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Rampelli&coltelli.

Una frattura generazionale percorre FdI: l'insostenibile pesantezza della gratitudine

Marianna Rizzini

C'è una guerra ai vertici del partito di Giorgia Meloni. Il "caso" Milani, il commissariamento romano, i giovani di mezza età alla riscossa

I fatti parlano, e vedono una Meloni d’Algeria che, dall’alto del patto sul gas, ma a distanza, interviene in basso, sostituendo il coordinatore romano del partito e deputato Massimo Milani, rampelliano di ferro, accusato di aver usato un database di Fratelli d’Italia su Roma per invitare tutti gli iscritti a un evento in favore di due candidati alle Regionali soltanto, rampelliani anch’essi, Fabrizio Ghera e Marika Rotondi. E vedono anche, i fatti, lui, Milani, che medita una risposta netta (che infatti arriverà a sera), sostenuto dagli altri componenti parlamentari dei Gabbiani, la corrente che fa capo al vicepresidente della Camera e pilastro della destra romana Fabio Rampelli, nome non scelto da Meloni tra i ministri del suo governo e neanche, nonostante il radicamento, per la corsa alla Regione, dove invece corre il già presidente della Croce Rossa Francesco Rocca.

 

Ma dove finiscono i fatti inizia una storia che li attraversa e li travalica, storia che parla di una forse ormai insostenibile pesantezza della gratitudine dei giovani – che in molti casi giovani non sono più, avendo spesso compiuto i quaranta o i cinquant’anni – verso i padri che hanno sorretto sulle spalle la destra quando di destra non si poteva neanche parlare.

 

Fatto sta che se Rampelli si è visto escludere per l’ennesima volta dal podio dei candidati, e se i meloniani ora plasticamente obliterano la prevalenza rampelliana che fu con Giovanni Donzelli, fedelissimo della premier nominato commissario a Roma, ai Gabbiani in generale tocca in sorte anche l’oblio iconografico sul dito di Chiara Colosimo, giovane deputata meloniana ed ex rampelliana, colei che all’anulare sinistro, in altri tempi, si era fatta tatuare proprio un gabbiano, e che invece oggi, sullo stesso dito, sfoggia un tatuaggio aggiuntivo che camuffa il precedente, sorta di ghirigoro maori che avviluppa il gabbiano fino a renderlo irriconoscibile. E forse l’oblio del simbolo all’anulare in parte è anche letterario, ché oggi, in FdI, si fa sentire anche una lieve stanchezza verso il Tolkien guru e autore de “Il Signore degli Anelli”, romanzo di formazione dei Gabbiani d’antan.

 

Non bastasse, la pattuglia dei parlamentari rampelliani (Milani, Rampelli, Lavinia Mennuni, Andrea De Priamo, Federico Mollicone e Marco Scurria, anche cognato di Rampelli) si trova a dover fronteggiare in Parlamento l’esercito dei meloniani fino a poco tempo fa capeggiati dall’attuale ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida (cognato anche lui, ma di Giorgia Meloni). Un Lollobrigida che in pratica si trova dalla parte meloniana della storia, ma che in teoria è legato a Rampelli da eterno vincolo di riconoscenza, a partire dal lontano schiaffo dato dall’attuale vicepresidente della Camera, allora coordinatore regionale del partito finiano, a Checchino Proietti, storico autista e factotum di Gianfranco Fini, reo di non essersi speso per la candidatura di Lollobrigida in quel di Subiaco. E se non c’è Rampelli, sulla graticola della giovanile esuberanza di mezza età che percorre FdI, ecco che ci finisce il presidente del Senato Ignazio La Russa, unico di recente a opporsi, invano, al ritiro dalla rosa dei papabili per la vicepresidenza del Csm di Giuseppe Valentino, finito nel mirino grillino in quanto indagato. Non possiamo fare la figura dei peracottari, diceva La Russa, mentre Lollobrigida comunicava il volere della premier (cambiare cavallo). Per non dire di quando La Russa, sul palco di Piazza del Popolo, chiamava ogni due per tre Donzelli, e Donzelli compariva dal retropalco con l’aria perplessa di chi dà soddisfazione allo zio che a Natale vuole farti raccontare la barzelletta. E insomma, sia come sia, ieri sera i rampelliani alzavano la testa. “Ho letto sui giornali di oggi titoli misteriosamente uguali che riguarderebbero un mio commissariamento a opera del Presidente nazionale di Fratelli d’Italia. Tengo intanto a precisare che non ricopro ruoli commissariabili, quindi si è in presenza di titoli sicuramente a effetto ma del tutto infondati. Sono impegnato al fianco di Francesco Rocca per vincere le elezioni regionali con tutta la coalizione”, diceva Rampelli. Mentre Milani annunciava di aver chiesto il reintegro: “E’ stato un fulmine a ciel sereno…ho chiesto, argomentando, alla presidente Meloni di ripensare alla sua decisione basata su false informazioni che le sono pervenute. Tutte totalmente infondate, chiedo di accertarle prima di assumere decisioni che possano avere forte impatto negativo nella maggioranza del partito romano. Se viceversa saranno confermate sarò io stesso a dimettermi”. E il sipario calava, in attesa della notte e del secondo atto.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.