L'intervista
L'autonomia differenziata tra falsi miti e pericoli. Parla Cottarelli
L’ex direttore esecutivo del Fmi, oggi senatore Pd, smonta il mito sulle regioni del nord favorite dallo stato: "La spesa pro capite è uniforme sul territorio nazionale". E sul regionalismo differenziato dice: "Seguire il modello della sanità"
"Quella sulla differenza di spesa pubblica tra nord e sud mi sembra una polemica piuttosto sterile. I dati mostrano che la spesa pro capite è uniforme sul territorio nazionale, ma le regioni del centro-nord pagano più tasse pro capite, perché hanno un reddito più elevato. Di conseguenza, il Mezzogiorno riceve ogni anno trasferimenti pubblici dalle regioni più ricche del centro-nord”. Così al Foglio l’ex direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale, oggi senatore Pd, Carlo Cottarelli, smonta per l’ennesima volta le polemiche sul presunto trattamento di favore che oggi sarebbe riservato alle regioni del nord sotto il profilo della distribuzione delle risorse pubbliche. Sullo sfondo c’è il dibattito sull’autonomia differenziata, ravvivato dalla proposta di riforma avanzata dal ministro Roberto Calderoli.
“Ai lombardi 19 mila euro, ai campani 14 mila: su scuola, trasporti e sanità, lo stato premia già il nord”, titolava ieri un articolo di Repubblica. Il tutto sulla base dei dati forniti dall’Agenzia per la coesione territoriale, la cui attendibilità sul piano statistico è stata contestata da uno studio dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’università Cattolica di Milano, diretto fino a pochi mesi fa proprio da Cottarelli. Un’analisi pubblicata nel settembre 2020 dall’Osservatorio, firmata da Giampaolo Galli e Giulio Gottardo, aveva evidenziato come i dati sulle spese e le entrate delle regioni forniti dall’Agenzia per la coesione si distanziassero da quelli dell’Istat e della Banca d’Italia.
Nei suoi calcoli, infatti, l’Agenzia tiene conto anche delle pensioni, che rappresentano più di 250 miliardi all’anno di spesa pubblica. Tuttavia, lo stato non ha alcun controllo sulla loro allocazione regionale: dato che al centro-nord i lavoratori (provenienti sia dal nord che dal sud) hanno versato più contributi, i pensionati settentrionali hanno mediamente diritto a pensioni più alte, il che fa inevitabilmente lievitare la spesa pubblica pro capite nelle loro regioni.
Da ciò derivano i massicci trasferimenti di risorse tra le regioni. La Banca d’Italia ha calcolato che nel periodo 2002-2016, i trasferimenti pubblici a favore del Mezzogiorno sono oscillati fra il 15 e il 20 percento del pil dell’area, cioè tra 57 e 76 miliardi di euro all’anno. Le regioni che hanno sostenuto la quasi totalità di quest’onere sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna, il Lazio, il Veneto, il Piemonte e la Toscana.
Insomma, afferma Cottarelli, “è inutile tirare fuori la polemica sui soldi che finiscono di più al nord o al sud. La discussione dovrebbe essere un’altra: come si può realizzare il regionalismo differenziato?”. “Io – aggiunge l’economista – credo che il modello che possa essere accettabile, perché bisogna arrivare a un compromesso, è quello della sanità”. “Da un lato, i soldi vengono dati alle regioni dallo stato, cioè dal centro. Le risorse non sono date sulla base del reddito delle regioni, ma vengono distribuite in modo uguale sulla base di un criterio che dovrebbe essere il più oggettivo possibile. Nel caso della sanità, ad esempio, oltre al numero di abitanti si tiene conto anche dell’età della popolazione, ma si possono considerare anche altri fattori”. “Dall’altro lato – prosegue Cottarelli – la gestione delle risorse avviene a livello locale, con un vincolo: quello di mantenere minimi livelli di qualità dei servizi”.
Ma chi dovrebbe definire i livelli essenziali delle prestazioni (i famosi Lep)? Il governo o il Parlamento? E’ uno dei quesiti che agita maggiormente il dibattito politico. “Ovviamente – replica Cottarelli – secondo me sarebbe più logico se ci fosse un passaggio parlamentare”.
Da quanto emerge dalle prime anticipazioni del ddl proposto dal ministro Calderoli, tuttavia, spetterà a una commissione governativa, e non al Parlamento, definire entro 12 mesi i Lep. Sempre il governo dovrà poi procedere a siglare le intese con le regioni per l’autonomia differenziata.