LaPresse

oltre i pregiudizi

Cento di questi cento giorni. Un giudizio sul governo Meloni. Con quel che manca per essere promettente

Claudio Cerasa

Dalla politica estera e industriale all'indipendenza energetica, la maggioranza ha segnato una discontinuità significativa con il suo recente passato. Ma quando si allontana dalla gestione degli affari correnti i pregiudizi tornano ad affiorare

Tra gli appassionati di politica, la domanda del momento riguarda un tema collegato a una scadenza temporale che di solito impone agli osservatori di fermarsi un istante a riflettere sui mesi appena trascorsi. La domanda ha a che fare con un giudizio complessivo sull’operato del governo Meloni, a cento giorni dal suo insediamento, e per rispondere a questa domanda, che marzullianamente ci autoponiamo, occorre non avere paura di fare una distinzione tra pregiudizi e giudizi. Questo giornale ha nutrito molti pregiudizi nei confronti del centrodestra nazionalista e se dovessimo dare peso alle promesse di Salvini e Meloni la maggioranza continuerebbe a essere un pericolo per l’Italia. Scettica sull’Europa, amica degli anti europeisti, amica degli anti vaccinisti, amica degli evasori, ostile al mercato, disinvolta sul debito, titubante sul Pnrr, alleata degli xenofobi.

Se guardiamo però a quello che è successo finora, nei primi cento giorni di governo, alcuni dei nostri pregiudizi sono stati messi a dura prova dai giudizi, dall’incontro tra narrazione e azione, e a tre mesi dalla nascita dell’esecutivo occorre ammettere che sulle grandi partite la maggioranza ha segnato una discontinuità significativa più con il suo recente passato che con il governo passato. E lo ha fatto su quattro temi cruciali. Una politica estera coraggiosa. Una strategia di indipendenza energetica seria. Una volontà di relazionarsi con l’Unione europea, sulla gestione del debito e sull’implementazione del Pnrr, senza oltrepassare la linea rossa dell’irresponsabilità. E una politica industriale, da Ita a Priolo passando per Ilva e rete unica, affrontata con sorprendente piglio mercatista, con alcuni dossier gestiti con un pragmatismo che supera persino quello draghiano.

 

I guai del governo, accise a parte, di solito cominciano quando la maggioranza cerca di nascondere le sue incoerenze sotto una cortina fumogena e quando questo capita succede che la Meloni associati si ritrova travolta dalle sue stesse bandierine – l’occhiolino spesso strizzato verso gli evasori, il luddismo tecnologico spacciato per evoluzione del conservatorismo, la trasformazione delle banche centrali in nemiche del popolo, l’evocazione della speculazione come spia del complotto dei poteri forti, la xenofobia utilizzata come motore delle politiche sull’immigrazione. Bandierine spesso issate in modo goffo al fine di dimostrare di essere sempre gli stessi e la cui evocazione ricorda spesso di che pasta può essere fatta la destra nazionalista.

 

Bandierine a parte, la vera forza di Meloni, in questi mesi, è stata quella di essere riuscita prima di tutto a compiere alcune operazioni non semplici. Primo: non essere stata quello che aveva promesso di essere, ovverosia non essere un mix tossico fra il modello Trump, il modello Bannon, il modello Bolsonaro, il modello Le Pen, il modello Orbán, il modello Truss. Secondo: aver disorientato i suoi avversari facendo crollare parte dell’armamentario retorico che l’opposizione aveva costruito per demolire preventivamente il melonismo (fascismo, anti europeismo, diritti civili minacciati). Tra essere un governo promettente e uno non terrorizzante c’è una grande differenza.

 

E per capire perché è sufficiente comprendere ciò che impedisce al governo Meloni di essere un governo promettente: considerare l’Europa buona solo quando si muove come un bancomat, considerare l’innovazione preziosa solo quando questa punta al ritorno al passato, considerare il futuro dei più giovani sacrificabile sull’altare della strategia della pensione e avere un’agenda internazionale all’interno della quale l’iniziativa più importante messa in campo finora dalla premier non è proporre ma è rassicurare. Quando Meloni smentisce le sue premesse, il governo fa spesso la cosa giusta e dunque cento di questi cento giorni. Ma quando si allontana dalla gestione degli affari correnti, e tenta di programmare il futuro, i pregiudizi tornano ad affiorare e viene dunque  naturale chiedersi, con un brivido, fino a quando Meloni avrà il coraggio di restare immersa in un gelido bagno chiamato realtà.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.