Il presidenzialismo e l'autonomia differenziata modificano radicalmente la Carta?
L’ora delle grandi riforme. Ma introdurre l'elezione del presidente della Repubblica e dare autonomia alle Regioni vuol dire davvero stravolgere il dettato della Costituzione? Dibattito, molto acceso, tra un innovatore e un conservatore
Presidenzialismo e autonomia differenziata potrebbero cambiare radicalmente la Costituzione e il sistema politico italiani. Ambedue mettono, in qualche modo, in dubbio il carattere stabile, duraturo, che è nella natura stessa delle costituzioni. Queste, in fondo, rappresentano la realizzazione di un’idea hegeliana, “la continuazione e il mantenimento di ciò che è già stato deciso”. Ascoltiamo gli opposti punti di vista di un innovatore e di un conservatore.
Innovatore. In tutti i paesi che prendiamo ad esempio è grazie alla trasformazione costituzionale che si sono formati i principali poteri pubblici. Ad esempio, in Inghilterra, per lungo tempo i poteri di capo dell’esecutivo erano nelle mani del monarca. Il “First Lord of the Treasury” si preoccupava del funzionamento del governo. Fu Robert Walpole nella prima metà del ’700 ad essere chiamato primo ministro. Ancora nel 1827 il duca di Wellington diceva a Giorgio IV che la scelta del primo ministro è un “personal act” del re. Poi è cambiata la costituzione materiale e il primo ministro ha dovuto godere di una duplice fiducia, quella del sovrano e quella del Parlamento: dal 1834 il primo ministro risponde al Parlamento. Altre modificazioni sono state quelle, a metà dell’800, operate da Gladstone e quelle degli anni 60 del ’900 di Wilson e, infine, quelle frutto delle iniziative della signora Thatcher alla fine del secolo scorso. Insomma, la Costituzione inglese ha subito moltissimi cambiamenti, che sono stati opera di alcuni dei maggiori protagonisti dell’esecutivo.
Conservatore. Ma la Costituzione inglese è un esempio che porta acqua al mio mulino, perché quei cambiamenti sono stati progressivi, lenti, indolori.
Innovatore. Faccio un altro esempio, quello del presidente americano, eletto solo indirettamente dal popolo, in realtà dal collegio elettorale. Una figura che nasce debole e diventa poi un “monarca elettivo”, un presidente-imperatore, come osservato nel 1973 da Arthur Schlesinger. Il cambiamento fu dovuto alla coincidenza della grande crisi degli anni 20 del secolo scorso, di un presidente come Franklin Delano Roosevelt, nonché della guerra, fino ad arrivare al presidenzialismo trumpiano, che costituisce un’altra modificazione radicale.
Conservatore. Anche queste trasformazioni sono avvenute senza una modificazione della Costituzione in senso formale, sono modificazioni prodotte dalle prassi, ma che rispettano la Costituzione formale.
Innovatore. Ma la Costituzione formale si deve adattare a modificazioni così radicali. C’è il fenomeno che Walter Lippmann chiamò della “lawless legality”: quando, interpretando le leggi, si dimentica di rispettare lo spirito delle leggi. Oggi nella cultura costituzionalistica mondiale si è sviluppata l’idea del “costituzionalismo trasformativo”. Si tratta di un’idea che risale allo studioso americano Karl Klare, appartenente alla corrente dei “Critical Legal Studies”, e da lui sviluppata nel 1998 con riferimento al Sudafrica. E’ fondata su una diversa concezione della costituzione, secondo la quale questa deve servire a trasformare le istituzioni politiche e sociali di un paese e le relazioni di potere, e quindi contribuire all’evoluzione dello Stato e della società. Quindi, promuovere il cambiamento; non solo porre le basi dell’ordine costituzionale e sociale, ma anche contribuire alla trasformazione degli ordini legali. Quest’idea è stata poi sviluppata nell’America del sud, in Germania, e ora ha trovato anche un’applicazione più ampia con un programma delle Nazioni Unite che è intitolato “Transformational Governance”, sviluppando anche obiettivi per il settore privato (“Sustainable Development Goal 16”). Vengono così fissati principi di buona amministrazione. Gli indirizzi delineano anche un percorso realizzativo. In Europa un esempio precedente di costituzionalismo trasformativo è l’articolo 1 del Trattato sull’Unione Europea, che prevede una Unione “sempre più stretta”. Un altro è contenuto nell’articolo 3, secondo comma, della Costituzione italiana, per il quale è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. L’idea del costituzionalismo tarsformativo, nata in ambiti nazionali, come il Sudafrica, poi in alcuni paesi del Sudamerica, ora che viene trasportata a livello sovranazionale pone problemi e interrogativi di vario genere. Non c’è un elenco di diritti umani e una concezione sola della democrazia: occorre quindi raggiungere un accordo sulla nozioni stesse. Poi, i singoli paesi dànno diverse interpretazioni agli stessi diritti. Infine, come stabilire un equilibrio con il principio, sancito dalle Nazioni Unite, dell’autodeterminazione dei popoli?
Conservatore. Trasportato in Italia, secondo le due proposte ora sul tappeto, il costituzionalismo trasformativo darebbe luogo ad un eccesso di differenziazione tra le regioni e a un eccesso di concentrazione di poteri al centro. I costituenti volevano le regioni autonome, riconoscevano che potessero legiferare e amministrare in modi diversi, ma, per quanto possa apparire paradossale, le volevano uniformemente diverse (salvo le cinque regioni a statuto speciale). Autonomia e diversificazione possono portare a una maggiore disunione. Quanto al rafforzamento del centro, c’è un singolare paradosso. In Italia non si lamenta tanto l’assenza di sufficienti poteri del capo dell’esecutivo, quanto la sua breve durata media. Paradossalmente, il presidente del Consiglio dei ministri e il governo italiani hanno più poteri del presidente americano, perché quest’ultimo non può legiferare, può soltanto esercitare un potere di veto nei confronti delle leggi approvate dai due rami del Parlamento, mentre il presidente del Consiglio dei ministri italiano e il suo governo sono diventati di fatto i principali legislatori.
Innovatore. Non bisogna avere timore di una Repubblica presidenziale. Oggi il popolo affida tutto il potere, con una sola scelta, ai membri del Parlamento, mentre con una elezione separata del capo dell’esecutivo e del Parlamento il popolo si può esprimere due volte e affidare a mani diverse i poteri. Un’altra garanzia potrebbe venire dal fatto che le cariche abbiano durata diversa: in questo modo si potrebbe consentire al popolo di esprimersi in momenti diversi.
Conservatore. Consideriamo da dove nasce il problema. Perchè si teme il presidenzialismo? Per l’assenza di contrappesi. Chi teme può essere rassicurato?
Innovatore. Vediamo da dove ha origine l’esigenza del presidenzialsmo. Gli altri organi costituzionali hanno una durata (9, 7, 5 anni), non il governo, che non ha né un limite superiore, né uno minimo. Se il corpo politico è frammentato e diviso, come in Italia, il vertice dell’esecutivo – continuiamo, per stanchezza intellettuale, a chiamarlo così, ma è il centro motore dello Stato – è sempre precario, mentre è il potere che ha maggiore bisogno di continuità. Altrimenti, come realizzare l’indirizzo politico? Le ragioni del presidenzialismo sono numerose. Trasferire dal Parlamento al popolo la scelta – ogni 5 o 7 anni – dell’indirizzo politico, così vincolando il Parlamento (dal 2018 al 2023, durante la XVIII legislatura, si sono succeduti tre diversi indirizzi politici). Assicurare al paese governabilità-continuità nell’esecutivo (68 governi in 75 anni), consolidando l’indirizzo politico per 5 o 7 anni, evitando che la politica consista più nel fare e disfare governi che nel governare. Assicurare l’unità interna, a causa del policentrismo del sistema delle autonomie (8 mila comuni e 20 regioni), riducendo l’asimmetria tra regioni e comuni (presidenziali) e Stato (parlamentare), completando il disegno avviato negli anni 90. Far parlare l’Italia con una voce sola e autorevole in un mondo multipolare con molti “condominii”.
Conservatore. Un assetto presidenzialistico solleva numerosi problemi. La storia della democrazia è dominata dal bisogno di dividere, separare, contrapporre funzioni e poteri; il presidenzialismo va nella direzione opposta, quella del cesarismo, del bonapartismo, del peronismo. Un passo indietro: dalla fuga dal monarca, al ritorno del monarca. Il presidente avrebbe i poteri di un re, salvo durata, inviolabilità, irresponsabilità. Raymond Aron (L’ombre de Bonaparte, France Libre, agosto 1943) segnalava la “fatale degenerazione in regime autoritario personalistico” del presidenzialismo. Costantino Mortati, oltre che studioso uno dei costituenti, scrisse nel 1975: “L’esempio della costituzione tedesca di Weimar in cui il sistema adottato di elezione popolare del presidente dette luogo a un’alterazione dell’equilibrio dei poteri, e infine all’eliminazione dello stesso regime parlamentare, mostra la fondatezza del pericolo enunciato”.
Innovatore. Tutto questo ha spiegazioni e rimedi. Il presidenzialismo nasce con l’intento di dividere, non concentrare il potere. Prendiamo gli Stati Uniti: due poteri, due investiture popolari, due legittimazioni (il popolo si esprime due volte); rigida separazione tra legislativo ed esecutivo, per cui una persona nominata segretario di Stato, se parlamentare, si dimette dall’organo rappresentativo; Presidente con scarsa o nulla influenza sul processso legislativo, che agisce quasi come un lobbista, salvo un potere negativo, quello di veto; diverse durate in carica, in modo da rispecchiare diverse situazioni politiche; dal 1970 frequente ”divided government” (Parlamento dominato da un partito diverso da quello del presidente); necessità dell’“advise and consent”, accordo del Senato sulle principali nomine presidenziali.
Conservatore. L’elezione diretta di un capo dello Stato squilibra un sistema politico-costituzionale parlamentaristico, quindi fondato sulla democrazia rappresentativa, ordinato su tre livelli, popolo-Parlamento-governo.Viene bypassato il Parlamento. Poi, i proponenti della riforma presidenzialistica non vogliono rendersi conto che, se il problema è soltanto quello di assicurare una sufficiente durata all’esecutivo, visto che ha sufficienti poteri, il modello da seguire è quello di tipo tedesco, del cancellierato, che comporta l’elezione parlamentare del Cancelliere, la sua sovraordinazione ai ministri, la sfiducia costruttiva. Tutto questo basterebbe ad assicurare una sufficiente durata all’esecutivo, e in particolare al suo capo, garante della indirizzo politico, come dimostrato dalla lunga durata in carica dei cancellieri tedeschi nel secondo dopoguerra.