Mef-Chigi
Meloni si prende il Mef. Chiede a Giorgetti la sostituzione di Rivera da 'esiliare' all'estero
La premier insiste sulla sostituzione del direttore generale del Tesoro. L'obiettivo non è Rivera ma un'epoca e la passata gestione dei fallimenti bancari. Nel mirino pure il premier Draghi
Roma. Vuole un nuovo direttore del Tesoro, vuole controllare il Tesoro e fare un “giusto processo” alla storia. Di quella storia fa parte Mario Draghi. Giorgia Meloni sta “svuotando” il Mef. La legge e il consenso glielo consentono. Ha chiesto al ministro Giancarlo Giorgetti di allontanare, ora, Alessandro Rivera, il direttore generale. Ha già il nome del sostituto gradito e ha suggerito due possibili vie d’uscita per l’uomo che dal 2008 al 2018 è stato capo per la direzione del sistema bancario. Quell’uomo è Rivera. Giorgetti non la sta accontentando. C’è una ragione più profonda che spiega l’ostilità di Meloni, dei suoi uomini, nei confronti di questo direttore che ha partecipato agli ultimi G20 e G7. E’ la convinzione che dietro agli ultimi collassi bancari ci sia stata scarsa vigilanza. In FdI lo chiamano “il cimitero bancario” e quando tutto è iniziato “c’era l’ex premier”. Si mira a Draghi.
Non sta dunque e solo per sostituire un direttore che ha avuto in mano le chiavi del ministero dell’Economia, gestito i dossier dei fallimenti bancari, le ristrutturazioni, gli avvicendamenti degli ad e partecipato ai negoziati internazionali con Fmi, Commissione europea… La premier Meloni con la sua richiesta di allontanare Rivera ha ingaggiato una battaglia con il suo stesso ministro Giorgetti.
Gli ha già tolto le competenze finanziarie andate al viceministro di FdI, Maurizio Leo. In precedenza aveva già trasferito un ramo della ragioneria, il Servizio centrale del Pnrr diretto da Carmine Di Nuzzo, al ministero di Raffaele Fitto. La premier potrebbe presto far “scivolare” simbolicamente il portale “Italia Domani”, gestito dal Mef, (è la banca dati del Pnrr) dal ministero di Giorgetti a quello di Fitto. Si è già verificato un rallentamento con la Commissione europea. La Commissione quando parla di Pnrr continua a telefonare al Mef che a sua volta deve girare le richieste a Fitto. L’obiettivo della premier è tuttavia più alto. E’ Bankitalia. E’ l’ex premier. E’ “la grande Finanza”. Sono tutte quelle vecchie bandiere, e battaglie, che hanno permesso alla destra di andare al governo.
Le parole del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari del 5 dicembre (“Bankitalia è finanziata da privati”), le critiche verso quell’istituto, denunciano un’avversione per un organo, dicono fonti di governo, “a cui è rimasta da tempo solo una funzione di vigilanza che non ha svolto”. Nella conferenza stampa di fine anno la frase di Meloni sulla gestione “pessima” del dossier Mps ha fatto pensare che il riferimento fosse esplicito, e che fosse Rivera. In verità non c’è solo Mps, e la frase successiva della premier sulla ristrutturazione “che ora ci sembra solida” poteva anche essere letta come un plauso a Rivera. C’è un’ambiguità studiata che può permettere alla fine della partita (e la partita la stanno giocando Meloni e Giorgetti) di dire che ad aver perso sono stati solo i giornalisti che hanno frainteso.
Prima che il governo entrasse in carica, Rivera ha sostituto l’ad di Mps, cercato di accompagnare il passaggio di consegne dal governo Draghi al governo Meloni nel migliore dei modi. Vista dalla sua stanza è come se avesse alleggerito il carico dell’esecutivo. Vista da Palazzo Chigi si attende un gesto del ministro dell’Economia che tarda ad arrivare. I novanta giorni previsti dalla legge, per il cambio del direttore, scadono il 22 gennaio. Se Giorgetti dovesse accettare la sostituzione è la prova che quello che si dice di lui è vero: un buon funzionario di due padroni (Salvini e Meloni). Il primo, Salvini, anche se volesse non può difenderlo. Qualcuno in FdI lo ha anche detto: “E’ solo, non ha più nessuno. Giorgetti è uno spirito”.
Nell’agenda della premier in cima alla lista delle crisi bancarie, gestite malamente, non c’è tanto Mps. Uno degli esempi di grande “cimitero bancario” è quello veneto (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca), lo segue la ligure Carige, la pugliese Banca Popolare di Bari fino a Etruria. Il sostituto di Rivera è solo uno. Si chiama Antonino Turicchi ed è stato nominato da Giorgetti presidente di Ita.
In passato è stato direttore generale della Finanza e Privatizzazione del Mef. Erano gli anni di Berlusconi. Per fare uscire Rivera, a Palazzo Chigi, hanno individuato due scenari. Il primo: un ruolo all’Ocse, a Parigi, lontano dall’Italia. Gli vogliono proporre il ruolo di vicesegretario, ruolo che in passato ha ricoperto Pier Carlo Padoan. Incarico sminuente per un direttore generale del Tesoro. L’altro scenario è più sottile. Si parla di un precedente, e si invita il premier Draghi qualora fosse falso a smentire. Lo riportiamo per come viene ricordato e riproposto. Quando Draghi lascia la carica di direttore generale del Tesoro, 2001, per alcuni mesi resta al ministero. Va a far parte del gabinetto del ministro ma solo formalmente.
Sono soluzioni “cavalleresche”, di transito, per personalità dal blasone ingombrante. Sono uscite che Rivera non accetterebbe anche perché da mesi il suo nome è su tutti i giornali e la sua reputazione colpita. C’è una posizione libera di prestigio internazionale e spetta all’Italia. Un incarico alla Bei, Banca europea degli investimenti. Nella conferenza stampa di fine anno Meloni ha detto che il suo passo è “cadenzato”. Aspetta che Giorgetti cadenzi l’uscita di Rivera, prepari il dossier delle prossime nomine delle partecipate. I nomi ci sono già e non saranno quelli di Giorgetti. Uno per volta. Ha sostituti per tutti. Anche quelli, cadenzati.