Debora Serracchiani (Ansa)

Misteri dem

Il Pd si batte tutto il giorno per la parità di genere al Csm, e poi candida un uomo

Salvatore Merlo

Le tre paladine Anna Rossomando, Simona Malpezzi e Debora Serracchiani smentiscono la loro stessa propaganda. E alla fine sarà Fratelli d'Italia a eleggere più consiglieri (femmine e maschi) di tutti gli altri

Talvolta capita di pensare che il Pd, in alcuni frangenti, abbia un’intelligenza politica della quale si potrebbe affermare quel che certuni, sanissimi, possono dire del loro fegato: che non sanno neppure di avercelo. Ieri, per dire, al termine di estenuanti trattative in Parlamento, dopo aver posto con forza la necessità di rispettare la parità di genere tra uomini e donne nell’elezione dei membri laici del Csm, dopo essere andati  giù sparati dove Alexandria Ocasio Cortez mette una marcia più bassa, dopo aver accelerato dove le suffragette sostavano nella corsia di emergenza, insomma dopo aver strappato a tutti gli altri partiti la garanzia di far eleggere delle donne, ecco che le tre paladine della “parità di genere” Anna Rossomando, Simona Malpezzi e Debora Serracchiani hanno candidato al Csm per il Pd... Roberto Romboli. Che, se non ci sbagliamo, è un uomo.  

 

Anzi, è un accademico e giurista certamente competente e assai di sinistra. Tuttavia resta pure un indiscutibile maschio. Sicché la domanda sorge, come si suol dire, spontanea: che ragione c’era di fare una battaglia sulla parità di genere, darsi un tono impegnato e cipiglioso, per poi lasciare che fossero gli altri a candidare delle donne? Chissà.  Talvolta, come si diceva, non si capisce bene se il Pd sia stato appena cotto lesso, o in tegame a fuoco lento col latte come il baccalà alla vicentina.  

 

Al punto che per un attimo – e che attimo – ieri alla Camera è sembrato quasi di rivivere quel passaggio in cui, nel giorno della fiducia al nuovo governo, Serracchiani, capogruppo di un partito che ha eletto 34 donne e 73 uomini, dava all’incirca della maschilista alla prima donna presidente del Consiglio nella storia della Repubblica. Ovviamente, diceva il saggio, ci saranno sempre degli eschimesi pronti a dettare le norme su come devono comportarsi gli abitanti del Congo durante la calura.

 

Ma in generale resta forte il sospetto, per così dire, che la famosa “parità di genere”, in politica, sia quasi sempre una di quelle trovate sospese tra propaganda e opportunismo. Soltanto che alcuni partiti questa trovata la sanno utilizzare a proprio vantaggio, altri (indovinate chi) no. Così, per la cronaca, il partito della Meloni ieri è andato da Forza Italia sventolando la bandiera del femminismo regalatagli dal Pd: “Vi diamo due posti al Csm, ma dovete candidare due donne”. Quelli però avevano già promesso, da tre mesi, un posto al povero Enrico Aimi. Maschio e non eletto in Parlamento. Non potevano deluderlo di nuovo. Dunque hanno dovuto accettare, sotto “ricatto di genere”, di candidare soltanto lui al Csm. Perdendo un seggio. Sicché alla fine Fratelli d’Italia, grazie alla battaglia femminile promossa dal Pd (che ha eletto un maschio), eleggerà al Csm più consiglieri (femmine e maschi) di tutti gli altri. I soliti furbi, e i cari vecchi fessacchiotti.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.