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Il caos di FdI sul Csm rovina a Meloni la telefonata con Macron

Simone Canettieri

La candidatura azzoppata di Fratelli d'Italia al Csm e il ripiego all’ultimo istante: traffico in Parlamento

Succede intorno all’ora del tè. Occhiata d’insieme: Transatlantico gremito di deputati e senatori per l’elezione dei membri laici del Csm. Dal traffico che c’è sembra di essere ritornati al vecchio Parlamento prima del taglio. Carlo Calenda e il ministro della Giustizia Carlo Nordio fumano una sigaretta sotto un gazebo, in cortile, per ripararsi dalla pioggia. Parlano di Churchill. “E’ una nostra passione comune”, dice il leader di Azione. Che sulla candidatura di Ernesto Carbone dice di non avere subito alcuna pressione da Matteo Renzi. “Era negli accordi”. Spunta l’ex premier fiorentino. In forma. Capannello di cronisti intorno. “Ci vediamo nel 2024 quando farò cadere il governo dopo le Europee”. Insomma, tutto sembra volgere alla normalità. Quando scatta l’allarme. Esce fuori dall’Aula Ignazio La Russa: “Qui facciamo la figura dei peracottari!!!”. Il tutto, mentre Giorgia Meloni è al Quirinale per il Consiglio supremo di Difesa.

 

Il presidente del Senato, in modalità non proprio super partes, ha gli occhi sgranati. “Dov’è Lollo?!”. La notizia è che Giuseppe Valentino, l’uomo su cui Giorgia Meloni punta per la vicepresidenza del Csm, riempie i siti e le bocche dei grillini. E’ indagato in un fascicolo connesso a un processo contro la ’ndrangheta. La Russa vorrebbe tenere duro: “E’ una persona specchiatissima, non dobbiamo cedere a questo giustizialismo!”, dice a chi gli chiede cosa stia accadendo. Lollobrigida, verbo della premier fatto persona, sta cercando intanto il presidente del Senato. E’ rosso in viso. Non si toglie dall’orecchio il cellulare. E’ al telefono con Palazzo Chigi da dove arriva l’ordine di scuderia: cambiare cavallo, puntare di corsa su Felice Giuffrè. Stop. La Russa però insiste: “Non possiamo fare la figura dei peracottari, non possiamo farlo ritirare”. E qui si consuma un rapido capannello tra il ministro dell’Agricoltura e la seconda carica dello stato. Lollobrigida usa argomenti convincenti: “Non facciamo stupidaggini, non possiamo farci attaccare sulla lotta alle mafie il giorno dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro”. “Lollo” fa anche capire che la premier vuole così.

 

Partecipa al conciliabolo anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, più pallido del solito: la situazione è davvero complicata. Perché i senatori intanto, i primi a essere chiamati, hanno votato Valentino, il candidato azzoppato, quindi anche il suo successore rischia di non avere il quorum. La Russa con gli occhi strabuzzanti si accomoda su un divanetto. Riceve una telefonata: “Va bene, votiamo Giuffrè”. Chi assiste alla scena scommette un caffè, non di più, che la chiamata sia arrivata da Meloni.

 

C’è dunque un filo rosso fra FdI e M5s. Michele Gubitosa, vicepresidente grillino e uomo delle trattative, riferisce a Giuseppe Conte dell’operazione andata in porto: colpito e affondato. Conte sembra divertito, il Pd è arrivato secondo pure questa volta. Forza Italia, che nella spartizione dei membri laici si è fermata a un componente al contrario della Lega che ne ha due, frigge dalla felicità. Ma si dissimula. Tutti fermano Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera, ascoltatissimo dagli azzurri, e non solo. Il partito di Berlusconi di facciata se la prende con il giustizialismo e il fango gettato “sul povero Valentino”, costretto alla ritirata “da un articolo di giornale”. Però insomma, sotto sotto, un po’ di soddisfazione è visibile negli occhi dei parlamentari forzisti. Fratelli d’Italia si è incartato, si è diviso, ha fatto una figura non proprio splendente. Eppure per Giorgia Meloni era una giornata importante: quella della chiacchierata con Emmanuel Macron, dopo le note tensioni sui migranti. Da Palazzo Chigi parlano di telefonata “concordata” per evitare di dire chi abbia alzato il telefono. La notizia è stata diffusa da Roma e confermata poi dall’Eliseo. Basta fare uno più uno.  I due hanno parlato, in francese, di difesa dei confini, Ucraina, energia e sbarchi. Dandosi appuntamento al Consiglio europeo. Insomma, sarebbe stata una bella serata, i deputati di Fdi raccoglievano i soldi per il regalo di compleanno a Giorgia, se non fosse stato per il Csm, non proprio  l’elezione di un condominio.         

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.