riformo anch'io. no tu no!
Meloni, Salvini e la lunga battaglia delle riforme (che destabilizza la maggioranza)
Il ministro Calderoli spinge per portare in Cdm l'Autonomia differenziata. Ma la premier gioca a farla viaggiare in parallelo con la riforma presidenziale, temendo ritorsioni al sud
Il manifesto dei dissidi sta tutto in quell'intreccio tra due riforme contrastanti. Non nella sostanza, ché una non esclude l'altra. Ma nella maggioranza che sostiene il governo Meloni è in atto una sotterranea contesa per stabilire quali siano le priorità del paese. Se necessita, come sostengono da par loro i leghisti, di una rapida concessione di autonomia alle regioni. O se non sia meglio dirottare le proprie energie cognitive (politicamente parlando) verso la grande questione che ha animato la campagna elettorale di Giorgia Meloni: la riforma in senso presidenziale delle istituzioni statali.
In fondo, il post legge di Bilancio nel governo è una navigazione tra queste misure più identitarie. E non a caso dopo le settimane in cui era il ministro Giorgetti la figura più centrale nel day by day dell'esecutivo, un ruolo sempre più centrale se lo stanno ritagliano Maria Elisabetta Alberti Casellati, titolare delle Riforme. E Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e l'Autonomia. Solo che per adesso il lavoro dei due è come se proseguisse su binari che nemmeno si tangono, interessati come sono a perseguire obiettivi diametralmente opposti.
Matteo Salvini ai suoi lo ha promesso: un passaggio concreto per arrivare alla famosa autonomia ci sarebbe stato prima delle elezioni regionali lombarde. Che sono tra poco più di un mese. Per questo Calderoli ha accelerato, sotto la pressione del vento nordista bossiano. Che se non adeguatamente controllato potrebbe portare a uno smottamento nelle regioni in cui il Carroccio ha la sua costituency. Vedi tutta la partita aperta dal Comitato nord che ha già sfilato diversi consiglieri regionali al Pirellone. Così nelle intenzioni del ministro c'è la volontà di portare un testo, quello a cui sta lavorando dalla nascita del governo, in uno dei prossimi Consigli dei ministri. Scelta che dalle parti di Palazzo Chigi hanno letto come una "sgrammaticatura istituzionale", visto che non c'è stato alcun passaggio formale in Conferenza Stato-Regioni, luogo dove solitamente si anima il confronto sulle tematiche legate alla ripartizione dei poteri.
E però non è nemmeno questo che preoccupa di più la premier. Perché l'altra fonte di apprensione è legata a un ben più banale discorso di radicamento elettorale: perché mai noi di Fratelli d'Italia, che abbiamo nel centro-sud la nostra roccaforte, dovremmo spingere per approvare una riforma che finirebbe con ogni probabilità per scontentare il mezzogiorno? Più o meno questi sono i pensieri che attanagliano il capo del governo, seguita dagli esponenti di Forza Italia. Un partito che a livello nazionale vale meno del 10 per cento ma più del doppio nelle regioni del sud, dove ha quattro governatori. Non è un caso che anche oggi, intervistato dalla Stampa, uno di loro come il presidente della Calabria Roberto Occhiuto abbia ricordato che senza fondi di perequazione ogni discorso che tocca l'autonomia è vano. Fondi per altro a cui stava lavorando la ministra Mariastella Gelmini all'epoca del governo Draghi. E che però il ministro Giorgetti ha bloccato perché, come ha spiegato il Mef, mancano le coperture.
Che fare, quindi? Nella maggioranza se lo stanno chiedendo sempre di più. E una delle soluzioni per mettere in naftlalina il discorso legato all'autonomia è farla viaggiare in parallelo con il presidenzialismo. Solo che essendo quest'ultima una riforma costituzionale che richiede almeno quattro letture e almeno un anno e mezzo per l'approvazione, ha gioco facile Calderoli a ricordare che "sono strade completamente diverse e rincorrere l'una per l'altra veramente mi sembra sconclusionato e privo di senso e significato". Forse è solo la mancanza di senso auspicata da qualcuno in questa maggioranza che gioca ad affossare, senza dirlo, il lavoro degli alleati.