i rapporti in europa
Il rischio dell'isolamento. Meloni pronta a firmare il Piano d'azione con Scholz
In vista del viaggio a Berlino, il 3 febbraio, la premier riapre il dossier ereditato da Draghi e poi insabbiato: un accordo con la Germania. Intanto Macron la pressa sul piano industriale europeo. Dopo la dichiarazione di orgoglioso isolazionismo di fine anno, a Palazzo Chigi temono di restare tagliati fuori dalle partitie europee e corrono ai ripari
Prendere una posizione. Contare. Evitare di restare a guardare. A Palazzo Chigi è insomma suonato l’allarme, davanti alle foto dell’amicizia ritrovata tra Emmanuel Macron e Olaf Scholz, domenica. Perché, per quanto scricchiolante, resta quello l’asse da cui passano i destini dell’Europa. E l’Italia dei patrioti non vuole giocare il ruolo dello spettatore, tanto più che ora, stando al governo, Giorgia Meloni non può neppure lucrare, come in passato, sulla propaganda di chi grida contro il giogo franco-tedesco. E anche per questo, per provare a intromettersi in un gioco di coppia tra il cancelliere e monsieur le président, la premier vuole rilanciare il “Piano d’azione” tra Italia e Germania. C’è già una data: il 3 febbraio, durante la sua visita a Berlino. Pochi giorni dopo il suo possibile viaggio a Kyiv, secondo un calendario ancora cangiante.
E se sul fronte ucraino Donna Giorgia può rivendicare una sua centralità, se sul piano della fornitura delle armi a Zelensky può perfino muovere critiche alle titubanze altrui, c’è invece un dossier che Meloni deve intercettare. Quello, cioè, dei sostegni alle imprese in reazione al massiccio piano anti-inflazione (Ira) varato da Joe Biden.
E qui c’è un piccolo retroscena, sul dialogo indicibile tra l’Eliseo e Palazzo Chigi, che va illuminato. A dispetto del racconto che li vuole in dissidio totale dal giorno del fattaccio della Ocean Viking, in realtà uno scambio di dispacci tra le rispettive diplomazie, Macron e Meloni lo hanno sempre alimentato. E fonti vicine al presidente francese raccontano anzi di come da parte parigina ci sia stato, ed è stato intenso, un tentativo di convincere il governo sovranista a sostenere la battaglia transalpina sulla necessità di una risposta poderosa da parte di Bruxelles al piano economico americano. Un tentativo che perdura sin dal battesimo dell’esecutivo Meloni, a fine ottobre, e che del resto si pone in scia con la collaborazione che Macron aveva instaurato con Mario Draghi, sul tema, già nei mesi precedenti.
Ebbene, il pressing dell’Eliseo su Palazzo Chigi, lo sforzo cioè per avere una sponda per fiaccare la resistenza tedesca, è stato costante in questi mesi. Trovando però, questa è la versione francese, una tiepidezza da parte di Meloni: non tanto nel merito del piano di politica industriale proposto da Macron, quanto nella forma. La premier, cioè, avrebbe espresso obiezioni rispetto alla definizione di un piano in esplicita risposta a una misura varata dall’Amministrazione Biden: come, insomma, che la si qualificasse come una mossa ostile nei confronti dell’Ue. Cosa che forse, più o meno volutamente, è: ma per Meloni il mantenimento di buoni rapporti con Washington è al momento prioritario.
A rimettere in moto l’entropia della trattativa, però, è stata paradossalmente la timidezza di Ursula von der Leyen. Quella sua proposta così misera – una deregolamentazione sugli aiuti di stato, e chi più può più spenda – ha dato al contrario forza e credibilità all’istanza francese su un vero piano industriale europeo. E anche di questo, la scorsa settimana, i due leader hanno parlato a telefono, in un colloquio che ha segnato l’avvio ufficiale della distensione. Resta però da capire, e non è cosa da poco, come finanziare questo piano. Dirottando su di esso i soldi ancora non spesi del Next generation Eu? Con un rifinanziamento dello Sure? Ripensando – questa sarà, pare, l’idea che Meloni lancerà a Brxuelles, durante il Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio, in modo per nulla disinteressato – l’utilizzo dei miliardi immobilizzati nelle casse del Mes? Tutte ipotesi da valutare.
In ogni caso, e qui sta il senso della preoccupazione che si respira a Palazzo Chigi, bisogna guadagnarsi un posto nella stanza dei bottoni. Su questo, ovviamente, come su altre grandi questioni. E per questo quella declamazione di esibito isolazionismo fatta da Meloni durante la conferenza stampa di fine anno viene considerata un mezzo inciampo. Svilire il Trattato del Quirinale (“Non l’ho ancora letto, e non so neppure se sia operativo”), è stato un errore. Così come lo è stato il sottovalutare il dossier parallelo: quello che dovrebbe portare Italia e Germania a firmare un “Piano d’azione”, passo preliminare prima di un accordo più vincolante, sul modello di quello italofrancese. Draghi e Scholz ci avevano lavorato: la firma era già stata fissata a metà ottobre, prima che tutto precipitasse.
Ora, in vista dell’incontro a Berlino, il fascicolo è stato riaperto dai consiglieri diplomatici di Meloni. A cui, del resto, non è sfuggito come, in questi mesi, anche la Spagna si è andata inserendo nel gioco grande. Il governo Sanchez ha dapprima, nello scorso ottobre, siglato a La Coruna un “Piano d’azione” di 25 pagine con la Germania. Poi, giovedì scorso, a Barcellona, è stato firmato un “Piano d’amiciza e di collaborazione” con la Francia, un trattato a tutti gli effetti composto di 36 articoli, con tanto di cerimonia e fanfare al seguito. E insomma è evidente che quello di snobbare gli accordi di cooperazione con Francia e Germania è un lusso che il sovranismo italico non può permettersi, così come quello di non leggere i Trattati già in vigore, se non vuole essere relegato nel girone degli inconsistenti nelle prossime partite europee. Per questo, il 3 febbraio, nel suo incontro con Scholz, Meloni proverà a rilanciare le trattative. Con buona pace dell’isolazionismo.