situazioni intricate
La Babele del Pd: due mesi di liti per un manifesto dei valori che già si vuole liquidare
87 saggi, decine di mail e quattro sottogruppi tematici riuniti in tre plenarie. Che fare adesso del lavoro svolto? Quando ratificarlo e da chi? Schlein e Bonaccini hanno opinioni diverse. E letta pensa di sabotare il suo stesso operato
Il momento più surreale s’è registrato a metà della discussione, quando il prof. Carlo Trigilia, sociologo di chiara fama, già ministro nel governo Letta, ha chiesto la parola: “Io ci terrei che si specificasse che le primarie sono un male, per il partito, perché aumentano le liti correntizie”. Al che è toccato a Walter Verini, pacatamente, sottolineare che tutto il lavoro svolto era finalizzato a lanciare un congresso, “per cui, professore, rischiamo di apparire un po’ incoerenti”. Un po’ come invitare gli amici a guardare un film e dirgli: “È tipo la corazzata Potemkin, hai presente?”.
Fin qui, il colore. La sostanza, invece, dice che al termine di due mesi di dibattiti e sessioni di studio che hanno coinvolto 87 “saggi” che si sono scambiate decine di mail e riuniti in quattro sottogruppi tematici e convocati per tre diverse volte in riunioni plenarie della durata di almeno due ore ciascuna, mercoledì sera Enrico Letta ha spiegato a tutti che il nuovo “manifesto dei valori” del Pd, cioè l’oggetto a cui tutta questa profusione di sforzi e di intelligenze era stata consacrata, “lo definiremo io e Roberto Speranza”, sia pure, beninteso, “tenendo ampiamente conto degli esiti del nostro lavoro collegiale”. Dove si dimostra, insomma, che la sostanza e il colore, in questa ennesimo “ripensamento” del Pd, coincidono abbastanza.
Ma non è tutto. Perché ora il dubbio su cui al Nazareno si arrovellano è: che farci, con questo nuovo manifesto? Ratificarlo, certo. Ma da chi? E quando? I bersaniani fuoriusciti pretendono che lo si voti durante l’Assemblea nazionale di domani. Ne hanno bisogno per poter dire che loro tornano a casa, sì, ma in una casa totalmente ristrutturata, che “questo non è semplicemente il Pd, ma una cosa nuova, un nuovo partito della sinistra italiana”. Per questo Elly Schlein appoggia l’idea: dei voti di Articolo 1 ha bisogno per poter sperare, lei.
E per lo stesso motivo, però, gli altri tre candidati, a partire da Stefano Bonaccini, all’idea che si proceda subito alla ratifica del nuovo manifesto – che pure ha poco o nulla degli afflati radicali inizialmente vagheggiati dalla sinistra interna – scuotono il capo. Di qui l’astuzia di Letta, che ora fa mostra di ecumenismo (“per me si può votare subito, ma lascio che a decidere siano i candidati”) per sabotare un accordo che lui stesso ha firmato con Speranza. E ci sta, nella logica delle doppiezze che la politica impone.
Solo che nella logica delle doppiezze che la politica impone, pure in queste, il Pd riesce a metterci del situazionismo. Per cui ora il compromesso, ora che siamo alla vigilia del grande giorno, è che l’Assemblea voti un documento con la premessa che “si tratta di un atto d’indirizzo, un preambolo”, spiegano al Nazareno, e che comunque “andrà poi ratificato dalla prossima Assemblea”. Come a dire, insomma: per due mesi abbiamo scherzato, ci siamo azzuffati inutilmente, abbiamo inscenato un dibattito che non lo era, ci siamo accartocciati invano su noi stessi. Ma come ci siamo divertiti.