Agenda anti catastrofismo
Spunti dai giornali non italiani per un un'agenda anti catastrofista
Le sanzioni? Funzionano. L’economia russa? Crolla. Il prezzo del gas? Cala. I consumi? Non si fermano. L’inflazione? Rallenta. Chicche utili dai giornali internazionali per non essere travolti dal pessimismo dei giornali italiani
Sono tempi molto difficili, lo sappiamo, e in una stagione complicata come quella che stiamo vivendo, dominata da recessione imminente, inflazione alle stelle, costi delle materie prime da brividi, essere ottimisti sul futuro non è un esercizio semplice e assecondare l’agenda del pessimismo può apparire come l’unica soluzione giusta per provare a incarnare il giusto spirito del tempo. Eppure, mentre ogni giorno la timeline delle notizie offerte dai giornali italiani alimenta con gusto estremo il nostro scontento quotidiano, miscelando alle previsioni catastrofiche sull’economia il bollettino delle sventure offerte dalle nostre cronache locali, giusto per tenere in allenamento il nostro cattivo umore, in giro per il mondo, ogni giorno, i segnali che vanno in una direzione opposta esistono e senza volerci permettere di interferire eccessivamente con il catastrofistico spirito del tempo abbiamo messo da parte alcune piccole notizie ritagliate qua e là dopo aver acquistato un numero spropositato di quotidiani internazionali, quotidiani asiatici, quotidiani mediorientali, quotidiani americani, quotidiani canadesi, quotidiani europei, in una enorme edicola di un famoso aeroporto mediorientale.
La prima notizia riguarda la guerra, o meglio la resistenza alla Russia, ed è una notizia che va in controtendenza rispetto alla retorica stanca che si affaccia spesso sui nostri giornali. Tema: il successo delle sanzioni occidentali, comprese quelle europee. Il Wall Street Journal scrive che la Russia, in questi mesi, ha dimostrato di essere dipendente dall’Europa più di quanto l’Europa non sia dipendente dalla Russia e ha portato alcuni dati piuttosto interessanti. Primo: i guadagni della Russia dalle esportazioni di combustibili fossili sono scesi del 17 per cento a dicembre, al livello più basso dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Secondo: la produzione di Gazprom PJSC, di proprietà statale, è scesa a 413 miliardi di metri cubi di gas nel 2022 dopo aver toccato i 515 miliardi nel 2021. Terzo: dall’inizio della guerra, la produzione di petrolio è diminuita in modo consistente, circa 400 mila di barili al giorno, e dal 5 febbraio, quando cioè entreranno in vigore le sanzioni dell’Unione europea che vieteranno il trasporto marittimo non solo di petrolio greggio russo ma anche di prodotti petroliferi russi verso paesi terzi, la produzione è destinata a calare ancora di più (petrolio e gas sono la spina dorsale dell’economia russa e hanno fornito il 45 per cento delle risorse che hanno composto il bilancio federale russo nel 2021). E lo stesso vice primo ministro russo, Alexander Novak, che sovrintende all’industria energetica, ha affermato che il divieto dell’Ue e il price cap sul gas sono i maggiori rischi economici che la Russia deve affrontare nell’anno in corso (il prezzo del gas sul Ttf, intanto, viaggia sui 60 euro, una cifra che è ancora tre volte più alta rispetto al 2021, ma che è quattro volte più bassa rispetto ai picchi raggiunti nel 2022, quando il prezzo superò anche i 300 euro). Si potrebbe obiettare che va bene, la guerra andrà pure meglio del previsto, d’accordo, ma con l’economia come la mettiamo? Qualche elemento interessante, per riflettere su questo tema, è arrivato dalle cronache di Davos. Al World Economic Forum Gita Gopinath, la capo economista del Fondo monetario internazionale, ha detto, in uno speech ripreso dal Financial Times, che le previsioni verranno riviste al rialzo, e che anziché un anno duro il 2023 ci riserverà un netto miglioramento delle condizioni economiche, rispetto alle più nefaste previsioni.
Douglas L. Peterson, presidente e ceo di S&P Global, a Davos, scrive Reuters, ha affermato invece di aspettarsi una recessione “molto lieve” negli Stati Uniti, in Europa e in Gran Bretagna, con una crescita netta per l’intero anno comunque positiva. Stessa musica arriva dal responsabile delle politiche della Banca centrale europea Mario Centeno che a Bloomberg ha detto che in Europa “l’economia ci ha sorpreso trimestre dopo trimestre e anche quest’anno il quarto trimestre in Europa sarà molto probabilmente ancora positivo” (sul National News, quotidiano in lingua inglese di proprietà del governo degli Emirati Arabi Uniti, si ricorda che i turisti cinesi, che ora potrebbero tornare a invadere il mondo, valevano circa 253 miliardi di dollari per l’economia globale nel 2019 e il loro ritorno nei mercati globali potrebbe offrire un boost imprevisto per la crescita dell’economia nel 2023).
Piccole chicche che si aggiungono a una chicca ulteriore che deriva dalla lettura di un’intervista fatta sempre dal National News al chief executive officer e managing director di una multinazionale tecnologica indiana di nome Mahindra. Il suo nome è C. P. Gurnani e la sua tesi spericolata e seducente difficilmente sarebbe stata raccolta da un giornale italiano. Tesi contenuta all’interno di un ossimoro: “Good recession”. Trattasi di provocazione? Non proprio. Dice Gurnani, nostro eroe per un giorno, che le recessioni ovviamente fanno male ma che la recessione che potrebbero affrontare diversi paesi, anche quelli europei, è caratterizzata da due fenomeni di segno opposto: consumi che nonostante tutto restano alti e occupazione che nonostante tutto continua a crescere. In più, nota ancora Gurnani, altri elementi potrebbero contribuire a una ripresa più forte del previsto. La riapertura cinese può dare un contributo ai consumi, da oriente a occidente. La presenza di un inverno molto mite in Europa può continuare a offrire agli europei armi per affrontare con maggiore disinvoltura le turbolenze generate dal percorso di affrancamento dall’energia russa.
E anche tra le conseguenze generate dall’inflazione ve ne sono alcune non negative che meritano di essere considerate. Una di queste, dice Gurnani, riguarda i salari, perché in quei contesti lavorativi in cui i salari dovessero essere alzati a causa dell’inflazione non può sfuggire che i salari resteranno più alti anche quando l’inflazione come la conosciamo oggi inizierà ad andar via (intanto, riportano molti giornali internazionali, Ryanair ha registrato il numero più alto di prenotazioni della sua storia, 4,9 milioni, e il capo di Ryanair prevede di registrare un record di 168 milioni di passeggeri, in rialzo rispetto ai 149 milioni dell’anno precedente alla crisi del Covid). Potremmo aggiungere a queste notizie, a proposito di svolte incoraggianti per il futuro dell’Italia, che il leader dei laburisti inglesi dica che il suo partito vuole intensificare il rapporto con l’Unione europea, che l’Italia, secondo l’Eba, ha registrato nell’ultimo anno l’aumento del numero di lavoratori ad alto reddito del settore bancario più alto tra i grandi paesi dell’Ue, passando da 187 persone a 351, con un incremento dell’88 per cento, e che, come scritto dal giornale canadese National Post, se il rialzo dei tassi delle banche centrali dovesse essere meno consistente rispetto a quanto annunciato, a causa di un’inflazione che potrebbe essere meno pesante rispetto a quanto oggi temuto, è verosimile che l’economia finanziaria darà all’economia reale una dose ulteriore di energia per continuare a crescere.
Tutte piccole chicche, piccole notizie, che sui giornali italiani trovano meno spazio di un incidente sull’A4, di una presunta bidella pendolare tra Napoli e Milano o di un ennesimo dramma sotto una valanga, ma che a loro modo ci indicano una possibilità forse meno remota rispetto a quanto oggi crediamo: la presenza di un 2023 dominato non necessariamente dai professionisti del catastrofismo universale.