. Non si può dire che Meloni, stando all’approccio avuto con la Commissione europea sulla manovra, si sia comportata da antieuropeista, tutt’altro, ma non si può dire neppure che i due mesi di governo abbiamo permesso di mettere in evidenza l’europeismo genuino della premier. Semplicemente non è stato così. Non è stato così sul Mes, per esempio, e l’Italia, a causa delle balle raccontate in questi anni dai sovranisti nazionalisti è l’unico paese dell’Ue a non aver ancora ratificato il trattato, e non è stato così neppure sulle grandi partite europee, come la riforma del Patto di stabilità e come la riforma del trattato di Dublino, temi sui quali il governo, con tutta la buona volontà del mondo, ha mostrato più la sua impotenza che il suo pragmatismo. Le ragioni di questa impotenza sono molte, e non riguardano solo il ruolo ancora tutto da definire di Giancarlo Giorgetti, che più che un ministro del Tesoro in questi due mesi si è mosso da capo di gabinetto di un ministro ancora da identificare, ma tra queste ragioni, tra le ragioni che rendono debole il governo in Europa, vi è certamente una forma di complottismo che il governo nazionalista ha scelto di alimentare, in ogni occasione utile, contro il governo francese. I migranti arrivano in Italia? La colpa è della Francia. Le regole europee sull’immigrazione non vengono cambiate? E’ colpa della Francia. (segue a pagina quattro)
E ancora: il Trattato del Quirinale con la Francia? Meloni dice di considerarlo osceno, di averlo sempre considerato tale, ma nel dirlo ammette di non conoscere né il suo contenuto né l’attuazione di quel trattato (trattato che Meloni non sa se è in vigore o no ma glielo ricordiamo noi: è in vigore dallo scorso 6 luglio).
Il complottismo contro i francesi ci porta ad analizzare un quarto vizio capitale del governo sovranista che è quello legato all’odio coltivato dalla destra meloniana nei confronti delle banche. Il Pos? Una vergogna: ci guadagnano le banche. Le mosse della Bce: una vergogna, aiutano le banche di altri paesi. Le critiche di Bankitalia: scandalose, rappresentano solo gli interessi delle banche. Meloni, nel corso del suo lungo intervento alla conferenza stampa di fine anno, ha detto di auspicare che l’Italia abbia presto dei poli bancari più definiti di oggi ma non osiamo pensare cosa potrebbe accadere se a voler dare un contributo per la definizione di uno di questi poi fosse, per esempio, una banca francese. Ci sono le banche dietro le ossessioni del governo nazionalista, e alla lunga avere un pregiudizio negativo e complottista nei confronti di chi fa credito non potrà che portare anche gli osservatori internazionali ad avere un giudizio negativo su chi alimenta i complottisti, e c’è sopratutto la tecnologia, peccato capitale numero cinque, dietro ogni tipo di paranoia del governo Meloni. Il Pos? Uno strumento dei poteri forti. Lo Spid? Uno strumento da superare. La rete unica? Panico. L’innovazione digitale? Buona per fare un po’ di marchette. La logica perversa è lineare. Più innovazione uguale più competizione. Più competizione uguale più mercato. Più mercato uguale meno controllo. Meno controllo uguale meno sovranismo.
Al peccato capitale numero sei ci arriviamo legandoci proprio al tema dell’innovazione: uno degli aspetti più preoccupanti messi in mostra in questi mesi dal governo è la sua evasione dalla realtà sul tema fisco. E per quanto Meloni possa avere difficoltà a chiamare un condono un condono, l’insieme delle politiche suggerite dalla destra, sul tema fiscale, sono come un insieme di puntini uniti i quali, come nei magnifici disegni della settimana enigmistica, il volto che si ricava alla fine è quella di un occhiolino schiacciato a favore degli evasori. Tetto al contante più alto, cartelle stralciate, condoni pressoché tombali, Pos accettato a fatica, fatture elettroniche osservate con grande scetticismo, zero interesse a portare avanti una politica di lotta all’evasione simile a quella che l’Italia ha messo in campo negli ultimi anni, durante i quali, grazie a un sistema basato sulla progressiva digitalizzazione dei pagamenti ha prodotto risultati importanti: la propensione all’evasione è scesa a 99,2 miliardi nel 2019 dai 102,9 dell’anno prima e dal 2015 a oggi la lotta all’evasione, grazie alla detestata digitalizzazione, ha permesso allo stato di ritrovarsi con un tesoretto che in otto anni è arrivato a raggiungere una cifra di 30 miliardi.
Il settimo e ultimo vizio capitale riguarda il tema dell’immigrazione, riguarda l’impotenza strategica nascosta dietro la presunta prova di forza, e più passerà il tempo e poi sarà chiaro che governare l’immigrazione facendo finta di potercela fare da soli significa non capire che sull’immigrazione, come su molto altro, il nazionalismo è contro l’interesse nazionale e che per tutelare l’interesse nazionale occorre che i sovranisti mettano da parte il proprio complottismo, il proprio populismo, per riuscire a costruire alleanze utili ad affermare principi di solidarietà, a rendere la gestione del Mediterraneo sempre più un tema europeo e sempre meno un tema italiano e riuscire infine a fare quello che finora il governo Meloni non è riuscito a fare: non solo farsi notare in Europa ma anche provare a contare qualcosa. Il bilancio dei primi due mesi di Meloni non è male, ma i peccati capitali ci sono, sono gravi, vanno capiti, vanno affrontati e vanno denunciati con forza per evitare che i buoni propositi del 2023 siano sepolti, politicamente, da un’ondata tossica di ritorno di populismo nazionalista. Buon anno a tutti.