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Viva l'Ulivo, morte al neoliberismo: la contraddizione irrisolta dell'analisi di Bettini

Luciano Capone

Indipendenza della banca centrale, riequilibrio della finanza pubblica, liberalizzazioni, riforma delle pensioni, riforma del mercato del lavoro, privatizzazioni: in Italia sono opera del centrosinistra. La “svolta neoliberista” in Italia non è stata né più né meno che il processo di integrazione europea

Uno spettro s’aggira per il congresso del Pd: lo spettro del neoliberismo. Sempre per parafrasare Marx ed Engels, l’infamante accusa di neoliberismo viene lanciata tanto sugli uomini più progrediti del Pd stesso, quanto sui propri avversari reazionari. L’unica differenza rispetto all’epoca del Manifesto del Partito comunista, è che ora nessuno si definisce neoliberista. Ma la caccia ai fantasmi odierna, che si è riversata nella fase ri-costituente del Pd e che vede diversi “saggi” impegnati a espungere il manifesto dei valori del partito dalle contaminazioni neoliberiste e “ordoliberiste”, presenta delle caratteristiche irrisolte e paradossali. Un esempio delle incoerenze di fondo sta nella riflessione di Goffredo Bettini, uno dei padri nobili del Pd.

 

In un intervento sulla Repubblica, rivolto ai cattolici democratici che hanno espresso dissenso e disagio rispetto a questa revisione in chiave socialista dei valori del Pd, Bettini cerca di ricondurre tutto in una sintesi, tenendo insieme sotto l’etichetta dell’“umanesimo” il personalismo di Maritain e la “scintilla” della rivoluzione bolscevica di Lenin. L’operazione è ardita ma non insolita di questi tempi, dato che per certi versi è speculare a quella sul fronte destro del ministro Gennaro Sangiuliano che tenta di fondere Hayek e Giovanni Gentile (per non parlare di Dante) nel conservatorismo. C’è però un punto, nella riflessione di Bettini, che rende la sintesi davvero impossibile. Colui che è stato l’ideologo del veltronismo, ovvero del blairismo italiano, fa due affermazioni inconciliabili: prima scrive che “negli anni ’90 l’Ulivo ha salvato la democrazia e l’Italia”; subito dopo che, persa la dimensione ideale col crollo del muro di Berlino, “inevitabilmente hanno dilagato le ideologie neoliberiste”. Questa terribile ideologia, declinata al plurale, viene descritta come la malattia che sta portando all’aumento delle “disuguaglianze” e alla “distruzione del pianeta”. Si tratta di un virus talmente infido che ha infettato lo stesso corpo del partito: “La distanza dal dolore e i miti del neoliberismo si sono insediati anche dentro di noi”, scrive Bettini. Ma il problema dell’analisi bettiniana, a prescindere dalla valutazione sulle due affermazioni, è che queste non possono stare insieme. Delle due l’una: o la sinistra negli anni ’90 con l’esperienza dell’Ulivo “ha salvato la democrazia e l’Italia”, oppure il “neoliberismo” è stato il virus che infettando la sinistra ha ammorbato l’Italia negli ultimi trent’anni. Perché si può essere d’accordo o meno sul fatto che l’Italia sia stata travolta da un’ondata “neoliberista”, ma una cosa è certa: quel tanto o poco di liberismo che c’è stato, è stato opera del centrosinistra.

 

Se il Regno Unito ha avuto Margaret Thatcher e gli Stati Uniti Ronald Reagan, l’Italia ha avuto Beniamino Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi, Giuliano Amato, Romano Prodi e Massimo D’Alema. Insomma: l’Ulivo. Indipendenza della banca centrale, riequilibrio della finanza pubblica, liberalizzazioni, riforma delle pensioni, riforma del mercato del lavoro, privatizzazioni: in Italia sono opera del centrosinistra. E questo perché questo set di politiche era fondamentale per seguire la stella polare dell’azione politica dei progressisti: l’Europa. La “svolta neoliberista” in Italia non è stata né più né meno che il processo di integrazione europea, che il centrosinistra ha convintamente perseguito (a differenza dell’europeismo riluttante del centrodestra). Quindi è impossibile sostenere, come fa Bettini, che l’asserita stagione “neoliberista” ha sia salvato sia rovinato l’Italia . E per una questione logica prima che politologica. Sembrerà una questione di lana caprina, e molto probabilmente lo è, ma se c’è qualcuno che deve risolvere questa contraddizione è proprio chi si pone l’obiettivo di riscrivere i valori e ridefinire l’identità del Pd. Perché la “scintilla” del 1917 e le radici dell’Ulivo stanno insieme come l’acqua e l’olio.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali